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Eccolo! L’ho ritrovato il programma di sala dell’ “Orfeo ed Euridice” diretto da Riccardo Muti, in apertura del XXXIX Maggio musicale fiorentino. Cinque spettacoli, la prima Venerdì 18 giugno 1976, regia di Luca Ronconi, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Che vidi tutti e anche le sessioni delle prove!

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Copertina del libretto dell’ ‘Orfeo e Euridice’ di Gluck

Alla notizia della morte del grande regista, Riccardo Muti da Chicago dove dirige il Requiem di Mozart annuncia: “”Questa sera a Chicago dirigerò il Requiem di Mozart e voglio dedicarlo a Luca Ronconi, grande amico e grande uomo di teatro”. E prosegue dichiarando all’Ansa: “E’ il regista con cui ho lavorato di più”, spiega. La prima volta, dice, “fu a Firenze con l’ “Orfeo e Euridice” di Gluck. Erano gli anni Settanta, fu un successo strepitoso, una regia che rivoluzionava il modo di intendere il teatro d’opera. Dopo, tanti registi europei hanno seguito questa sua indicazione”.
In quegli anni, che significarono per me la flaubertiana “éducation sentimentale”, poter essere ammesso nell’officina ronconiana fu una straordinaria occasione di accostarmi alla sperimentazione più raffinata del teatro. Ronconi veniva dall’esperienza dell’Orlando Furioso adattato da Edoardo Sanguineti, realizzato per il Festival dei due Mondi di Spoleto nel 1969 e immediatamente portato a Ferrara in Piazza Municipale.
In quegli anni la nostra città era la capitale della sperimentazione teatrale. Qui approdarono negli anni Sessanta Judith Malina e Julian Beck, fondatori del Living Theatre con “The Bridge”. Qui approdò Carmelo Bene, e Ronconi fino a tempi recentissimi sperimentò spettacoli che hanno fatto la storia del teatro. Tra i più famosi “Il viaggio a Reims” di Rossini e lo stupefacente “Amor nello specchio”, irripetibile in altri luoghi che non fossero stati Corso Ercole d’Este e il Palazzo dei Diamanti, come lui stesso ha dichiarato.

officina-ronconianaofficina-ronconianaTornando all’opera di Gluck, attesissima dal raffinatissimo mondo musicale fiorentino, i ricordi si concretizzano nelle lunghe discussioni durante le prove. Ronconi e Pizzi erano ospiti di Paola Ojetti nella sua affascinante casa di via de’ Bardi a un passo dal Ponte Vecchio. Figlia del grande giornalista Ugo, svolse un’intensa attività come sceneggiatrice di film; le sue conoscenze erano legate a quel mondo culturale che vedeva ancora in Croce l’espressione più alta della cultura. Ricordo che Paola trascrisse una copia meravigliosa dell’epistolario di D’Annnunzio e Barbara Leoni, Barbarella, affidatale da Croce che potei consultare a lungo.
Riccardo Muti ormai era l’enfant prodige della musica, adottato da Firenze dove approdò nel 1969, spessissimo ospite nella villa di Bellosguardo dove ho passato venticinque anni della mia vita e dove s’incontravano i più grandi artisti del tempo: da Slava Richter con cui giovanissimo eseguì un concerto memorabile a David Oistrack, a Eugene Ormandy a cui Riccardo successe nella direzione della Philadelphia Orchestra.
Ci eravamo sposati nello stesso anno e per molto tempo, a settembre, nel giardino dove Foscolo passeggiò e scrisse “Le Grazie”, la nostra ospite festeggiava i nostri matrimoni. In quel momento studiavo il Settecento letterario tra Metastasio e Ranieri de’ Calzabigi e spesso nelle fervide discussioni venivo interpellato.
Al gruppo si associava poi Tirelli “la sarta nera” come veniva chiamato, autore dei meravigliosi costumi dell’opera. E la sera dell’inaugurazione, all’apparire della scena stupenda inventata da Pizzi, con i coristi che commentavano la tragedia come nell’antichità, sistemati in palchetti sul palcoscenico, vestiti con costumi neoclassici o ottocenteschi, venne giù il teatro. Una magia si era compiuta. E poi per le strade di Firenze nel dopo spettacolo, a sperimentare dal vivo quella Bellezza che le pietre di Firenze evocavano in armonia col mondo.

Ho incontrato Ronconi altre volte. Per la presentazione del volume da cui Sanguineti estrasse il racconto dell’ “Orlando furioso”, assieme ad Ezio Raimondi al ridotto del Teatro comunale di Ferrara o all’Auditorium del Louvre per il convegno “L’Arioste et les arts” a cui venne dedicata una sezione speciale. Non arrivò ma la sua opera era lì a testimoniare per lui. In una serata organizzata, mi pare, da Ferrara sotto le stelle, una serata di letture dell’Orlando furioso letto da Ottavia Piccolo e Ivano Marescotti e da me condotta, la Piccolo ricordò come anche nella seconda riproposta dell’Orlando avrebbe voluto impersonare Olimpia, cavallo di battaglia della divina Melato. Ma non le fu concesso, così per una sera la giovane Angelica poté leggere le ottave dedicate ad Olimpia.

Ed infine “Amor nello specchio” il risultato sicuramente più magico della lunga carriera ronconiana. Arrampicato lassù nella vertiginosa scala da cui in basso nuvole e palazzi si riflettevano negli specchi che coprivano corso Ercole d’Este e i primi piani dei palazzi fino a raggiungere e congiungersi con il più ariostesco dei palazzi: quello dei Diamanti. E poi a discutere con la Melato mentre la si accompagnava nel residence dove stava a due passi dal Castello. Posso ben dire allora che una volta tanto il ricordo non tradisce e Ferrara come direbbe de Pisis si trasformò nella città delle cento meraviglie.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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