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In Emilia-Romagna, nonostante il propagandato Patto per il lavoro e il clima promosso dalla Giunta regionale più di 2 anni fa, continua ad essere prevalente una logica economicista e produttivista, per cui prima di tutto si guarda all’obiettivo della crescita del PIL, subordinando a ciò le scelte in materia ambientale. Si è andati avanti con uno scriteriato consumo di suolo, con un’idea che la costruzione di nuove autostrade e grandi opere produce sviluppo, con la privatizzazione di beni comuni fondamentali, come l’acqua e i rifiuti, con un’impostazione sulle politiche energetiche che asseconda la ripresa dell’ economia del fossile ( vedi la vicenda del rigassificatore a Ravenna), anziché puntare con forza verso le fonti rinnovabili.

Ho già avuto modo di occuparmi delle 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale promosse da RECA (Rete Emergenza e Climatica Emilia-Romagna) e da Legambiente Emilia-Romagna, sottoscritte da più di 7000 cittadini, al momento della loro presentazione in Regione, nel settembre scorso [Vedi qui].
Le 4 proposte di legge intervengono sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia e dello stop al consumo di suolo e hanno l’ambizione di riscrivere l’insieme delle politiche ambientali finora avanzate in Regione, modificando nel profondo le priorità a cui finora ci si è ispirati.

Ebbene, ora siamo arrivati ad un punto decisamente importante rispetto alla discussione delle proposte di legge.
La regolamentazione regionale in materia di proposte di legge di iniziativa popolare prevede che esse, una volta assegnate alle Commissioni consiliari competenti, vengano esaminate in quella sede nei successivi 6 mesi e che, in mancanza di quest’esame, esse arrivino direttamente all’Assemblea regionale, che le deve iscrivere all’ordine del giorno e decidere entro un ulteriore anno su di esse. I 6 mesi per la discussione nelle Commissioni consiliari sono scadute il 18 maggio scorso e lì la discussione non è nemmeno iniziata.
Un fatto grave, indice di una sottovalutazione molto forte, ma, ancor più, un vero e proprio “vulnus” democratico, visto che la normativa sulla trattazione delle leggi di iniziativa popolare indica esplicitamente tale passaggio. Peraltro, il passaggio diretto all’Assemblea regionale potrebbe anche determinare il fatto che si arrivi al voto sulle stesse, senza neanche discuterne il merito, e magari ad una loro bocciatura “in toto”.

Un esito che sarebbe non solo deprecabile, ma che, inevitabilmente, renderebbe palese che anche in questa regione ( come se non ne avessimo abbastanza di quanto sta facendo il governo nazionale) si aprirerebbe una vera e propria “ questione democratica”. Questo scenario, di una possibile bocciatura delle proposte di legge, senza neanche discuterle di fatto, equivarrebbe a sancire l’abolizione della possibilità di avanzare proposte di legge di iniziativa popolare, affermare che esiste solo la democrazia rappresentativa e che quella partecipativa rappresenta solo un disturbo, lanciare un segnale devastante sull’inutilità della partecipazione dei cittadini, in un contesto in cui, tralaltro, sempre meno persone si recano alle urne per esprimere il proprio voto. Per questo, RECA e Legambiente chiedono con forza che l’Assemblea legislativa si pronunci per far tornare le proposte di legge nelle Commissioni consiliari e che da lì riprenda la discussione di merito, e stanno organizzando varie iniziative di informazione e mobilitazione per sostenere tale richiesta, a partire dal flash mob previsto per il prossimo 9 giugno alle 17 in piazza Nettuno a Bologna.

Non prendere in considerazione le proposte di legge di iniziativa popolare, poi, nella drammatica situazione seguita alle vicende dell’alluvione in Romagna e in altri territori della regione, acquisirebbe un significato decisamente inquietante.

Possiamo tralasciare la facile polemica nei confronti di chi mette sul banco degli imputati i cosiddetti  ‘ambientalisti del NO” ( anche se fa specie trovare in quella compagnia anche il sindaco di Ravenna), facendo rilevare che sarebbe singolare che, proprio nel momento in cui realtà ambientaliste significative avanzano proposte precise – addirittura sotto forma di testi di legge-, la risposta che proviene è quella di ignorarle e passare oltre.

Ciò che francamente sarebbe inaccettabile è che, ora che tanti si interrogano sulle cause dei disastri dei giorni passati e che c’è un’analisi molto diffusa e condivisa che essi, al di là dell’eccezionalità del fenomeno, traggono origine dal cambiamento climatico, dall’eccessivo consumo di suolo e dai mancati interventi in tema di riassetto idrogeologico, il governo regionale si rifiuti di confrontarsi con proposte che hanno proprio l’intenzione di affrontare alla radici quelle questioni.

Contrastare il cambiamento climatico, primo dato responsabile della ‘nuova normalità’ fatta dall’alternarsi sempre più frequente tra periodi siccitosi e fenomeni alluvionali estremi, comporta, in primo luogo, uscire dall’economia del fossile e spingere per il ricorso alle fonti rinnovabili ( altro che pensare all’Italia come hub del gas e a Ravenna come una delle sue capitali, come pensano il governo nazionale e quello regionale).

Per quanto riguarda il consumo di suolo, non c’è alternativa a fermarlo da subito, in una regione che è al 3° posto in Italia sotto quest’aspetto e addirittura la 1° per consumo di suolo nelle aree alluvionali. Decidere che occorre mettere mano al dissesto idrogeologico significa rinaturalizzare fiumi, laghi, boschi, avere uno sguardo volto al risparmio e al corretto utilizzo ( e riutilizzo) dell’acqua, oltre che, a livello nazionale, destinare a ciò ingenti risorse, riscrivendo anche il PNRR. Tutti temi presenti nelle proposte di legge e che, se ignorati o non affrontati, non possono che farci trarre la conclusione che – per inconsapevolezza o subordinazione agli interessi e ai poteri forti, o per un mix di entrambi- non si avrebbe alcuna intenzione di modificare nel profondo il modello produttivo e sociale attuale, che è condizione essenziale per andare nella direzione indicata anche nelle proposte di legge.

Già il governo nazionale ha scelto dove collocarsi: solo per esemplificare, da ultimo, esso è riuscito ad inserire nel decreto per gli aiuti alle popolazioni alluvionate una norma per “ semplificare” la messa in funzione dei rigassificatori. O, nel recente decreto contro la siccità, ci è toccato constatare come esso sia figlia di una logica vecchia, incapace di dare risposte alle problematiche esistenti, sostanzialmente piegata agli interessi delle aziende di costruzione, incentrato com’è su una visione tutta emergenziale, basata sulle grandi opere e sull’artificializzazione delle soluzioni ( vedi il ricorso agli impianti di desalinizzazione).

Sarebbe decisamente “sconsolante” vedere il governo della Regione Emilia-Romagna incamminarsi su questa medesima strada e lasciare sostanzialmente solo ai movimenti, alle Associazioni, ai cittadini il compito di accollarsi il fatto di indicare e prospettare un’alternativa reale a queste impostazioni. Comunque, non c’è dubbio che l’esito della vicenda legata alle 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale promosse da RECA e da Legambiente rappresenterà certamente una cartina al tornasole importante. E che, per questo, andrà seguita con attenzione e con passione, soprattutto con la mobilitazione sociale e politica che essa merita.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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