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Nella Toscana e a Firenze finalmente ritornata alle gloriose giornate di primavera di un tempo, quella che mi ricordavo lungo il percorso ormai annoso dei miei soggiorni fiorentini, sono accolto da una serie di notizie “cattive” che sembra siano divenute lo sport nazionale invano contrastate dallo stormire profumato dell’immenso albero di mimosa nel giardino di via degli Alfani dove per anni ho svolto le mie lezioni.
E così nel giorno dedicato alle donne a cui questo fiore è consacrato ecco le notizie dei femminicidi, delle distruzioni di famiglie dove madri e padri uccidono i figli con cattiveria e determinazione. Ecco che sui giornali e sui media campeggiare l’immagine del David michelangiolesco, estremo omaggio al corpo adolescente di un profeta nudo armato solo della propria bellezza che qualche infame produttore d’armi deturpa con un’ oscena arma che avvilisce ma non sconfigge la grandezza dell’arte. Nemmeno l’uso spregiudicato dei gessi canoviani a cui si strusciavano belle ragazze in “intimo” raggiunge la grottesca e dolorosa immagine del David armato. Poi il disgustoso scambio di offese crudeli tra i pentastellati e tutto ciò che ha a che fare con un uso normale della democrazia e delle sue leggi. E per concludere gli insulti volgari con cui alcuni personaggi doverosamente nascosti dal loro nickname commentano in un giornale online il malore che ha colpito il neo ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Una miseria etica prima che politica e culturale che ci avverte quanto siamo vicini al punto di non ritorno nello svolgimento di una corretta forma di democrazia.
La cattiveria diventa perciò lo strumento irrazionale con cui si reagisce a una situazione assai critica (e non a caso su una stazione radiofonica regionale toscana disperatamente si declina una canzone in cui l’Italia appare come “il paese delle mezze verità”) che porta alla protesta affidata a questa forma di giudizio. Se il cattivo è l’antitesi del buono sembrerebbe che per contrastare questa forma di protesta basti affidarsi al suo contrario. Ma dove reperire il “buono” se si fa di tutto per ignorarlo o per umiliarlo? Eppure c’è nonostante il preponderante uso della “cattiveria”. C’è in tantissimi ragazzi che incontro nelle scuole ma che non osano esprimersi troppo apertamente per non essere oggetto dalla forma più odiosa di cattiveria che è il bullismo, c’è nella disperazione con cui tanti giovani stringono i denti e svolgono il loro apprentissage universitario nonostante sappiano quale sarà il loro futuro. Sembrano luoghi comuni appunto perché declinati in una specie di mantra esorcizzante che però non si applica alla realtà nella sua infinita bruttezza e cattiveria.

Non si vuole con questa riflessione indurre a una sconsolata presa di coscienza dell’inutilità dello sforzo, ma invece lanciare ancora una volta un appello alla consapevolezza di un atteggiamento etico che trova la sua prima e fondante premessa nell’accostarsi alla politica come necessario mezzo di accesso a una democrazia non bacata e non “cattiva”. Certo non ignorando quanto si sia sprecato in decenni di camuffamento dell’eticità tra un B. e un G. che ancora vorrebbero negare l’urgenza e la necessità di un rimedio unico ai mali che naturalmente non può essere affidata alla cattiveria. Almeno da coloro che non si sentono “itagliani” ma italiani.

[Ascolta il commento musicale, Il Paese delle mezze verità]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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