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Le mie lacrime per Leopardi

A volte credo che la difesa delle proprie convinzioni passi anche attraverso un sano e corretto rifiuto di discussione che non sia veramente motivata. Tutto nasce dall’avere visto “Il giovane favoloso” e di esserne rimasto così turbato (sì lo confesso anche con le lacrime invano ricacciate indietro) proprio perché avevo la certezza di trovarmi di fronte a un capolavoro dovuto alla regia di Martone e alla bravura di uno dei più grandi attori dei nostri tempi, Elio Germano. E quando sento certi colleghi “esperti” catalogare il film come puerile e didattico mi salta la mosca al naso. Si spieghino gli illustrissimi accademici e non e mi diano le ragioni “vere” di questo atteggiamento sussurrato con la boccuccia a “cul de poule”. Loro sono abituati al Leopardi e alla sua protesta civile secondo le indicazioni del mio maestro Binni e di Cesare Luporini? Va bene. Ma che dire come qui, nel film, l’infelicità e il dolore mettano in causa attraverso il dubbio la protesta del nostro stato e alla fine trovano una spiegazione attraverso la “social catena” umana della “Ginestra” che nel dolore trova e dà senso al vivere?
Altro che il “romantico” Leopardi a cui ci avevano abituato. Si romantico perché titanico: come Chopin ridotto fino alla mia generazione a musicista da signorine.
Ha ragione la mia amica Anna Dolfi autore di tre splendidi saggi su Leopardi ad avermi rimproverato la mia indifferenza verso quel poeta in tanti anni di commercio intellettuale. Ma non è mai troppo tardi. Anch’io alla mia venerabile età sono arrivato attraverso un film a capire le ragioni leopardiane. E per questo che difendo questo valore ritrovato nel momento che solo l’eticità di quella posizione è “rimedio unico ai mali” che in questo nostro deluso e deludente presente ci renderebbe degni di chiamarci popolo o meglio nazione. E i giovani lo sanno. Mi dicono che a Firenze la proiezione per le scuole superiori sia stata seguita in religioso silenzio e che Martone fino alle una di notte ha dovuto rispondere alle domande dei ragazzi.
Alla buonora! E perciò non mi vergogno d’aver pianto e di difendere questo film che è o sarà amato dalla meglio gioventù…

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)