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L’ultima strage in Texas.
Chi possiede armi prima o poi le userà

 

Gli Stati Uniti e il mondo intero sono di nuovo sotto shock. Una strage senza senso si è consumata in una scuola elementare a Uvalde, un villaggio rurale del Texas, a metà strada tra San Antonio e il confine messicano. Sono morte ventuno persone: diciannove bambini, due insegnanti (Eva Mireles e Irma Garcia) e l’assalitore. La polizia ha ucciso Salvador Ramos, il killer diciottenne. Secondo gli amici e i parenti, citati dal Washington Post, il ragazzo ha vissuto un’infanzia travagliata. È stato vittima di atti di bullismo per la sua balbuzie e un pronunciato sigmatismo. Prima della strage, il giovane ha sparato anche a sua nonna, una donna di sessantasei anni, che secondo i media americani avrebbe intuito il folle piano del nipote e avrebbe cercato di fermarlo.

“Un atto di violenza senza senso”. Così Joe Biden ha commentato la strage nella scuola di Uvalde. Il presidente americano ha ordinato che le bandiere della Casa Bianca, degli edifici federali e delle postazioni militari, sventolino fino a sabato a mezz’asta.

Il governatore del Texas Abbott ha parlato di una strage senza senso e di condoglianze alle famiglie. Lo stesso governatore lo scorso settembre ha approvato una legge per cui qualsiasi maggiorenne nel suo Stato può girare armato senza porto d’armi e senza controlli sul suo stato di salute mentale e fisico.

Secondo IRIAD (Istituto di ricerche internazionali-archivio disarmo), gli Usa sono allo stesso tempo il maggiore esportatore e importatore di armi da foco a uso civile e, secondo una delle loro più recenti analisi, hanno il più elevato tasso di possesso di armi da fuoco. Vi sono ben 89 armi ogni 100 abitanti per un totale di 270 milioni di armi in circolazione nel paese [si veda ArchivioDisarmo: Qui].

Negli Usa ogni anno oltre 30.000 persone rimangono uccise dalle armi da fuoco, una media di trenta vittime al giorno. La metà sono giovani (tra i 18 e i 35 anni), un terzo sono giovanissimi (sotto i 20 anni). Uno studio della Boston University ha dimostrato inoltre che esiste una correlazione tra incremento del numero di armi in circolazione e numero di omicidi con armi. Osservando i dati dal 1981 al 2010 lo studio dimostra che “l’un per cento di incremento nella proporzione di possesso domestico di armi fa fuoco” si traduce in un incremento dello 0,9 per cento nel tasso di omicidi. Il tasso di omicidi degli Stati Uniti è impressionante e non ha eguali nei paesi occidentali.

Siamo alle prese con un bruttissimo film che si intitola “Cronaca di morti annunciate”, con una poesia tristissima che si intitola “I morti per caso”, con una canzone malinconica e struggente che comincia così: “Loro non torneranno più /Non saranno qui per noi e non sorrideranno più /Loro non ci saranno più /Non torneranno più …”

Una storia che si è già ripetuta più volte e che si è verificata con una violenza e una ferocia inaudita anche oggi. Un dramma senza fine, giovani vite strappate improvvisamente e senza alcun preavviso al loro futuro. Famiglie distrutte, rimaste senza bambini e senza un qualunque senso alla mancanza, senza il tempo per comprendere, per non soffocare. Non esiste in queste situazioni il passaggio dal dolore alla rassegnazione, dall’oppressione alla speranza in un futuro diverso che forse ci sarà. Un dolore che lascia spazio solo a sé stesso, che consuma il tempo, che distrugge il cuore, che inibisce lo sguardo lungo verso l’orizzonte.

Credo che si possano fare alcune considerazioni in merito.

– La lobby dei costruttori di armi è fortissima. Forte al punto che si continua ad aumentare la produzione di armi distruttive, a migliorarne la precisione, si continua, negli Stati Uniti, a fermare riforme legislative che ne impediscano la vendita a civili appena maggiorenni.  Negli Usa la più grande lobby delle armi è la National Rifle Association (NRA). Nel 2019 tra le cento principali aziende al mondo produttrici di armi, cinquanta erano americane, per un fatturato globale annuo che è stato stimato in circa duecentoquaranta miliardi di dollari. Gli interessi economici sono mostruosi, ma lo sono anche quelli politici. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America garantisce il diritto di possedere armi. Come molti altri emendamenti, anche questo affonda le sue radici nelle occupazioni del suolo americano da parte degli imperi Britannico e Spagnolo e dipende dalle modalità con cui la storia degli Stati Uniti si è svolta. Per modificare radicalmente la situazione bisognerebbe modificare tale emendamento che viene difeso in parte come baluardo della storia e in parte come anelito perenne alla libertà di difesa. Dopo la prostrazione morale inflitta al Paese dalla tragedia del 2012, il presidente Obama cercò di portare avanti una riforma destinata a regolamentare il traffico di armi sul suolo statunitense. “Parve allora possibile sfruttare l’ondata emotiva suscitata dalla strage” (scrive Mario Del Pero nel suo saggio Era Obama) “per sfidare un tabù” e l’esorbitante influenza della NRA nella politica americana. Obama non riuscì a vincere il braccio di ferro con la lobby delle armi. Il Senato a maggioranza repubblicana respinse la richiesta di messa al bando delle armi d’assalto, che ricevette solo 40 voti a favore su 100, mentre la NRA andò vicina a mandare in porto un disegno di natura opposta volta a deregolamentare ulteriormente il possesso di armi.

