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La stoffa delle donne /
Nellie Bly, una ragazza orfana e solitaria

La stoffa delle donne: Nellie Bly, una ragazza orfana e solitaria

Lei è Elizabeth Jane Cochran.

Nasce nella contea di Armstrong, l’odierna Pittsburgh in Pennsylvania, il 5 maggio 1864. Suo padre Michael Cochran,  un ricco possidente rimasto vedovo con dieci figli, sposa la madre di Elizabeth, Mary Jane Kennedy, con la quale ne avrà altri cinque. La prima infanzia di Elizabeth era trascorsa serena, fino a quando la prematura morte del padre fa precipitare la famiglia in un vero e proprio dissesto finanziario, a causa della spartizione dell’eredità.

La madre si vede costretta a lasciare la casa e ben presto si risposa con un uomo che si rivelerà violento ed etilista, tanto da indurla al divorzio. La giovane Elizabeth che all’epoca era impegnata negli studi per inseguire il suo sogno di diventare maestra, dovrà abbandonare tutto e svolgere lavoretti saltuari per poter contribuire al mantenimento dei fratelli. Come se non bastasse, sarà anche chiamata a testimoniare per la causa intentata dalla madre a seguito degli abusi subiti nel suo secondo matrimonio.

Tutte queste dure esperienze indubbiamente contribuirono a fortificare e forgiare il carattere della giovane che sentiva crescere dentro di sé un forte istinto di indipendenza e di sensibilità verso le ingiustizie ed i soprusi. A sua insaputa, la vita, che sino ad allora le aveva riservato ben poche gioie, sta per prendere una piega inaspettata.
Nel 1885 uno dei principali quotidiani della sua città, il Pittsburgh Dispatch, pubblica un articolo intitolato “What girl are good for” (a cosa servono le ragazze) dai contenuti fortemente misogini, nel quale l’editorialista argomenta che il compito delle ragazze è quello di dedicarsi solo alle faccende domestiche e di accudimento. Inoltre critica pesantemente coloro che avevano l’ambizione di lavorare e studiare, definendola “un’aberrazione”.

Al giornale “piovono” numerose lettere di protesta, e tra queste anche quella della ventunenne Elizabeth, che si firma con lo pseudonimo “Lonely Orphan girl” (ragazza orfana e solitaria). Il direttore del giornale, George Madden, incuriosito dalla lettera dal tono estremamente deciso, pubblica un annuncio nel quale chiede all’autrice di presentarsi alla redazione del giornale. Fu così che Elizabeth ebbe il suo primo lavoro come giornalista e George Madden trovò per lei uno pseudonimo “Nellie Bly” (in quanto la professione di giornalista era poco usuale per una donna) ispirandosi al titolo di una canzone di Stephen Foster, autore di un altro brano, “Oh Susanna”, molto in voga a quei tempi.

Nellie inizia a scrivere con grande passione articoli “forti”, documentando le condizioni lavorative delle donne (esperienza questa vissuta sulla propria pelle), lo sfruttamento del lavoro minorile, degli operai, dei contadini e degli immigrati.
Si occupa anche di questioni legate al matrimonio ed al divorzio Fu una delle poche giornaliste ad intervistare Belva Ann Lockwood, la prima donna candidata alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America, attiva nella lotta per i diritti delle donne.

Ma gli articoli di Nellie non passano inosservati e numerosi inserzionisti del Pittsburgh Dispatch, infastiditi dalla risonanza che i suoi scritti suscitano nell’opinione pubblica, minacciano di bloccare i finanziamenti al giornale.
Il direttore allora, per non correre rischi, affida alla giovane giornalista rubriche di moda e costume, argomenti all’epoca ritenuti molto più consoni ad una donna. Ma Nellie non ci sta, convince Madden ad inviarla come corrispondente estera in Messico, da dove tra il 1886 ed il 1887 pubblicherà numerosi articoli di denuncia sulle precarie condizioni sociali di quel Paese, soffocato dal potere di Porfirio Diaz.
Dopo soli sei mesi il Governo messicano la espelle, le sue inchieste erano troppo scomode, racconta dello sfruttamento dei contadini e della corruzione imperante nel Paese e della detenzione di un giornalista che nei suoi articoli aveva denunciato proprio questo malcostume.

Ritornata in patria, contatta Joseph Pulitzer, ebreo di origini ungheresi e proprietario del giornale New York World, diventato in pochi anni, grazie a lui, uno dei quotidiani più influenti degli Stati Uniti. Pulitzer, puntando su uno stile sensazionalistico ed innovativo, racconta storie di immigrati e di appartenenti alle classi meno abbienti. Era noto descrivesse la cronaca nera “condita” spesso di elementi scabrosi, più o meno reali, per rendere più accattivanti le notizie.

