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Buenos Aires, 2011, piena crisi economica. In mezzo a tanta folla, c’è chi vive isolato, alienato, solo, perso in un mondo virtuale, quello della rete (una rete in cui ci si può anche perdere), in una città triste perché volta le spalle al suo fiume. Una città alveare, architettonicamente inquietante (parallelismo interessante tra architettura e vita, tra monolocali e amori), infestata dai cavi, da una tecnologia wireless che connette tutti continuamente e ovunque, da linee cellulari che hanno sostituito la complessità della lingua con un linguaggio contratto e primitivo tipico dei telegrafici messaggi sms.

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La locandina del film

Non ci si parla, non ci si comprende, non ci si ascolta, non ci s’incontra se non virtualmente, si è distanti, lontani, se pur materialmente, talvolta, così vicini. Vite isolate come enormi e mastodontici isolati, grigie, tristi, diverse, parallele.
In questo ambiente un po’ desolante, si ritrovano i due protagonisti, Martin (Javier Drolas), fobico web designer che prova a uscire dal suo isolamento voluto, e Mariana (Pilar Lopez De Ayala), appena uscita da una lunga storia d’amore, architetto senza lavoro con una vita totalmente caotica, come l’appartamento in cui si rifugia.
Martin e Mariana vivono in edifici opposti sulla stessa strada, ma non si sono mai incontrati.

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Una scena del film: ci si cerca tra la folla

Percorrono gli stessi luoghi, ma non si sono mai accorti l’uno dell’altra. Malinconici, entrambi attendono di aprire una finestra “illegale” sul lato cieco degli edifici in cui vivono (i medianeras sono queste facciate alle quali sono appesi manifesti pubblicitari bruttini) che gli permetta un nuovo sguardo sul mondo, una nuova prospettiva, un nuovo affaccio, un nuovo respiro. Attendono impazienti quella finestra, quello sguardo che li porti a contatto con chi stanno più o meno consapevolmente cercando.

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Una scena del film: Wally

Mariana cerca il suo Wally, il personaggio dalla maglia a righe che non trova, fin da ragazzina, nel suo fumetto preferito. Allestisce vetrine di negozi con manichini con cui ha un rapporto morboso, è claustrofobica. Martin farfalleggia qua e là, lavora con il suo psichiatra, va a improbabili appuntamenti al buio. Il destino vuole, però, unire questi due animi solitari. Alla fine. Entrambi, insomma, sono single e sociopatici. Tristi come i palazzi della città e la loro medianera, ma fatti per piacersi e stare insieme.
Un poema visivo legato alla relazione tra individui e spazio architettonico, un forte racconto interiore di chi cerca libertà, comprensione e amore, la ricerca di un senso a una vita persa nel cemento e nel metallo. Un film sulla solitudine moderna e la voglia di sopravviverle.

Medianeras di Gustavo Taretto, con Javier Drolas, Pilar López de Ayala, Inés Efron, Rafael Ferro, Germania-Spagna-Argentina, 2014, 95 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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