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Dino Sarti (Bologna, 20 novembre 1936 – Bentivoglio (BO), 11 febbraio 2007) è stato chansonnier e showman, artista di night-club e di cabaret, autore di canzoni, attore e scrittore, ma soprattutto un grande figlio di Bologna.
Il 14 agosto 1974 il Comune di Bologna, su idea del sindaco Renato Zangheri, organizzò per i bolognesi rimasti in città, uno spettacolo in piazza Maggiore, incaricando Dino Sarti di condurli verso il ferragosto. Quella sera migliaia di persone si ritrovarono in piazza per applaudire il cantante bolognese, nonostante lo scetticismo che aleggiava in città: “Me a dégh che al séndick l’è dvintè màt: fèr un spetàcuel propri incû che a Bulagna a gni è inciòn!”.
Dopo quel concerto Dino Sarti diventò ancora più famoso in città e le sue canzoni iniziarono a essere conosciute nel resto d’Italia, facilitato dal fatto che erano metà in dialetto e metà in italiano. Da “Spomèti” a “Bologna campione”, da “Tango Ibezéll” a “Viale Ceccarini Riccione”, dalla giovane che cerca “Un biglietto del tram per Stella” lungo via Indipendenza fino a “Prova d’amore”, ispirata al personaggio felliniano di Lallo, grazie a Tonino Guerra che gli aveva fatto leggere in anteprima la sceneggiatura di “Amarcord”.
La carriera dello “sciomen” petroniano ebbe inizio a metà degli anni cinquanta, quando si esibiva nelle balere e alle feste dell’Unità, smessi gli abiti di operaio metalmeccanico. Nel 1958, dopo aver partecipato alla prima edizione del Festival di Castrocaro, grazie al maestro Pino Calvi, ottenne un contratto discografico e incise il suo primo 45 giri: “Giorgio/La pasta asciutta”.
Nel 1972 collaborò con Donatella Moretti, per cui scrisse “Malgrado ciò ti voglio bene” e con Fred Bongusto, firmando i testi di “Non è un capriccio d’agosto” e “Un’occasione per dirti che ti amo”. In quel periodo si esibiva regolarmente al Derby, il famoso locale milanese.
È stato anche un interprete di cover, rigorosamente in dialetto bolognese, di brani stranieri, specialmente della scuola francese, come nel caso di “Non, je n’ai rien oublié” di Charles Aznavour, tradotta in “No, an me scurdarò mai” oppure “In dal pôrt d’Amsterdam” di Jaques Brel, autore anche di “Les vieux”, diventata “I vic’”. La sua parodia di “New York, New York” tradotta in “A vag a Neviork”, fu molto apprezzata, per non parlare di “Dormi Brel”, un omaggio al grande chansonnier belga, scritto insieme a Castellari e “Nathalie” di Gilbert Becaud. Sua la sigla dello sceneggiato tv “Il passatore”, scritta con il maestro Piero Piccioni.
A metà strada tra un cantautore e uno show man, il cantore di Bologna ha avuto il suo periodo d’oro tra gli anni ’70 e ’80, di lui Enzo Biagi diceva: “…le canzoni di Dino Sarti, hanno il sapore del pane all’olio e rispecchiano il carattere della mia gente…”.
Dino Sarti scriveva i testi delle sue canzoni, mentre le musiche erano quasi tutte di Corrado Castellari, noto per avere composto successi per Mina, Milva, Iva Zanicchi, Ornella Vanoni, Adriano Celentano, Stefania Rotolo e Fabrizio de Andrè (sua la musica de “Il testamento di Tito”).
Sarti era dotato di un particolare umorismo, che sapeva trasferire al pubblico, sia dal vivo sia per mezzo dei dischi; il primo dei quattro volumi di “Bologna invece” vendette oltre 100mila copie. Era insuperabile nel descrivere luoghi, personaggi, tic e stereotipi del bolognese medio. Il suo era un microcosmo di personaggi oramai relegati nella memoria di chi ha vissuto quei tempi e in qualche film di Pupi Avati.
Oltre che cantante è stato attore nello sceneggiato televisivo “Fontamara”, diretto da Carlo Lizzani, nei film “Vai alla grande” di Salvatore Samperi, e “Dichiarazioni d’amore” di Pupi Avati e in un carosello dell’Alka Seltzer, diretto da Gillo Pontecorvo (episodio: “Sala di consiglio” 1972).
Intensa anche l’attività di scrittore, iniziando da “Vengo dal night”, dove ripercorre la sua infanzia e con essa la storia di Bologna, cui sono seguiti “Il tango è imbecille?”, ”O si è bolognesi o si sa l’inglese” e “Quanto zucchero?”.
Simpatia e slanci di generosità erano una caratteristica di Sarti, per esempio Clearco, un suo fan di Genova che gli ha dedicato una pagina su Facebook, ci ha confidato di avergli scritto una lettera, ricevendo una risposta scritta e un cd “fatto in casa”, con canzoni rimaste inedite.
Per meglio comprendere lo stato d’animo del cantante bolognese, durante gli ultimi anni di vita, riportiamo uno stralcio di quanto scrisse Maurizio Cevenini (scomparso nel 2012), in occasione del funerale: “… Piazza Maggiore 14 agosto; anche lì c’ero, fresco di diploma quell’estate la passai a Bologna e il ferragosto di quell’anno fu memorabile. Erano davvero quarantamila, più della grande festa per la vittoria del referendum sul divorzio di quel 1974. Forse fu da quella sera, dalle parole di Zangheri, che Bologna stava cambiando, tre anni dopo arrivò lo schiaffo violento del ’77 che riportò tutti con i piedi per terra. Ma quella sera fu indimenticabile, tenne la scena per ore il nostro caro Dino e forse non si accorse, anche se ci furono altri appuntamenti, che la sua città il suo dialetto lo stavano abbandonando. Questa è la verità e me ne accorsi qualche anno fa quando incontrandolo, ospite di un matrimonio, mi disse che tutti i sindaci di Bologna, allora c’era Guazzaloca ma valeva anche per gli altri dopo Zangheri, lo avevano dimenticato. Lo diceva un po’ a tutti e oggi nel giorno del suo funerale guardando i muri spogli del Pantheon della Certosa ci vergogniamo. Come capita sempre più spesso con i figli di questa terra che se ne vanno in silenzio, trascorrendo lontano dalla città gli ultimi anni della loro vita. Non è stato il più grande ma certamente il più popolare cantante del dialetto bolognese. At sàlut Dino, ti grànd”.

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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