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Sabato lo spazio Wunderkammer di via Darsena si è trasformato in una sorta di macchina del tempo, una finestra su un futuro possibile e soprattutto desiderabile. Il metodo usato per questo esperimento è il Future Lab: uno strumento partecipativo che ha lo scopo di individuare utopie e risorse presenti nella comunità per collaborare con i decisori politici nell’elaborazione di progetti sociali innovativi.

utopia-visioneQuesta metodologia è nata alla fine degli anni ’80, partendo dal presupposto che per le persone spesso è più semplice sviluppare critiche che riflettere per individuare soluzioni a misura d’uomo. Attraverso questi laboratori di cittadinanza attiva, invece, ciascuno può sperimentare la propria capacità immaginativa, anche attraverso linguaggi creativi come il teatro, per rispondere ai problemi del territorio e della collettività: condividere bisogni, conoscenze, esperienze, aspettative, per tentare di dar vita a un’intelligenza collettiva che possa ideare a una visione collettiva di futuro.
La proposta dell’amministrazione provinciale e comunale ferrarese, in collaborazione con la regione Emilia Romagna, l’Agenzia sanitaria e sociale regionale Ausl di Ferrara e Teatro Nucleo, è stata lavorare insieme alla sociologa Vincenza Pellegrino sul tema della precarietà e delle molteplici facce che assume nella nostra contemporaneità.
La sfida per i partecipanti è stata passare dalla domanda “dove stiamo andando?” all’interrogativo “dove vogliamo andare?”. La parola chiave: visione.

utopia-visioneutopia-visioneVisione teatralizzata di un futuro distopico, dove la cittadinanza non è più un diritto di ciascuno, ma viene assegnata con un’estrazione a sorte e un colloquio per verificare se si è dei tipi ‘giusti’. Visione del presente, in cui la precarietà cambia volto a seconda delle generazioni e a seconda della cittadinanza, ma per tutti significa sentire il fiato troppo corto per pensare veramente al futuro: “(P)asso i gio(R)ni s(E)nza (C)ertezze (A)spettando un futu(R)o che (I)nvano s(O)gno”. Poi la parola è passata ai Visionari, cioè a coloro che a partire dalla condivisione di problemi e di bisogni comuni, hanno proposto la propria visione di futuro.

utopia-visioneutopia-visioneÈ venuto fuori che i visionari non mancano, a mancare è la volontà di dar credito alla nostra immaginazione e quindi la capacità di pensare a degli strumenti per realizzare ciò che immaginiamo: da bambini ci insegnano che diventare adulti significa fare i conti con la realtà, smettere di immaginare altri mondi possibili, ma la verità è che “possiamo avere delle utopie, iniziamo a collaborare per realizzarle” è l’invito di Vincenza Pellegrino. Altro evento abbastanza sorprendente: smettendo di preoccuparci di dire cose intelligenti per sforzarci di dire cose utili, le idee intelligenti e creative sono emerse da sole e sono state anche tante.

Dall’alleanza fra le generazioni all’ascolto dell’altro come pratica comunitaria quotidiana, da una nuova cultura del lavoro a una diversa concezione del mondo della scuola, al centro la persona e le sue relazioni con la comunità, quella cui appartiene e quella che potrebbe contribuire a costruire. Forse, volendo condensare tutte queste visioni in una: un futuro inclusivo in cui scelta non sia sinonimo di angoscia, sofferenza, rinuncia, ma di opportunità. Scoprire, o meglio costruire, le strade per arrivarci è un compito che le istituzioni condividono con i cittadini.

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Per tutti coloro che si sentono un po’ utopisti [vedi]
Le foto sono di Francesca Tamascelli e Serena Maioli e ritraggono alcuni momenti della giornata.

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Federica Pezzoli

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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