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E’ utile un lavoro sulle parole-chiave che danno senso alla nostra esistenza per sottrarle ad un uso corrente che le ha banalizzate, o per liberarle da una scorza vecchia che le ha fossilizzate.
Prendiamo in considerazione due parole importanti: valori e persona. Al termine tradizionale valori affiancherei valorazione. La valorazione è azione per un valore; è il richiamo al processo che crea di continuo valori. Valori, invece, evoca qualcosa di fisso, rigido, definito come una specie di catechismo o prontuario preciso e dato una volta per tutte da applicare e in cui credere. La modernità ha messo in crisi la nozione di valore come essenza immutabile e ha evidenziato la pluralità dei valori in continua formazione. La mancanza di valori è nell’indifferenza, non nella pluralità. Se l’altro vive secondo valori diversi dai miei, non vuol dire che non ci sia nessun valore, ma che ci sono più valori. Permane qualcosa di primitivo del clan nel profondo della modernità quando si tende a considerare valori esclusivamente quelli in cui si crede. Anche l’uomo più progredito conserva nel suo profondo un desiderio di assoluto come istintiva necessità di difesa e sicurezza. Ma, nel tempo della pluralità, trasformare i valori in tavole della legge immutabili per metterli al riparo dalla crisi è progetto destinato a fallire. Per questo non comprendo la dottrina della Chiesa cattolica quando parla di valori non negoziabili. In fondo in che cosa consiste l’etica se non in un lavoro continuo di formazione e aggiornamento dei valori? Quindi, attenzione a non insistere solo sulla scelta dei valori in cui credere, trascurando il lavoro di valorazione che ciascuno deve fare. Il valore implica questa sequenza continua: costruzione-scelta-esperienza-dialogo; per cui la decisione non è un semplice decidere tra opzioni, ma un processo continuo che porta al decidersi. E l’impegno etico autentico è sia dominato dalla situazione in cui il soggetto si trova ad operare, quanto teso a dominare la situazione medesima. Dentro questa dialettica ognuno di noi sperimenta un conflitto di doveri che è la vera scuola in cui si forma l’io morale. L’assenza di risposte risolutive deve costituire l’energia per tenere aperta la ricerca e non essere vissuta come una diminuzione o un ostacolo fastidioso. Solo in questa ottica il relativismo dei valori ci appare non un nichilismo disperato, ma come relazione tra valori diversi.
Il medesimo approccio andrebbe usato verso la parola persona. Persona ha un significato nobile ma statico, perché evoca qualcosa di compiuto che, invece, va spiegato. Personalità è la persona colta nella sua mancanza in cui trova giustificazione il suo faticoso formarsi. Dire personalità significa vedere la persona in movimento che mediante un’energia unificatrice costruisce equilibri instabili passando attraverso prove ed esperienze. Si potrebbe paragonare il percorso esistenziale ad un vero e proprio viaggio di Gulliver.
Conclusione. Come diceva Schopenhauer l’etica deve liberarsi dal complesso del Sinai, cioè essere concepita come un decalogo. Che qualcosa sia un valore non lo decide una tavola della legge, ma lo dice la sua qualità che deve tendere ad un’espansione della vita di tutti. La morale è esperienza sempre sottoposta a verifica con gli altri. Se esisto devo coesistere: questa è la radice di ogni morale. L’etica della responsabilità trasforma il fatto normale di coesistere nell’impegno consapevole del coesistere. Il passaggio a questo dovere è opera della personalità che è la persona cosciente del suo farsi continuo mediante l’educazione e l’autoriflessione. Di un commosso e intenso necrologio di Sartre scritto per la morte di Andrè Gide (marzo 1951) riporto la conclusione che sintetizza bene il senso di questa nota: “Ogni verità è divenuta. Ce ne dimentichiamo troppo spesso. Guardiamo il risultato e non la via percorsa. Consideriamo l’idea come un prodotto finito e non ci accorgiamo invece che è una lenta maturazione, un seguito di errori necessari che si vanno correggendo, di visioni particolari che si completano e si ampliano.”

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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