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Il Natale è un periodo scandito da riti, tradizioni familiari e momenti di gioia, alternati a istanti di panico altrettanto tradizionali, dovuti a cenoni da preparare, districamenti di lucine che alla fine si rompono e vanno sostituite e regali da impacchettare. Proprio questi ultimi sono i più discussi: c’è chi ama riceverli, chi si diverte a farli, chi li critica e chi trascura nonni e suoceri in favore dei bambini. Per chi come me fa parte della seconda categoria questo è il periodo ideale, nonostante il freddo e la nebbia, per curiosare ovunque con la mente proiettata verso la notte in cui quei pacchetti saranno scartati e gli occhi delle persone amate si riempiranno di sorpresa e gioia. Piccolo o grande che sia, il presente natalizio non è un oggetto da acquistare ‘perché si deve’, ma è il simbolo dell’affetto che lega due persone. Può essere un desiderio realizzato, un dono che dimostri quanto conosciamo gli altri o qualcosa che racconti una storia.

Girovagando tra negozi e librerie, mi sono imbattuta in una piccola vetrina in via dei Romei e, spinta dalla curiosità, ho aperto la porta di “Lasciate entrare il sole”. Più che un negozio è un piccolo mondo a parte a due passi dalle vie principali, che si lascia scoprire lentamente, come se si aprisse uno scrigno dei tesori. Le titolari, Eleonora e Chiara, ti invitano a curiosare e a domandare, perché ogni cosa nel negozio è in vendita (sì, anche i mobili) e, cosa più interessante, tutto ha una storia da raccontare.

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Sfidando la crisi per seguire un sogno, Chiara ed Eleonora hanno scelto di credere nelle loro idee e nella loro città e hanno aperto quello che era sempre stato il negozio ideale: un luogo in cui rifugiarsi, dove i clienti possono sentirsi coccolati, dove entrare anche solo per incontrarsi, scambiare qualche chiacchiera mentre ci si guarda intorno, sorseggiando un caffè. Anche perché è impossibile entrare e non restare affascinati: vestiti, accessori e gioielli sembrano richiamare l’attenzione, vogliono essere osservati e toccati. Tutto è stato scelto con cura, viaggiando tra Francia e Italia per ricercare il particolare, l’oggetto che segue le tendenze, ma ne resta distaccato, mostrando la sua unicità. Ci si dimentica per qualche momento del motivo per cui si è entrati, perché il desiderio principale è quello di curiosare e ascoltare la storia di ciò che ha attirato la nostra attenzione. Così Chiara o Eleonora raccontano di una ragazza israeliana che, partendo da un semplice nastrino arricciato, usato per le confezioni regalo, ha realizzato collane e orecchini in oro, o della realizzazione di alcune piccole borse rettangolari, fatte a mano con l’obiettivo della sostenibilità, in legno proveniente da zone a riforestazione controllata, frange in ecopelle e tessuti coloratissimi e riciclati.

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Chi ama i foulard resterà incantato dalle sete “Rumisu”, ideati da due sorelle di Istanbul che reinventano le fiabe e mostrano un’eroica Cappuccetto Rosso a cavallo del terribile lupo oppure una cena di compleanno tra mostri buffi e sorridenti. Ironia, originalità, qualità, dimostrata dalla cura dei disegni e degli orli fatti a mano, uniti alla tradizione: su ogni foulard è applicato un personaggio in tre dimensioni simbolo del tema scelto, realizzato all’uncinetto da alcune donne che utilizzano un particolare punto, parte della cultura di alcune zone della Turchia. La vera bellezza, a volte così eclatante da non poter essere ignorata, può essere nascosta nel significato delle cose, va ricercata oltre ciò che si vede. La si può trovare per esempio nel progetto di Caterina Occhio, imprenditrice che ha realizzato il progetto “Seeme”, brand di gioielli e al contempo causa sociale. Bracciali, collane e anelli in argento battuto a mano, intrecciati con sete e stoffe, sono stati realizzati a mano in Tunisia, da donne violentate, madri ripudiate, abbandonate dalle loro famiglie, che attraverso l’associazione tunisina Amal e il progetto “Seeme”, hanno avuto una seconda chance.
I tessuti sono l’elemento centrale del negozio, su ogni parete le mani possono toccare sete italiane e francesi, maglioni creati da mamme milanesi e jeans 100% made in Italy, come maglioncini “Leon & Harper”, dal gusto parigino, caratterizzati da irriverenti cartellini (“Hello, I love you, can you tell me your name?” vi ricorda qualcosa?)

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Ogni angolo di questa piccola boutique è studiato con cura, gli accessori e gli abiti sembrano luminosi anche nelle giornate più cupe, colorati e divertenti: vi sfido a non sorridere davanti ai gemelli a forma di Carlino o Bull Terrier!
Il negozio di quartiere, creatura in via d’estinzione, va salvaguardato come parte fondamentale di un’identità cittadina, va protetto dai mastodontici outlet o dai sempre più invadenti centri commerciali, in cui si moltiplicano le catene delle grandi marche. Dopotutto, è sempre meglio una piccola libellula artigianale di un maglione uguale a mille.

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Chiara Ricchiuti

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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