Skip to main content
15 Febbraio 2014

Le merlettaie di Vologda

Tempo di lettura: 4 minuti


merlettaie-vologda

Un giorno dopo San Valentino, e uno prima della domenica dove solitamente si va al ballo, eccoci qua parlare di femminilità, di cipria e merletti, di ago e filo, capaci di ricamare sogni.
Sì perché, fra le tante cose belle che ci circondando, in attesa di vedere magari un bel balletto classico dedicato a Cinderella in qualche teatro moscovita (programma ancora da esplorare, magari c’è già in cartellone), ne abbiamo scoperta una davvero interessante. I merletti.

Siamo abituati a mettere in relazione il pizzo alla donna femminile ed elegante, leziosa e un po’ civettuola; talora vi vediamo sensualità, talaltra favole armoniose, sentimenti e sensibilità di principesse e damigelle chiuse nei loro castelli a ricamare alla luce di un raggio di sole che si insinua da finestre dalla forma oblunga, al ritmo di una candela che fiocamente illumina i telai.

Mani delicate accarezzano tele candide che, piano piano, prendono forma, al tocco leggero di agili dita che sfiorano cotoni e fili bianchi, per dare forma a farfalle, rami fioriti, petali.

Merletto deriva dal termine “merlo”, inteso proprio nel senso di elemento terminale a serie intervallate, a coda di rondine o a parallelepipedo, che orna la cima di un castello maestoso, come quello poc’anzi immaginato, che svetta su una rupe dalla quale si domina tutta la vallata coperta di rugiada. Cinto da merlate e maestose mura e da alte torri… qui delicate mani creavano, impazienti.

Intravediamo lontani scialli e veli che terminano in deliziosi pizzi, dame che quando volevano attirare l’attenzione di un uomo lasciavano cadere a terra il loro prezioso fazzolettino con un bellissimo bordo merlettato e, come di consueto, il cavaliere lo raccoglieva donandolo nuovamente alla bella dama sorridente, alla quale era per errore e per caso caduto di mano…

Da questi animi leggeri, sognatori e romantici, prendono vita ricami di ogni tipo, a partire dalla fine del XVI secolo, quando in Francia si producevano i pizzi Valenciennes o Chantilly. Attenzione però, il lino arrivava dalla Russia, dove abili tessitrici iniziarono presto a porre in crisi il primato francese, dando vita a creazioni sublimi che sarebbero state ribattezzate Valenciennes russi.

La tradizione della tessitura dei merletti nella Russia settentrionale risale al XVII secolo, quando numerose artigiane già producevano questi eterei tessuti con fili d’oro e d’argento. Le città di Vologda, Yelets, Ryazan’, Toržok e Novgorod divennero presto il centro di quest’arte.

La creatività stava nelle peculiarità delle figure, nell’utilizzo di tessuti colorati, nei nuovi tipi di nodi, sempre più originali. Con i merletti si decoravano poi gli interni, la biancheria da tavola, da bagno, da letto. Quanti corredi venivano preparati a mano e con cura, in vista di una futura e duratura unione che fosse benedetta da tanto candore e amore. E quanti asciugamani ricamati con iniziali orlate attentamente, rigorosamente a mano, e bordati di pizzi cadenti come salici.

Grazia, eleganza ed eterea delicatezza. Tutte racchiuse in Vologda, città della Russia occidentale, situata sul fiume omonimo, sovrastata dalla Cattedrale a cinque cupole di Santa Sofia, conosciuta come “la città dove si trova la resnoj palisad”, dalle parole di una nota canzone, ossia una palizzata in legno, che si trova davanti e ai due lati delle case, realizzata utilizzando la lavorazione dell’intaglio. Gli artigiani di Vologda erano famosi in tutto il Paese perché usavano il legno per costruire e decorare le case. Mezzanini, colonne, portici con decorazioni frontali intagliate a mano e balconcini ornati sembrano anch’essi pizzi delicati. Forse anche ad essi si erano ispirate le ricamatrici divenute famose. “La merlettaia di Vologda”, un marchio nazionale di fama mondiale, riscosse grande successo all’esibizione internazionale di Filadelfia del 1876 e a quella di Chicago del 1893. Alla fiera di Parigi del 1925 e a quella di Bruxelles del 1958, il marchio fu premiato con medaglie d’oro.

La maestria di queste artiste lascia davvero stupiti: i loro merletti sono intrecciati a mano su appositi cuscinetti di forma cilindrica, con l’aiuto dei koklyushka, piccoli fusi di legno sui quali sono avvolti i fili delicati. Il disegno del pizzo da riprodurre viene riportato su un apposito schema, e sviluppato individualmente da ogni artigiana. Figure geometriche, fiori, pesci, uccelli, cerbiatti, leoni. Ma anche creature fantastiche, sirene e unicorni, insieme a fenomeni naturali come l’aurora boreale. Sono questi i motivi decorativi più ricorrenti. Oltre a dame, cavalieri, contadini e contadine rappresentati nei caratteristici abiti e nelle kokoshniks (pettinatura tradizionale femminile russa portata con il sarafan, un abito semplice, dritto, senza maniche), i merletti riproducono anche immagini architettoniche, come chiese, ponti e palazzi.

Agli inizi del XX secolo, la produzione di merletti nella Russia settentrionale era affidata a circa quarantamila artigiane, che apprendevano la loro arte in un’apposita scuola o tramite un addestramento che le preparava alla lavorazione del merletto sin da bambine. A Vologda, l’8 marzo 1928, è stata fondata una scuola professionale del merletto. La fama delle ricamatrici cresceva. Esse divennero talmente rinomate da essere inserite, nel 2011, nel Libro dei record nazionali per la produzione più massiccia di merletti.  Numeri e qualità, abilità e competenza, cura e attenzione, fantasia ed estro, passione e dedizione. E tanto altro ancora.

Merletti, arte di vita e della vita. Saper ricamare una storia deve essere davvero meraviglioso.

La vita è come una stoffa ricamata della quale ciascuno nella propria metà dell’esistenza può osservare il diritto, nella seconda invece il rovescio: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, perché ci fa vedere l’intreccio dei fili. (Arthur Schopenhauer)

tag:

Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it