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Nell’incipit del suo Il calamaro gigante, uscito presso Feltrinelli nel maggio del 2021, Fabio Genovesi sostiene che del mare non sappiamo nulla. Vediamo solo la superficie dell’acqua, così come dei calamari conosciamo i minuscoli esemplari che finiscono nei fritti misti dei pranzi domenicali al mare. La mia empatia di lettrice è dilagata mano a mano che sono andata avanti a prendere in carico, una dopo l’altra, 140 pagine incantate, dove i mostri marini insieme ai loro scopritori si alternano alla nonna dello scrittore con la sua vecchiezza saggia e visionaria, ai compagni di scuola, a conoscenti e compaesani.

Il mondo epico dei naviganti negli oceani e quello diseroicizzato e quotidiano della costa toscana, dove vive Genovesi, vanno a braccetto nello spazio e nel tempo, in base a quell’ottica certamente pascoliana di cambiare le gerarchie tra le cose del mondo che mi piace tanto. Un misto di straniamento e sapienza infantile che fa scintille di ogni episodio narrato.

Ma andiamo con ordine. Il capitolo iniziale, primo di undici, ci introduce al viaggio che l’autore vuole proporci: un viaggio alla scoperta delle profondità marine, in cui dobbiamo avere la mente aperta a cogliere tutte le meraviglie più incredibili degli abissi. In totale disponibilità, quella che fa dire “del mare non sappiamo nulla” e per questo dobbiamo essere pronti a deformare il quadro delle nostre conoscenze, a essere allontanati “da ogni nostro punto fermo, dai binari delle certezze solide ed eterne che abbiamo impiegato tanto tempo a inventarci”.

Lo scrittore ci guida durante il viaggio nella doppia veste di io narrante, che ricostruisce i tanti avvistamenti del calamaro gigante avvenuti negli oceani dal XVII secolo a oggi, e di io narrato, quando ricorda di avere disegnato come animale preferito proprio lui, il bestione degli abissi, e di avere sollevato le risa della sua classe alla scuola elementare. Nonché il lancio di matite, gomme e pennarelli.

Tutto il libro nei restanti dieci capitoli si espande alle vastità marine e alle capitali europee, dove le Società Scientifiche tendono a negare le scoperte del calamaro – detto anche Kraken  – e di altre creature inaspettate, mostrando una cecità accanita contro l’evidenza delle prove che i naviganti possono produrre dei tentacoli enormi del calamaro o di altre sue parti. Ciascun capitolo poi ritorna, come fa la risacca del mare, sulle coste toscane e fa un giro tra le conoscenze dell’autore per trovare conferme e analogie sulla condotta umana.

Gli uomini possono dividersi in due categorie: da una parte ci sono “quelli che nella vita non si fanno domande, vanno dritti senza guardare l’immenso intorno che c’è, e se devono disegnare il loro animale preferito scelgono il cane, il gatto o al massimo il criceto. E se tu disegni il calamaro gigante ridono e ti prendono in giro”.

In questa categoria possiamo includere perfino un membro dell’Accademia francese delle Scienze, che non crede alla scoperta fatta dalla nave Alecton nel 1861, il cui capitano Bouyer [Qui] durante la navigazione verso le coste della Guyana francese si è imbattuto in un “polpo gigante”, come dicono i giornali dell’epoca, e ha fatto un resoconto preciso dello strabiliante incontro. Questa la sentenza dell’illustre scienziato:  “Un essere del genere non può esistere”, perché sarebbe “una contraddizione delle grandi leggi di armonia ed equilibrio che regnano sovrane sulla natura vivente”. L’episodio ispirerà Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne [Qui] e altri libri, ma viene considerato alla stregua di una favola perché, conclude Genovesi, “quella Cosa gigantesca è inammissibile, è inaccettabile, quindi non c’è”.

Dalla parte opposta ci sono gli uomini che hanno passioni e sogni da inseguire, che non conoscono “la parola assassina ormai”, quella che “ora come allora serve a non partire, non fare, non provare mai a cambiare le cose intorno a noi”. Essi osano scavalcare i limiti della conoscenza per spostarli più in là e si avvicinano a conoscere il creato senza porsi barriere né limiti, avendo con sé l’arma della immaginazione. E credono alle storie.

