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Groenlandia, l’ultima disperata frontiera americana

La Groenlandia interessa gli Stati Uniti da quando si è scoperto che lo scioglimento dei ghiacciai consentirebbe alla Cina una navigazione delle merci verso l’Europa pari alla metà (23 giorni) di quella attuale tramite il canale di Suez, oggi minacciata dagli Houthi, che spesso costringe a circumnavigare l’Africa. Una rotta che in futuro sarebbe controllata dalla Russia, l’unica ad avere potenti navi antighiaccio a propulsione nucleare. La Groenlandia (tre volte il Texas, abitata da 400mila inuit) è inoltre ricca di idrocarburi, uranio, terre rare e pesci (ha lasciato la UE nel 1985 per non subire le norme restrittive sulla pesca) che oggi esporta in grande quantità.
Gli americani avevano comprato nel 1917 dalla Danimarca le Isole Vergini nei Caraibi (oggi uno dei maggiori paradisi fiscali) ma non la Groenlandia, difesa dagli americani nella 2^ guerra mondiale contro l’occupazione nazista nell’aprile 1940. E’ su questa base (sic!) che gli Usa avanzano le loro pretese ritornando ad una politica coloniale che si pensava tramontata. Gli USA sfruttano il fatto che la Groenlandia
ha un governo autonomo dalla Danimarca e potrebbe diventare alle prossime elezioni pro-Usa, i quali si “offrono” per proteggerla militarmente.
Si profila quindi un cambio di regime in Groenlandia già alle prossime elezioni di aprile 2025, in quanto potrebbe essere eletto per esempio Jorgen Boassen, un ex pugile divenuto paladino di Trump e che il 7 gennaio scorso ha accolto sull’isola Donald jr. Un cambio di regime (“spintaneamente” favorevole agli Stati Uniti) come avvenuto in passato in molti altri paesi (Ucraina inclusa, nel 2014) al fine di rafforzare il tenore di vita degli americani (acquisto di pesce, idrocarburi, terre rare) sempre con la narrazione del “libero” mercato e della protezione militare e soprattutto del controllo dell’ennesima rotta navigabile nel mondo, di cui gli Usa sono leader, dall’alto delle 175 basi militari sparse ovunque. Lo scopo è disinnescare il vero nemico, la Cina, la quale ha in corso trattative per fare un canale in Nicaragua, alternativo a quello di Panama. E qui si capisce perché Trump ha parlato anche di Panama.

La stessa vicenda del torturatore libico Osama Almasri si inscrive in questo scenario geopolitico. E’ stato riportato con un volo di Stato italiano a Tripoli dal governo Meloni – nonostante fosse accusato dalla Corte Internazionale per crimini contro l’umanità – in cambio di minori sbarchi di immigrati illegali in Italia. E qui si capisce bene perché la Libia fu destabilizzata nel 2011 (uccidendo Gheddafi dopo l’ennesima rivolta “popolare”) e lo stesso Iraq nel 2003 (sempre con l’aiuto degli inglesi, i genitori degli americani). Lo scopo non era solo il controllo del petrolio, come pure disse il presidente della Federal Reserve Paul Volcker, ma la destabilizzazione dell’Europa, appena nata, con imponenti flussi migratori dal Medio Oriente che l’avrebbero messa in crescente difficoltà. L’euro a quei tempi stava volando sul dollaro e c’era la possibilità che il più grande mercato al mondo si trasformasse in una unità politica statuale da parte dei suoi fondatori. Poi tutto è tramontato dal 2004 con il delirio dell’allargamento ad est, sotto la spinta degli amici-alleati americani. Politica che proseguì con l’allargamento anche ai Balcani, sostenuta anche dai finti antagonisti alle attuali élite europee (Meloni, Tremonti) che proposero questa come la soluzione ai problemi dell’Europa.

Si inscrive in questa lotta geopolitica anche la vicenda della start-up cinese Deep-Seek, che ha realizzato un “assistente personale” da
Intelligenza Artificiale pari o migliore a quelli dei colossi big tech Usa, a costi 10 volte inferiori e che consuma molto meno. La borsa americana ha perso mille miliardi di valore ma capitalizza ancora il triplo del valore di tutte le borse mondiali (cosa mai avvenuta in passato); tuttavia mai come oggi è fragile, perché il suo valore è legato a queste poche grandissime aziende legate a internet, all’Intelligenza Artificiale e al commercio on line. Giganti che ha anche la Cina, oltre ad aver mantenuto la manifattura e il controllo sulle materie prime (via Russia e Brics).

E l’Europa? Noi seguiamo stancamente (e stupidamente) il nostro vecchio imperatore come se fossimo nel secolo scorso, senza accorgerci che seguendoli in guerre per procura (Ucraina), in alleanze militari (Nato) dove non contiamo nulla, ci stanno/stiamo indebolendo. Ci manca una visione di futuro e di quella entità politica statale (federale se volete) autonoma e indipendente che farebbe così bene non solo a noi ma al resto del mondo, che cerca soprattutto la pace e il miglioramento delle proprie condizioni di vita.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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