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Scopro con piacere che la mia città, Ferrara, è tra le 58 città italiane che aderiscono alla rete delle città intelligenti. Cos’è e cosa significa lo si può apprendere leggendo le 216 pagine del “Vademecum per la città intelligente” un documento dell’Anci introdotto dal suo presidente, il sindaco di Torino, Piero Fassino. Nella sua premessa Fassino tocca due punti importanti per ripensare la città in un’ottica “smart”, il superamento di quello che definisce “l’effetto presepe” che oggi caratterizza la maggior parte delle esperienze cittadine: tanti progetti, spesso di sicuro valore, ma che rimangono isolati, incapaci di creare tessuto, di cambiare realmente in meglio la qualità della vita quotidiana dei cittadini. L’altro, la necessità di ripensare il rapporto con i soggetti attivi del territorio e le imprese, il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte fondamentali del vivere urbano.

Dopo un’estate segnata dal dibattito sul fallimento di Carife che ha fatto venire il torcicollo per quanto era rivolto a rivangare il passato, sapere di abitare una città che si propone di diventare “intelligente” è almeno di conforto. Non è con il recriminare il passato che si può creare la prosperità della nostra città, perché oggi essa dipende unicamente dalla capacità di produrre nuovo pensiero, e gli esempi in giro per il mondo non mancano. Ma questo ancora non l’ho sentito dire da nessuno, nemmeno dai nostri amministratori.
Come è finita l’era della città industriale, è finita quella della Carife, e ancor prima quella della BNA, la banca nazionale dell’agricoltura. Magari allora la città vinceva, ma a perderci, come la storia ha dimostrato, sono stati i cittadini. Perché il tema è sempre quello, bisogna vedere che idea di città si vuole, una città da vendere, da consumare o una città da vivere. Essere città intelligente, è scritto nel Vademecum dell’Anci, significa trovare strumenti inediti di governo del territorio che consentano di costruire un futuro di sviluppo per la propria città.
A leggere le dichiarazioni di intenti che riguardano il programma “smart” della nostra città contenuto nel Vademecum, si comprende che siamo ancora agli inizi e soprattutto, al di là degli addetti ai lavori e forse degli uffici dell’amministrazione cittadina, il resto della città poco ne sa. Pare che la neonata creatura sulla strada della città intelligente sia l’Urban Center, un laboratorio che dovrebbe facilitare l’ascolto e il dialogo con i cittadini per la condivisione di obiettivi e valori urbanistici, ambientali e sociali. Per ora c’è il sito, aspettiamo che cresca.
Occorre intelligenza anche per pensare come diventare città intelligenti. E nella città ci sono tutte le condizioni, ma è necessario innanzitutto tornare a rivolgere lo sguardo verso i propri cittadini. Perché il fallimento di una città non è la sua debolezza economica, ma la sua sterilità, il suo perdere il contatto con le persone. La grandezza di una città è sempre venuta dalla sua gente. Perché essere città significa collaborazione tra gli individui, attirare e far incontrare intelligenze, è di qui che la città ricava la sua forza, il suo successo, perché questa è la principale ragione per cui esistono le città.
Centralità delle persone, centralità dell’incontro, centralità della partecipazione, centralità di una città vissuta per essere cresciuta e amministrata insieme. Come viene sottolineato dall’Osservatorio nazionale delle smart City, il percorso che porta alla costruzione della vocazione economica e sociale della città intelligente non può più essere definito da poche persone, per quanto influenti, nel chiuso delle loro stanze; ma richiede sempre di più il coinvolgimento dei cittadini sia come destinatari che come coproduttori. Su questo c’è ancora tanta strada da compiere.
Ma non solo. Una città non può pretendere d’essere intelligente, se non è una città per i suoi giovani, quelli che più d’ogni altro hanno da essere i protagonisti, i soggetti vitali, perché presente e futuro della città. Una città intelligente ha a cuore la loro istruzione e cultura.

La “città intelligente” promette di preservare e migliorare il benessere della società per la maggiore rilevanza assegnata ai capitali umani, ambientali, intellettuali e sociali considerati importanti quanto le infrastrutture. In questo contesto l’istruzione è finalizzata alla formazione dei “migliori cervelli”, quelli in grado di produrre idee e soluzioni intelligenti, in termini di infrastrutture (scuole e università) e di efficienza dei “sistemi produttivi”. Un approccio entro il quale “l’apprendimento intelligente” è considerato una delle forze trainanti del benessere di una comunità.
Ma non è così facile, perché bisogna cambiare marcia rispetto al passato e al presente. Una città intelligente richiede che gli spazi dell’apprendimento vengano ridisegnati, riprogettati a partire da quelli dell’apprendimento formale fino alla loro integrazione con lo spazio urbano considerato come un “libro” aperto e interattivo.
Data per scontata l’integrazione delle infrastrutture tecnologiche e il sostegno all’apprendimento onnipresente, si dovrebbero sviluppare le condizioni per un apprendimento continuo che comporti finalmente una forte integrazione tra apprendimenti formali e informali. Anche il ruolo delle persone impegnate nei contesti educativi dovrebbe cambiare. La tradizionale separazione tra studente e insegnante è fuori dal tempo, è soprattutto fuori dall’idea di società della conoscenza, rema contro il futuro di una città intelligente. Da quando conoscenza, informazione, contenuti e competenze sono divenuti gli ingredienti principali del nostro futuro di cittadini tutti siamo discenti e docenti, direi in servizio permanente. Ciò che contano sono i nuovi ambienti, le relazioni, l’interconnessione tra le persone e i contesti.

Se non c’è questo nuovo approccio difficilmente la città si fa intelligente. È l’apprendimento il tema olistico della città intelligente, l’apprendimento continuo. Di qui passa l’opportunità d’essere cittadini intelligenti di una città intelligente. Ma proprio la conoscenza, la città della conoscenza, la città che apprende è, al momento, il grande assente nelle prospettive “smart” della nostra Amministrazione.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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