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Parigi, quartiere variopinto di Pigalle, i tetti parigini che tanto hanno ispirato cinema e letteratura. Una luce soffusa illumina l’ambiente, un tepore che invita all’ozio. Qui un bambino timido, gracile, delicato ma curioso e a volte euforico, legge per ore intere, per non far rumore, per non disturbare. È François. Con i libri, la sua immaginazione viaggia, vede luoghi lontani, paesaggi meravigliosi, personaggi strampalati. Ama tre libri in particolare, ne mescola storie e finali, un modo per passare da una vita a un’altra.

Quando esce di casa esplora strade e viali, con l’amicoamicoamico Robert, la città dalle mille luci gli appartiene. Magari, invece di andare a scuola, meglio infilarsi in un cinema e perdersi nella profondità dello schermo, tanto più che proiettano Les visiteurs du soir (in italiano L’amore e il diavolo, film ambientato nel tardo Medioevo e sceneggiato niente di meno che dal grande Jacques Prévert). Siamo nel 1942.

Il nostro François, che è François Truffaut, ha dieci anni e si ammala, prende una malattia contagiosa che si chiama Cinema. Da essa non si guarisce, mai.

“Un uomo si forma tra i sette e i sedici anni. Poi vivrà di tutto ciò che ha assimilato tra queste due età”, ha detto lo stesso Truffaut. E niente più del cinema illuminò quel periodo di crescita e di formazione oggi raccontato in una delicata biografia illustrata del grande regista francese maestro della Nouvelle Vague, François Truffaut. Il bambino che amava il cinema, Kite Edizioni, scritto da Luca Tortolini e illustrato da Victoria Semykina.

L’albo illustrato è vincitore del Premio Andersen 2021, “per illustrazioni briose ed eleganti, nervose e musicali, sempre contrassegnate da un sicuro possesso delle tecniche. Per un dialogo avvincente e serrato che pagina dopo pagina si dipana fra la storia e le immagini. Per l’efficacia narrativa di un testo sincopato e incisivo”.

Il volumetto ripercorre, con delicatezza, le fughe del piccolo François al cinema, nelle cui sale cariche di sogni e segreti si intrufola, con l’inseparabile e fedele amico Robert, accedendovi dalle finestre del bagno o nascondendosi tra gli spettatori che escono, perché ahimè quei curiosi ragazzini non hanno i soldi per il biglietto d’ingresso. Libri e pellicole sono un rassicurante rifugio.

Quell’imparare a memoria le battute dei film, ricordarne le trame e i costumi e raccogliere ritagli di giornali che parlano di cinema sono e diventano la sua linfa vitale quotidiana. “Era un mondo che andava formandosi articolo dopo articolo. La vita era diventata schermo”, si legge nel libro, e d’un fiato. Quella vita era complessa, pochi soldi e tante difficoltà, molte contraddizioni, molti ostacoli, la necessità di cavarsela da soli, di essere liberi e indipendenti. Ma anche dal terreno più difficile sboccia un fiore.

Da quella difficile infanzia, fatta anche di punizioni per un’indole caparbia, François emerge: inizia a scrivere di cinema su giornali e riviste, inizia a guadagnarsi da vivere, difendendo film ma anche criticandoli, con forza ed eloquenza si costruisce una solida reputazione.

Finché, a ventisette anni, nel 1959, dirige il suo primo lungometraggio Les quatre cents coups, con protagonista l’alter ego Antoine Doinel (I quattrocento colpi. Non a caso, quest’espressione francese faire les quatre cents coups corrisponde al modo di dire italiano “fare il diavolo a quattro”, o meglio ancora, in questo caso, “combinarne di tutti i colori”, “esser turbolento, ribelle”).

Non può fallire, ha paura ma è un grande giorno. E qui inizia tutta un’altra storia. Quella di un inconfondibile e impareggiabile Maestro.

Luca Tortolini è scrittore, sceneggiatore e docente, e vive a Macerata. Oltre a François Truffaut. Il bambino che amava il cinema, è autore di diversi libri, tra cui Le case degli altri bambini (Orecchio acerbo, Menzione Speciale Opera Prima al Bologna Ragazzi Award 2016) e Il giardino più bello (Il Castoro). Ama i gatti, i giardini e i libri. Scrivere, leggere e ascoltare storie lo rende felice. I suoi libri sono tradotti in diverse lingue.

Victoria Semykina è un’illustratrice nata a Mosca nel 1980 ma dopo tanti viaggi ha deciso di fermarsi e ora vive a Bologna, dove si è laureata all’Accademia di Belle Arti. Quando viveva a Mosca, la sua casa si trovava in un quartiere industriale, l’ambiente era caratterizzato dal grigiore delle fabbriche e da nove mesi d’inverno. Quando a cinque anni visita per la prima volta il Mar Nero scopre un’atmosfera soleggiata e profumata che le torna alla mente. Dal suo studio di Bologna realizza le illustrazioni pubblicate in libri, riviste e pubblicità. Ha lavorato, tra gli altri, per Penguin, Anderson Press, Walker Books, De Morgen, Oxford University Press, Bonnier. In ogni sua immagine si trova un intricato miscuglio di acquerello, tempera, inchiostro, collage e, talvolta, digitale

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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