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Liberté (de peu), disparité, avidité: i paradigmi della società neoliberista

Secondo uno studio di World Ultra Wealth realizzato da Altrata, i ricchi sono coloro che posseggono come patrimonio (non come reddito) almeno un miliardo di dollari (mille milioni), mentre i super- ricchi (395mila persone nel mondo) ne posseggono almeno 30, per un totale di 45.430 miliardi di dollari, mentre i ricchi (da 1 a 30 miliardi) ne hanno “solo” 36.200 miliardi. In totale sono 81.630 miliardi. Se fossero redistribuiti a tutti gli 8 miliardi persone andrebbero 10mila euro a testa.

Gli ultra ricchi in Italia sono 8.930 persone per una ricchezza totale di 978 miliardi, circa il 10% del totale nazionale, in media hanno 110 milioni a testa. Il maggior numero è in Usa (130mila), seguito da Cina (47 mila), Germania (quasi 20mila), Giappone (quasi 15 mila), UK (14mila), Canada (13.320), Hong Kong (12.615), Francia (11.980), Italia (8.930) e India (8.880). Anche nel 2022 il patrimonio dei super ricchi è cresciuto e si trova ora al 10,6% di tutta la ricchezza mondiale.

Da 30 anni sono in continua crescita anche perché gran parte di questa ricchezza è frutto della distorsione dello sviluppo capitalistico. Al di là dell’ideologia neo-liberale, che si fonda sul libero mercato e la concorrenza, gran parte di questi patrimoni (sia in Occidente che nei paesi autocrati o dittatoriali) è frutto di monopoli, soprattutto artificiali, di rendite, di sistemi economici distorti al riparo di una vera concorrenza e di leggi che riducono sempre più l’imposta di successione, la progressività, per non dire dell’evasione nei paradisi fiscali.

L’Occidente è considerato più “avanti” di altre aree mondiali da molti nostri esperti per le sue maggiori libertà individuali che consentono a ciascun individuo di poter godere di molte libertà, rischiare, mostrare i propri talenti ed essere appunto “liberi”. Ma se questa libertà di arricchirsi non viene temperata da leggi (antitrust, limitazione dei monopoli, imposte sull’eredità e progressive) in modo che gran parte della ricchezza generata si traduca in diritti sostanziali per tutti come lavoro, salute, scuola, pensioni, sostegno ai poveri (cioè in welfare sociale distribuito a tutti), la deriva è verso un mondo in cui le disuguaglianze superano quelle dei faraoni o degli imperatori di un tempo e, come tale, la società “liberale”, cioè basata sulla mera libertà individuale, non sostenuta dalla “sostanza” (direbbe Aristotele), diventa sempre più una formalità che troverà sempre meno consensi in quanto la grande maggioranza sarà sempre “più libera ma più povera delle cose che contano nella vita”.
Le previsioni sono di un ulteriore aumento dei super ricchi in tutto il mondo, ma cosa ce ne facciamo di un mondo così demenziale?

E l’Occidente che ha diffuso questo modello capitalistico e predatorio ovunque, non sarebbe ora che invertisse questo trend, proprio in nome dell’etica, dell’”egalité, fraternité e liberté a cui continuamente si richiama con patenti di valori che non avrebbero le società dittatoriali?

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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