L’INTERVISTA
Age: la sfrontata fragilità dell’adolescenza
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Ferraresi i nove performers adolescenti, ferrarese la regista Francesca Pennini e l’assistente drammaturgo Angelo Pedroni, entrambi componenti della compagnia ferrarese CollettivO CineticO che recentemente vinto il premio “Rete critica” come migliore compagnia italiana 2014. Eppure il nuovo allestimento 2014 della performance <age> non era ancora stato rappresentato a Ferrara nella sua forma integrale. Ha debuttato a Ravenna in settembre, poi ci sono state date al Teatro Vascello a Roma, a Milano, a Potenza e ha vinto il premio “Jurislav Korenić” come miglior regia al Festival Mess a Sarajevo, nei prossimi mesi sarà a Parma, Modena, Firenze e Fermo. Abbiamo intervistato la regista Francesca Pennini alla vigilia della prima messa in scena di al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, stasera 27 novembre.
Il progetto originale del 2012 è stato il vincitore del “Bando Progetto Speciale Performance 2012. Ripensando Cage” ed è partito da una “affinità di principi” di cui il titolo è quasi un emblema: i segni < > simboleggiano la C di Cage, ma racchiudono anche graficamente l’età di performers, tutti fra i 16 e i 18 anni. Come ci spiega Francesca, l’idea è che “gli adolescenti sono i performers migliori per uno spettacolo su John Cage, per il loro spirito di sperimentazione e la propensione al rischio e al mettersi in gioco, legati alla loro fascia di età che è una fase di indeterminazione della vita. Incarnano quindi lo spirito sperimentatore di John Cage, il suo spirito un po’ bambino”.
Lo spettacolo è strutturato come una sorta di “atlante di tipologie umane che cambia ogni sera”, i performers non sanno quello che li aspetta, hanno imparato una serie di regole e un inventario di comportamenti associati a stati d’animo, conformazioni emotive, alcuni dei quali “universali”, altri nati “dall’osservazione dei ragazzi e dal contesto in cui noi e loro operavamo”; i ragazzi vengono poi chiamati ad agire o meno in base “a come si definiscono” in quel dato momento. “Dichiarano quindi la verità sulla loro identità, sulla loro condizione reale e sulla loro filosofia di vita”, da qui la forza e la delicatezza insieme di questo lavoro: “la forza di portare in scena non dei personaggi, ma se stessi nella totale verità del momento perché tutto avviene sul palcoscenico; al tempo stesso portano in scena la loro intimità, il che rende delicatissima la loro posizione, come le nostre scelte nello strutturare di volta in volta descrizioni e comportamenti dello spettacolo, ma anche la relazione che si crea con lo spettatore”. È quindi un vero e proprio mettersi in gioco in maniera totale quello che Angelo e Francesca chiedono a questi nove adolescenti: “la forza e il coraggio di esporre qualcosa di delicato” perché sul palco emerge “una dimensione altrimenti inavvicinabile, totalmente privata”.
Descrizioni, azioni performative e coreografiche non sono casuali, Francesca e Angelo sono gli artefici di questa sorta di improvvisazione regolamentata: “non giochiamo sull’aleatorietà, ma su un senso di indeterminazione legato soprattutto alla condizione dei performers che entrano in un certo stato di presenza che non sarebbe uguale se sapessero prima cosa deve accadere, però a livello registico noi bilanciamo ogni singola replica cercando di dare una coerenza alla personalizzazione di ciascuno”. perciò possiede sia “una dimensione strutturata, matematica” che svela il processo di costruzione dell’artificio scenico e coreografico, sia “un elemento incontrollabile che viene semplicemente innescato senza che si sappia come accadrà quella determinata sera”, ovvero la reazione in scena dei ragazzi.
A questo punto non potevamo non chiedere come sono stati scelti questi nove ‘esemplari umani’. “Questa volta alle audizioni sono venuti tantissimi ragazzi, ma i principi di selezione sono rimasti gli stessi di due anni fa: l’eterogeneità, la differenziazione, per creare un assortimento umano il più articolato possibile, però con il denominatore comune della propensione del mettersi in gioco e della voglia di sfidare la propria condizione”. “Abbiamo dovuto aggiornare i metodi di lavoro – ci ha detto Francesca – perché questi ragazzi non sono i sostituti, per così dire, del cast precedente, sono persone nuove. Quindi abbiamo lavorato sugli stessi principi, ma ritarandoci sulle esigenze di questo gruppo”.
Una volta scelti, infatti, questi “adolescenti kamikaze” sono stati sottoposti ad un vero e proprio “percorso di addestramento” scherza Francesca. Sono partiti dall’essere spettatori per poter acquisire una maggiore consapevolezza “della relazione fra il performer e lo spettatore e del fatto che stare in scena non significa solo imparare ed eseguire meccanicamente una serie di gesti, ma è legato al comprendere cosa significa esporsi sul palcoscenico”, poi “abbiamo lavorato sul loro coraggio, la loro capacità di essere pronti a reagire e a esporsi nel quotidiano con una sorta di performance mimetiche che nessuno doveva rilevare per sottolineare che il loro terreno di addestramento non erano le prove all’interno del teatro ma la loro vita quotidiana, come in fondo è lo spettacolo: uno scambio tra il teatro e la vita”. Francesca ci confessa che “è un metodo peculiare ed è stato molto divertente: si sono scambiati bagagli, letti, hanno fatto le performance a scuola mentre i professori li interrogavano senza che lo scoprissero”. Tutto ciò è servito non tanto per quello che poi dovranno eseguire in scena, ma per addestrarli “al modo in cui lo fanno, che deve essere radicale”.
Non poteva mancare l’ultima fatidica domanda sui progetti futuri. Dopo i 5 debutti di quest’autunno, l’ultimo dei quali sarà Amleto al Teatro Vascello a Roma il 6 e 7 dicembre, la prossima sfida per Francesca e il CollettivO CineticO sarà “il nostro primo lavoro per l’infanzia”, legato a un progetto del Teatro delle briciole che fa parte dei teatri stabili d’innovazione: “abbasseremo ulteriormente la soglia d’età con cui ci relazioniamo”.
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Federica Pezzoli
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