– Il problema della vendita di armi sta anche virando verso nuove modalità. Ad oggi con una stampante 3D è possibile stampare quasi tutte le componenti in plastica di una pistola, in modalità fai-da-te e senza nessuna possibilità di venire intercettati. Il fatto è che poi, questa pistola che sembra una pistola giocattolo, può sparare e uccidere davvero. Le preoccupazioni degli americani verso le armi fai-da-te sono cresciute nell’ultimo anno: in molti Stati, si segnala l’aumento esponenziale della vendita di componenti in plastica per le armi da fuoco, pericolose perché irrintracciabili dalle forze dell’ordine a causa della mancanza di numero di serie sul ricevitore, ricevitore che viene realizzato anch’esso con una stampante 3D. Il Giffords Law Center, nato per prevenire la violenza armata, ha sostenuto di recente che è impossibile stimare il numero effettivo di persone che detengono queste pistole fantasma e che a preferirle sono coloro non potrebbero detenere armi da fuoco perché già condannati per violenza, oppure perché fortemente motivati a non essere identificati. Recentemente le armi 3D hanno fatto un salto in avanti anche per quanto riguarda la qualità. È stato rilasciato il progetto per un fucile semiautomatico completamente fatto in casa, che può resistere a migliaia di colpi sparati. Si tratta dell’Fgc-9 (Fuck gun control 9 mm). La maggior parte dei componenti di quest’arma è stampabile in 3D, mentre le poche componenti metalliche si possono trovare anche online [si veda Qui]. Credo che questa novità delle armi-fai-da-te possa fare inorridire chiunque e che sia evidente la pericolosità di una situazione fomentata dall’uso di armi di questo tipo. Possiamo di nuovo, con un nuovo orrore e una nuova consapevolezza, parlare di guerra in corso.

– Esiste poi un’abitudine all’uso delle armi che, nella psiche di una o più persone e di uno o più collettivi, può procedere per step incrementali preoccupanti. A forza di vedere violenza realizzata attraverso le armi e l’esposizione a immagini di omicidi che ne documentano la tecnica e tutti i vantaggi sia in termini difensivi che offensivi, si può instaurare una sorta di assuefazione, si può arrivare a vivere una condizione di accettazione della violenza e di “normalizzazione” di comportamenti violenti, con il rischio di percepire la gravità delle azioni armate in maniera completamente distorta. Ci sono individui che, proprio attraverso percorsi di questo tipo, possono arrivare a sentirsi “legittimati” a compiere azioni omicide. Il peso di immagini violente grava fortemente sulla psiche di persone fragili, c’è chi ne ha paura, chi le guarda perché è terrorizzato, chi è curioso, chi vuole capire e chi si esalta e si identifica in tutta quella ferocia drammaticamente attuabile. Il vero problema si verifica quando si passa dall’imitazione consapevole di un comportamento, all’identificazione. Nel momento in cui un individuo interiorizza un comportamento attraverso un processo di identificazione, può comportarsi come l’assassino che ha visto e arrivare quindi a commettere un omicidio. Ma se si arriva ad identificarsi con un modello così patologico e/o a farsi condizionare così tanto da un violento che si ha accanto, significa che si ha già una profonda vulnerabilità individuale e una forte condizionabilità.  In altri casi non è così. La tendenza alla violenza non si attua attraverso processi identificatori deviati, ma attraverso percorsi intrapsichici molto più complessi, molto più legati alle singole esperienze personali e, di conseguenza, difficilmente esplicabili se non attraverso introspezioni che riguardano il singolo caso e le specificità della singola azione violenta.

– Una questione a parte è il tema dell’obbedienza a un comando e delle modalità attraverso le quali l’uso di un’arma corrisponde all’esecuzione di un ordine. In guerra è così, altrettanto nelle esecuzioni di mafia. Chi spara ha una solo possibilità: o uccidere o essere ucciso. Anche in questo caso i meccanismi intrapsichici che permettono aggiustamenti finalizzati a non far impazzire la persona che uccide un’altra persona, prendono strade tortuose e spiegabili solo attraverso studi specifici. Credo che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si sia chiesto come si può sentire un uomo che ha ucciso un altro uomo “semplicemente” perché gli è stato ordinato di farlo.

Tutto questo riguarda la morte di quei diciannove bambini Texani appena uccisi con un’arma fatta apposta per togliere la vita. Bambini che rappresentano tutti i bambini e le bambine del mondo, tutti gli uomini e le donne mancate, tutto il rispetto per l’infanzia che non abbiamo saputo avere e tutto l’inferno che ci attanaglierà fin che la morte non ci accalappierà.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)