Ah, le storie. Come le definisce bene Genovesi. Usa proprio il plurale, in quanto noi siamo le storie: “le nostre storie sono scritte in minuscolo ma addosso a noi, e senza di loro semplicemente non saremmo qui. Forse è per questo che da bimbi le amiamo tanto, perché siamo nati da poco ci ricordiamo ancora che sono loro ad averci portato al mondo. Poi cresciamo e non ci interessano più, le chiamiamo favole e smettiamo di ascoltarle, mentre ci roviniamo la vita dietro a favole diverse che si intitolano carriera, prestigio, reputazione, fama, potere…dritti e tristi fino all’ultimo giorno”.

La galleria degli uomini del secondo gruppo, quelli appassionati, per fortuna è lunga e comprende anche figure femminili, misconosciute ma fondamentali nella storia della scienza, come è il caso di Mary Anning [Qui], che nel XVII secolo fa scoperte straordinarie di fossili sulle coste inglesi e solo dopo che è morta riceve il riconoscimento ufficiale del proprio operato dalla Royal Society di Londra.

Tra il 1861 e il 1871 una sessantina di calamari giganti sono stati avvistati nei mari del mondo; dunque il Kraken esiste e le prove diventano inconfutabili. Che animale è il calamaro gigante? Un secolo e mezzo dopo il capitolo 9 ci dice che le conoscenze su di lui a oggi non sono complete: nonostante le innovazioni tecnologiche a supporto della ricerca non si è riusciti a catturarne uno da tenere in un acquario e neppure a studiarlo nel suo ambiente.

Del suo corpo enorme sappiamo che può raggiungere venti metri di lunghezza: la parte più corta è il mantello, contornato da una pinna trasparente utile agli spostamenti e con due enormi occhi che superano i trenta centimetri, adatti per fissare gli abissi. Sotto gli occhi comincia la parte più lunga, “otto lunghe braccia tentacolari, più altri due tentacoli che sono lunghi ancor di più. Schizzano lontano ad afferrare la preda con le ventose che li ricoprono, ognuna orlata da un anello tagliente e dentellato, e la portano alla bocca”. Questo è all’incirca quello che sappiamo, “mentre il resto è ancora un misto di teorie”: quanto tempo vive una creatura così, di cosa si ciba, come si riproduce, se sia un predatore aggressivo, o vive nei fondali a cibarsi tranquillamente di animali morti.

La morale della storia sul calamaro gigante? È sparsa in più capitoli, specie in quelli finali, ed è fatta di frasi sferzanti, quasi degli aforismi che abbracciano uomini, mostri e armonie universali. Tra i mostri finisce anche l’isola che “sembra impossibile ma esiste davvero” ed è di plastica, è enorme pure lei e si trova tra il Giappone e le Hawaii.

Prendiamo la parte seguente, il cui titolo potrebbe essere Il calamaro gigante e i sogni: “Tutti i giorni io ci penso…E in qualche modo quella realtà lontanissima e abissale mi fa vivere bene qua sulla terraferma. Perché magari sono alla stazione e il treno è in ritardo, o in macchina verso un posto che non trovo…Ed ecco che dal nulla scivolo di lato verso questo pensiero, questo sogno che però è verità, e cioè che intanto laggiù nel buio profondo del mare ci sono un capodoglio e un calamaro lunghi decine di metri e pesanti tonnellate, che combattono stretti e insieme danzano nell’abbraccio di tentacoli lunghissimi…Immagino queste due creature enormi che all’improvviso si bloccano, girano i loro grandi occhi da questa parte e mi trovano qui, seduto minuscolo su una roccia del fondale con l’espressione ansiosa. E dalle loro bocche piene di affanno e carne e battaglia, mi chiedono: ‘Oh, che ti succede?’ “

In questa danza universale, a cui prendono parte gli esseri viventi di ogni specie e di ogni dimensione, a partire dagli animali raffigurati come divinità danzanti nelle caverne di Lascaux, se siamo disposti a tuffarci in questa “smisurata meraviglia di cui non sappiamo e non sapremo mai nulla” senza sentirci superiori alla Natura, ma sue parti, allora abbiamo davanti un “orizzonte smisurato, dove niente ha più senso e quindi tutto può averne, tutto può esistere e succedere. Perché se esiste davvero il calamaro gigante, non c’è più un sogno che sia irrealizzabile, una battaglia inaffrontabile, un amore impossibile”.

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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