Fu così che Nellie trovo terreno fertile per le sue inchieste ed avanzò a Pulitzer la proposta di poter condurre un reportage sui manicomi. Guidata dallo stile che aveva da sempre contraddistinto il suo lavoro, concorda assieme alla redazione del giornale di introdursi, sotto copertura, in un manicomio di New York, allo scopo di documentare la condizione delle donne ricoverate. Organizza tutto nei minimi particolari, deve fingersi pazza e soprattutto deve essere credibile, studia le espressioni del suo volto davanti ad uno specchio, si concentra il più possibile sul mantenere la fissità dello sguardo ed indossa i vestiti più vecchi e malconci che possiede. Si presenta così presso una casa di accoglienza per donne sole ed indigenti. Il percorso a piedi verso questa destinazione è una sorta di viaggio iniziatico e metamorfico, durante il quale avviene una vera e propria trasformazione, con Nellie Bly che diviene Nellie Brown, una ragazza povera e squilibrata. All’interno della casa di accoglienza Nellie mette in scena il suo copione studiato ad arte, si mostra smemorata ed incapace di badare a se stessa, spaventa volutamente con atteggiamenti inconsueti le altre ospiti. La sua “performance” è così perfetta che dopo pochi giorni la direttrice della struttura decide di condurre la ragazza presso un commissariato, nel tentativo di effettuare almeno un riconoscimento d’identità, dal momento che Nellie finge di non ricordare più nulla. Dopo qualche eccesso d’ira sempre accompagnati da una totale amnesia, un giudice, corroborato dalla diagnosi frettolosa di un medico, decide per la giovane il trasferimento all’ospedale psichiatrico “Bellevue”. Trascorso un breve periodo in osservazione, per Nellie si apre il portone del manicomio femminile per alienate sull’isola di Blackwell, un lembo di terra a pochi metri dalle rive di Manhattan. Luogo tristemente famoso, in quanto per le pazienti non era possibile dimostrare la propria sanità mentale e per loro il ricovero si trasformava in un vero e proprio ergastolo.

Giova ricordare che nel 1842 Charles Dickens visitò la struttura rimanendone sconvolto, tanto che ne fece una dettagliata descrizione nel suo “American notes” (Diario di viaggio). In quell’epoca entrare in una cosiddetta “istituzione totale” era assai facile ma pressoché impossibile uscirne. Nellie trascorse dieci lunghissimi e faticosissimi giorni tra quelle mura, riuscì a documentare, vivendole sulla propria pelle, le innumerevoli violenze ed ingiustizie che venivano perpetrate ai danni delle pazienti.

All’interno dell’istituto, la cui capienza massima era di mille pazienti,  erano ricoverate 1600 donne, molte di loro erano immigrate che non riuscivano a comunicare con la Polizia, altre non soffrivano di patologie psichiatriche ma erano semplicemente donne che vivevano per strada e non riuscivano a sbarcare il lunario. Pochissimi erano i medici e gli infermieri e le condizioni igienico-sanitarie erano disastrose, per non parlare poi delle innumerevoli violenze ed abusi che erano all’ordine del giorno. Il fatto incredibile al quale Nellie stessa non si rassegna è, come cita testualmente, “vi è una cosa, soprattutto, che mi lascia oltremodo perplessa: nel momento stesso in cui fui internata cessai di atteggiarmi a pazza e mi comportai in modo assolutamente ordinario. E tuttavia più parlavo ed agivo razionalmente, più ero ritenuta da tutti i sanitari afflitta da follia”.

Allo scadere del decimo giorno di reclusione sull’isola di Blackwell, come da accordi stipulati con la redazione del giornale, Nellie riacquista finalmente la libertà. Decide di mettere tutta la sua esperienza nero su bianco, iniziando a raccontare del “Pensionato per donne sole”, dell’ospedale psichiatrico ed infine del Manicomio. La sua inchiesta a puntate, dal titolo “Ten Days in a Mad House “ (Dieci giorni in manicomio) solleva un vero e proprio polverone, con un’impennata di vendite del giornale, tanto che il Gran Giurì inizia una serie di ispezioni ed interrogatori, chiamando Nellie a testimoniare.

Ormai la nostra giornalista non solo è divenuta una firma di punta, famosa e rispettata dai colleghi ma, fatto ancora più importante, con le sue inchieste riesce a scuotere l’opinione pubblica. Nel giro di poco tempo il Governo decide di stanziare un milione di dollari per migliorare le condizioni all’interno degli istituti psichiatrici.

L’attività giornalistica di Nellie non si esaurisce certo dopo questa esperienza e nel 1913, quando le Suffragiste marciano a Washington per rivendicare il diritto di voto per le donne, lei è una delle poche giornaliste a documentare dal vivo l’evento. Le sue inchieste sotto copertura la porteranno poi a farsi arrestare per rivelare le condizioni delle donne negli istituti di pena, a farsi assumere in una fabbrica del Lower East Side, per poi pubblicare un articolo denuncia sul New York Word dal titolo “Nellie Bly ci racconta cosa significa essere una schiava bianca”. La sua fama è ormai inarrestabile ed arriva a fingersi la moglie di un industriale farmaceutico per riuscire a far emergere i nomi di politici corrotti. Scrive ogni suo articolo con grande passione e professionalità senza tralasciare di proporre soluzioni nel tentativo di migliorare le realtà che la circonda, con particolare riguardo per le donne e le persone fragili. Il suo è il primo esempio di giornalismo investigativo sottocopertura. Le sue inchieste sono vere e proprie denunce mirate a sollevare il velo di omertà e corruzione, svelando ciò che la società ostinatamente tenta di occultare.

Ma non è tutto qui, Nellie è tanto altro ancora…e la sua storia continua…tra due settimane

Leggi le altre puntate de La stoffa delle donne di Caterina Orsoni:
07.03.25  La stoffa delle donne
05.04.25 Carmen Mondragon “Occhi color smeraldo”
26.04.25 Lucia Joyce, la Sirena dall’anima fragile

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Caterina Orsoni

Caterina Orsoni vive a Ferrara e nel tempo libero ama curiosare tra le bancarelle dei mercatini alla ricerca di oggetti curiosi, insoliti, a volte misteriosi che diventano una scusa per dialogare con gli espositori e ritornare indietro al tempo in cui questi oggetti venivano usati. I mercatini sono così anche fonte di ispirazione e di acquisizione di oggetti e materiali naturali, quali legno e tessuti, da riusare nelle composizioni che lei stessa crea.

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