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Come è possibile dimenticare che Ferrara è stata culla dell’Ebraismo, con una Comunità Ebraica che affonda le sue radici nel XII secolo?

Stiamo parlando della città di Giorgio Bassani, autore de Gli occhiali d’oro Il giardino dei Finzi Contini, divenuto poi famoso in tutto il mondo grazie all’omonimo film del regista Vittorio De Sica [Qui].

Come dimenticare che, dei cento ebrei ferraresi deportati nei campi di sterminio, solamente cinque di loro hanno fatto ritorno?

Non si placano le critiche sull’inadeguata e infelice definizione di Festival delle Memorie per le iniziative in programma a Ferrara in occasione del Giorno della Memoria, 27 gennaio, nonostante il repentino cambio di nome in Settimana delle Memorie , da molti visto come una banale ‘arrampicata sugli specchi’.
Gli autori di questo cosiddetto ‘festival’ sarebbero l’attore Moni Ovadia [Qui], attuale direttore artistico del teatro Comunale di Ferrara, e il prof. Vittorio Sgarbi, come presidente di Ferrara Arte.
Numerosissimi i commenti e gli articoli negativi da parte dei membri della comunità ebraica, rappresentati anche da personalità di rilievo, indignati dall’organizzazione e dal messaggio che essa propone.
L’amico professore universitario Ugo Volli, scrittore e autore del libro Mai più! Usi e abusi del giorno della memoria, ha commentato a riguardo: “E’ possibile accostare la parola ‘festa’ (da cui ‘festival’ evidentemente deriva) al genocidio, alla strage e alla tortura di milioni di persone? Chi può essere così perverso e insensibile da pensare ad una Sanremo della Shoah?”
“Festival delle Memorie a Ferrara?”, scrive la giornalista Deborah Fait, “Banalizzazione della Shoah. Un minestrone di banalità, un’insalata russa di genocidi avvenuti nella storia. Il 27 gennaio è la data istituzionale legiferata nel 2005 dall’Assemblea delle Nazioni Unite per non dimenticare il genocidio del popolo ebraico. Tutti gli altri genocidi hanno le loro date specifiche”.
Anche Kiwan Kiwan, politico ferrarese di origini libanesi, sottolinea che “tutte le storie non possono essere accomunate per il solo fatto che hanno prodotto un genocidio”.
Ogni storia è a sè, ognuna ha la sua drammatica identità, e accomunarle e non dar loro separatamente il giusto rilievo vuol dire sminuire tutti i genocidi perpetrati nella storia.
Non poteva mancare il commento di Vittorio Polacco, uno degli ultimi sopravvissuti che sarà ospite giovedì 27 alla trasmissione I fatti vostri su Rai2: “La Memoria non può e non deve essere un festival. Chi vi scrive è un reduce della retata del 16 ottobre a Roma; caricato sul camion tedesco con nonni, zii e cugini, e di quel camion solo io mi sono salvato”.
Durante la conferenza stampa per la presentazione del Festival, Sgarbi ha voluto esternare un giudizio dell’amico Ovadia sul fantomatico ‘genocidio palestinese’ ad opera di Israele. L’atteggiamento e il pensiero di Moni Ovadia, ‘antitutto per eccellenza’ quando si parla di ebrei e di Israele, non rappresentano certo una novità agli occhi della comunità ebraica.
La delusione di molti deriva proprio da Vittorio Sgarbi, che ha scelto il momento meno adatto per certe dichiarazioni. Sgarbi si è sempre dichiarato amico degli ebrei e di Israele, dichiarando in passato che “Israele si difende da un estremismo fanatico. Gli israeliani non accoltellano i turisti per strada. Non lanciano quotidianamente razzi contro le abitazioni civili. Non incitano i giovani al martirio imbottendo loro di esplosivi. Si difendono. Contro gli israeliani e gli ebrei in particolare, pregiudizi inaccettabili, frutto di disinformazione e di rancore ideologico”.
E mentre noi scegliamo di generalizzare la Memoria di un’intera comunità, mettendola a paragone con altri drammatici eventi della storia dell’Uomo, nella giornata ad essa dedicata, pochi giorni fa in Toscana due ragazzine quindicenni sputavano e insultavano un dodicenne ‘semplicemente’ perché ebreo.
“Non ricordate gli ebrei morti, se non difendete quelli vivi”. Dobbiamo porci molte domande.
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Laura Rossi

Curatrice e insegnante d’arte. Ha recensito vari libri e ha collaborato con alcuni mensili curandone la pagina dell’arte come “la cultura e l’arte del Nord-est” e la pagina dell’arte di Sport-Comumi. Ha curato la Galleria Farini di Bologna e tutt’ora dirige e cura a Ferrara la Collezione dello scultore Mario Piva. Ha ricoperto per circa dieci anni la carica di presidente della Nuova Officina Ferrarese, con decine di pittori e scultori fino agli inizi degli anni duemila. Sue critiche d’arte sono pubblicate sul “Dizionario enciclopedico internazionale d’arte contemporanea” 1999/2000

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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