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Questa pandemia ci ha ricordato la nostra natura ‘mediterranea’, ha richiamato i tratti riconoscibili del nostro popolo che accomunano Nord e Sud, sorvolando sulle distinzioni delle quali solitamente ci fregiamo – spesso luoghi comuni – che nascono a partire dalla latitudine di appartenenza. Abbiamo dimostrato di essere una nazione che, al cospetto di un evento di gravità spropositata, reagisce con emotività, slancio, inventiva, passione, generosità, anche insofferenza, talvolta, al rigore e alla disciplina che si traduce in superficialità, inclinazione alla critica infondata e alla detrazione.
Dalle Alpi all’Italia insulare e meridionale, con concessioni più marcate in alcune zone anziché altre, siamo uniti in una visione d’insieme che crea comunanza e permette di riconoscersi per una volta senza distinzione e pregiudizio, senza rinunciare però all’individualità che ci contraddistingue.

Non siamo la Germania monolitica in cui il senso di ‘Heimat’, la Patria, è intoccabile, ferreo storico punto di riferimento che crea e cementa coesione e compattezza del ‘Volk’, il popolo.
Noi siamo gente ‘di pancia’, che non cede facilmente davanti a ragionamenti, dimostrazioni oggettive, argomentazioni circostanziate e approfondimenti perché emerge in noi quell’istinto guerriero reattivo che ci vuole protagonisti della scena, ciascuno a dire la sua, sostenere una propria tesi, demolire quanto ritenuto scomodo o sconveniente, pontificare e sentenziare, dare sfoggio di competenze anche laddove non ne siamo titolati, intraprendere ciascuno una propria battagli ma anche lanciare bellissime campagne di solidarietà e sostegno ai più vulnerabili, chi decidiamo noi.
Offriamo un’immagine caratteristica che ha colorato e movimentato questo interminabile periodo di sospensione da ciò che sembrava dovesse essere indiscutibile e immutato.
Non siamo compassati, freddi, assertivi, sufficientemente obbedienti, inquadrati, rigorosi, coerenti: siamo vivaci, irruenti, empatici, attivi, ingegnosi, impulsivi, dei creativi spiazzati dal cambiamento di schemi che prevedono un grado di libertà controllata, monitorata, sottoposta a vaglio continuo e viviamo la quotidianità scalpitando impazienti per tornare a riappropriarci dei nostri spazi, delle nostre attività ferme, di nuove forme e opportunità di lavoro.

Vogliamo ricominciare ad esprimere ciò che siamo, partendo dalla nostra identità, per dare fondo a tutti i nostri sforzi, le nostre risorse, i sacrifici, la volontà, le idee, i progetti nuovi che forse potranno ossigenarci e toglierci dall’apnea per allontanarci dallo spettro della recessione più nera.
Discutiamo ininterrottamente sui social – dal momento che altri luoghi di aggregazione ci sono interdetti – dei nostri comportamenti, delle nostre decisioni, delle convinzioni che ci guidano, delle scelte e dei nostri ‘credo’, spesso a paragone con altri popoli, formulando ipotesi sul perché siamo come siamo.

Scriveva Luigi Barzini  nel suo libro  ‘Gli Italiani, vizi e virtù di un popolo’, (1964): “[…] Ho scoperto che tutti, istintivamente, riconosciamo come talune abitudini, taluni tratti di carattere, certe tendenze e certe pratiche siano inequivocabilmente nostre. Le chiamiamo ‘le cose all’italiana’. Queste parole vengono talora pronunciate con fierezza, talora con affetto, con ironia, con compassione, con aria divertita, o con rassegnazione, molto spesso con ira, sdegno, o sarcasmo, ma sempre con un sottofondo di tristezza. […]”. E col suo accenno di sarcastico sorriso,
Paolo Villaggio ci descriveva nel suo esilerante romanzo ‘Fantozzi’, regalandoci una nota di colore e leggerezza:
“Gli Italiani quando sono in due si confidano segreti, tre fanno considerazioni filosofiche, quattro giocano a scopa, cinque a poker, sei parlano di calcio, sette fondano un partito del quale aspirano tutti segretamente alla presidenza, otto formano un coro di montagna.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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