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12 Luglio 2022

La montagna incantata

Tempo di lettura: 4 minuti


 

La montagna è uno dei grandi protagonisti del nostro ambiente naturale, maestosa, sovrastante, potente, affascinante, a volte matrigna, imperscrutabile, incantata.
Da sempre è il simbolo dell’unione tra terra e cielo, luogo di ascesi e sede delle divinità.
Rappresenta la sfida, la volontà di conquista dell’essere umano nello sforzo della scalata, superando l’impervietà, il pericolo, il vuoto, l’imprevisto.

Ma la montagna non si lascia piegare, non accetta compromessi e chiede un tributo enorme in termini di coraggio, forza, preparazione, conoscenza e umiltà nel riconoscere quanto siamo piccoli davanti all’immensa forza della natura. Sulle cime, negli anfratti, dentro le cavità ben mimetizzate, sugli speroni più estremi, negli avvallamenti inaspettati, sui nevai e ghiacciai, in riva alle sorgenti di alta quota, nella fantasia popolare vivono le figure leggendarie e mitologiche che accompagnano l’umanità dagli albori, quando si cominciò a identificare i luoghi montani con la sede del sacro e, per contro, del demoniaco. I monti diventano habitat di animali fantastici benevoli o maligni, di personaggi strani orripilanti o magnifici, di piante dai magici poteri inspiegabili e dalle proprietà sbalorditive. Complice la montagna, la vita delle popolazioni di quei luoghi è stata condizionsta indissolubilmente da queste presenze, e scandita secondo rituali, paure, credenze e pratiche secolari.

Gigiat

Sulle montagne della Val Masino, provincia di Sondrio, ci imbattiamo idealmente nel “Gigiàt”, gigantesco essere mostruoso dal pelo foltissimo, metà camoscio e metà caprone, provvisto sia di zoccoli che di unghioni, con una testa enorme, sproporzionata. Nonostante le apparenze è una figura benevola, accorsa in più occasioni a soccorrere scalatori in difficoltà, persone in bilico sui precipizi, guide alpine e ‘rifugisti’ in condizione di bisogno.

 

Krampus

In Trentino Alto Adige incontriamo i Krampus” che scendono nei villaggi per spaventare gli abitanti con urla spaventose, rumorosi suoni di campanacci e il sibilo delle sferzate poderose di fruste improvvisate. Il volto è terrificante, bocche spalancate, occhi iniettati di sangue, lunghe e affilate corna che completano l’aspetto luciferino,  espressioni che incutono inquietudine e desiderio di fuga. Figure leggendarie che sopravvivono ancor oggi nelle feste tradizionali di questa regione.

 

 

La maga Sibilla appenninica

Sulle montagne appenniniche la maga Sibilla è la regina incontrastata di un mondo sotterraneo di grotte, stretti e ripidi cunicoli, passaggi sospesi nel vuoto, dove un vento stizzoso ricaccia indietro anche i più audaci. E coloro che riescono a raggiungere, attraverso un abisso, le porte metalliche  del regno della megera decidendo di rimanere, impareranno a comprendere tutte le lingue in 9 giorni e dopo 300 giorni a parlarle tutte. Nel regno non esiste vecchiaia o dolore, sofferenza o disagio e gli abitanti vivono di innumerevoli agi e ricchezze. Ma alla mezzanotte di ogni venerdì essi si trasformano in serpenti schifosi e rimangono tali fino allo scoccare della mezzanotte del sabato, in quel paradiso demoniaco. In Abruzzo arriva da lontano una figura mitologica conosciutissima: la ninfa Maja. Era arrivata dall’Anatolia, in fuga per mettere in salvo il figlio Hermes ferito in battaglia, avuto da Zeus. Temendo di essere inseguita dai nemici, si rifugiò in una grotta del Gran Sasso per curarlo e trascorse molto tempo alla ricerca di un’erba medica che potesse ridargli la salute. La neve però nascondeva tutto e nonostante l’affannosa ricerca e gli sforzi della ninfa, il giovane morì. La madre lo seppellì e la salma si trasformò in una maestosa montagna, chiamata ancor oggi “Il gigante che dorme”. Maja seguì a breve la sorte del figlio e venne seppellita avvolta in ricche vesti, gioielli e manufatti preziosi, di fronte al Gran Sasso, su una cima chiamata da quel giorno “Majella”. Ricorda una donna in preda a un dolore profondo, riversa a terra con lo sguardo verso il mare. I pastori sentono il suo pianto nelle giornate di vento.

Montagne popolate da dei, semidei, troll, elfi, maghe, esseri mirabolanti di ogni genere. Montagne che vivono, partecipano al destino degli umani, dettano le loro regole, premiano e puniscono. Montagne ingovernabili che si rifiutano di essere ingabbiate, violate, distrutte, contaminate. Montagne che chiedono all’uomo onestà e rispetto in un rapporto simbiotico di reciproco riconoscimento. Montagne che offrono gustosi spunti mitologici e leggendari ma anche montagne che nella crudezza della realtà gridano, lanciano segnali e rivendicano quell’ancestrale legame di equilibrio che forse sta venendo a mancare. E, come diceva Walter Bonatti, alpinista, esploratore e scrittore “E’ per conoscermi meglio e per trovare una mia dimensione che ho scalato montagne impossibili. L’ho fatto spinto dalla bellezza delle montagne alpine, dalla sfida e dal piacere di sapere.”

Cover: I Krampus sono uomini-caproni scatenati e molto inquietanti che si aggirano per le strade alla ricerca dei bambini “cattivi”. Le loro facce sono coperte da maschere diaboliche e paurose; i loro abiti sono laceri, sporchi e consunti. I Krampus quando vagano per le vie dei paesi provocano rumori ottenuti da campanacci o corni, che li accompagnano nel tragitto che li porta in giro. L’origine di questa usanza, mantenuta con fiero orgoglio in molti comuni dell’Alto Adige, si perde nella notte dei tempi.  In Alto Adige sfilano solitamente il 5 dicembre al seguito di San Nicolò.(foto e nota di Michele Bighignoli – su licenza Wikimedia Commons)

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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