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Quando ostinatamente abbiamo bisogno di risposte, quando trasformiamo le richieste in ‘ipersoluzioni’ come le definisce Paul Watzlawick, andiamo incontro a fallimenti certi.
Le ipersoluzioni raccontate dalle nostre lettrici.

Mettersi un nuovo rossetto, perché no? Basta poco…

Cara Riccarda,
nel tuo articolo ho, purtroppo, ritrovato il mio modo di agire nei momenti di crisi…ma come fare altrimenti? Hai ragione, si ricercano, o meglio si pretendono le ipersoluzioni, spesso delegando a chi è vicino a noi la responsabilità di realizzarle. E immancabilmente ci ritroviamo, mi ritrovo, in situazioni ancora peggiori, in cui io sono sempre più preda dell’ansia (“Le cose non vanno, come mai non vanno? Cosa devo fare? Perché gli altri non reagiscono come vorrei?”) e chi mi è vicino inizia anche lui a barcollare, sovraccaricato dalle mie aspettative e richieste. E talvolta mi si annebbia la vista, e tutto ciò che non è “iper”, perde di importanza, o addirittura, diventa un problema.
Allora, come uscire da questo loop negativo? Una mia amica una volta mi ha detto: “Rompi gli schemi! Mettiti un rossetto rosso, un vestito che di solito non hai il coraggio di mettere, fai qualcosa, anche di piccolo, ma di insolito, e ascolta quello che succede.” A cosa potrebbe servire? Forse, semplicemente e finalmente, a riportare l’attenzione su di me, a restituirmi il piacere e la responsabilità di prendermi cura di me stessa, di trovare le soluzioni e non le ipersoluzioni, che mi si addicono. La risoluzione della crisi, ovviamente, non sarà immediata né semplice, ma intanto si inizia!
Un abbraccio
E.

Cara E.,
hai mai letto Per dieci minuti di Chiara Gamberale? Un libro bellissimo che dimostra quanta ragione abbia la tua amica: qualcosa di nuovo (lei aveva iniziato con lo smalto fucsia) ogni giorno per dieci minuti, può innescare un cambiamento, tra l’altro irreversibile.
La chiosa della tua amica, poi, ti invita a usare non l’occhio, ma l’orecchio interiore per cogliere quel che succede: non basta la vista, quella ci dice solo se il rossetto è meglio rosso o rosa, ma serve un senso diverso, in grado di mandarti quel segnale che solo tu puoi ascoltare e accogliere. Scommetto che funziona, funziona sempre quando evitiamo di smarrirci in mezzo agli altri e recuperiamo un po’ di noi.
Quanto alle iperosoluzioni che ti annebbiano la vista, ormai hai capito che sono una strada presa contromano e a fondo chiuso. La imboccheresti mai? Non credo.
Riccarda

Il meglio per me… e per nessun altro

Ciao Riccarda,
niente di più vero per quel che riguarda le “ipersoluzioni”.
Io ho sempre fatto le cose in funzione della mia aspettativa di crearmi una famiglia, finché un bel giorno ho scoperto che per me non sarebbe stato un percorso semplice.
La mia “ipersoluzione” è stata quella di rinnegare tutto: mi sono convinta che non avevo figli perché non volevo e non perché non potevo.
Questo mi ha portato ad avere atteggiamenti superficiali e a trovare il senso della vita in cose superflue.
Ad un certo punto ho avuto un problema ad un ginocchio (tutto o quasi succede per un motivo) che mi ha obbligato a fermarmi e a bloccare tutte le attività fatte fino a quel momento.
Mi sono così avvicinata allo yoga che mi ha aperto un mondo fatto di consapevolezza, pazienza e serenità interiore.
Non esiste il “non riuscire” ma il riuscire in modo diverso da quel che ci si aspettava, non c’è un “meglio degli altri” ma solo il “meglio di noi stessi”.
Chissà adesso la vita dove mi porterà o dove sceglierò di andare.
El.

Cara El,
parto dalla fine della tua lettera perché in quel ‘chissà adesso la vita dove mi porterà o dove sceglierò di andare’ c’è tutta la meraviglia e non lo spavento di fronte a ciò che non si conosce. Credo che le due prospettive coincidano: che sia la vita a proporti qualcosa o tu a scegliere dove andare non fa differenza, ci sei sempre tu di qua e di là rispetto a un confine sottile che siamo noi a porre, come se la vita non fossimo noi e viceversa. E’ solo un modo di chiamare in terza persona quando facciamo fatica a dire io.
Hai ragione, nulla avviene per caso, o meglio, le cose e le persone, non capitano senza lasciare traccia, nel tuo caso dal ginocchio, allo yoga a una serenità interiore che spero tu non abbandoni.
Quando mi chiederò cosa sia meglio, ricorderò di quanto scrivi: il mio meglio non è detto sia quello degli altri, sarà il mio.
Riccarda

Il coraggio del cambiamento

Cara Riccarda,
credo tu abbia ragione: più chiedi e meno ottieni, ma allora cosa dobbiamo fare? Stare a guardare e non chiedere mai? Aspettare? Accettare? Non so.
Nel corso delle varie storie della mia vita, ho notato un filo comune tra gli uomini. Quando qualcosa non andava, io ho sempre chiesto ma, ripensandoci, ho la netta sensazione di avere sempre ricevuto dei ‘ci proverò’ tanto per farmi stare zitta. Due moine, un gesto carino e poi tutto come prima, altro che ipersoluzione! Forse un cambiamento, anche se sbagliato, eccessivo o fuori tempo, sarebbe stato più apprezzato da parte mia.
Debora

Cara Debora,
peggio del ‘ci proverò’ c’è il ‘vediamo’. Una volta credevo che il ‘vediamo’ fosse solo una frase-fase di transizione verso il cambiamento, invece, è la stasi più mediocre camuffata da una finta accondiscendenza. Chi ti risponde ‘vediamo’ è un vigliacco che ti lascia lì ad aspettare ancora, pur sapendo che non ti darà mai ciò che chiedi, e intanto evita ulteriori discussioni.
Quando, allora, ci si accorge che la richiesta sta diventando ipersoluzione bisognerebbe fermarsi per non peggiorare le cose. Difficilissimo, lo so. Ma ancora più difficile è poi riprendersi dalla degenerazione delle discussioni, dalla radicalizzazione, dai ‘se io..allora tu’, insomma da quelle contrapposizioni che increspano il rapporto ancora di più.
Aspettare? No, andare avanti.
Riccarda

Inviate le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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