Skip to main content

La recente crisi ucraina, iniziata con le proteste di Maidan Nezhaleznosti (piazza Indipendenza) del novembre 2013, ha riproposto scenari da “guerra fredda” ormai lontani dalle nostre memorie. L’intervento della Russia in Crimea ha violato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina e ha portato prepotentemente in primo piano tensioni forse mai sopite tra i cosiddetti paesi occidentali e l’ex potenza sovietica.
Se da una parte la situazione di conflittualità tra Russia, Ucraina e Unione Europea (che è al lavoro per varare un pacchetto di sanzioni contro la Russia) aumenta, in un contesto la cui soluzione è difficile da prevedere, dall’altra c’è chi, senza tanto clamore, continua a fare buoni affari. Si tratta della Cina, grande potenza emergente, ricca di valuta ma povera di terreni coltivabili.
Nella Repubblica popolare vivono oltre 1 miliardo e 300.000 persone, quasi un quinto della popolazione mondiale, che occupano il 7% delle terre coltivabili del pianeta. Già da diversi anni la Cina ha iniziato ad acquisire terreni in Ucraina: nel 2013, 100.000 ettari sono diventati proprietà di una corporation cinese, che avrebbe inoltre firmato un accordo, della durata di circa mezzo secolo, per la coltivazione di 3 milioni di ettari, il 5% del territorio dell’intero Paese, il 9% se si considerano i terreni agricoli. Inoltre, a quanto sembra, i prodotti derivanti dai terreni interessati saranno venduti con tariffe preferenziali a due aziende agricole statali cinesi. 
L’Ucraina, che ospita oltre 32 milioni di ettari di terre arabili, l’equivalente di circa un terzo delle terre arabili di tutta l’Unione Europea, era considerata un tempo il “granaio d’Europa”, ed è tuttora ottavo produttore e settimo esportatore di cereali al mondo, anche se la fragilità del suo sistema economico e soprattutto la crisi in atto hanno fatto aumentare il rischio di default, ovvero l’incapacità di ripagare i debiti verso paesi terzi.
La Cina (e altri Paesi privi di terreni ma molto ricchi, come per esempio alcuni Stati arabi) investono in acquisizioni territoriali, per allontanare lo spettro di eventuali crisi agroalimentari ed esportare manodopera in eccedenza. Si tratta del fenomeno del land grabbing, letteralmente “accaparramento della terra”, sui cui molti paesi emergenti hanno cominciato da tempo a speculare. Il fenomeno è cresciuto in maniera evidente a partire dal 2000: a oggi sono stati messi in atto oltre 1.200 contratti per lo sfruttamento dei terreni agricoli, che riguardano circa 83 milioni di ettari di territorio (poco più del 2% dell’estensione mondiale delle terre coltivabili), la maggior parte dei quali si trova in Africa. Ma di recente anche l’Europa è divenuta teatro di queste speculazioni, specie l’Europa dell’Est, dove la concentrazione della terra nelle mani di pochi è stata particolarmente marcata a partire del 1989, data simbolica del crollo del muro di Berlino e inizio della dissoluzione dell’Urss. Accanto agli oligarchi, nelle cui mani si concentra la proprietà terriera, nuovi attori internazionali si sono fatti avanti: compagnie cinesi in Bulgaria e in Ucraina, mediorientali in Romania, persino compagnie europee che acquisiscono terre per scopi agricoli ma non solo.
L’ex presidente Yanukovich nel dicembre scorso si era recato a Pechino per definire i dettagli di una partnership strategica che prevedeva otto miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina, oltre ai dieci già investiti in cambio di armi e terre (l’Ucraina nel 2012 è stata il quarto esportatore di armi al mondo). La sua destituzione lascia nelle mani del nuovo governo un interrogativo sul futuro degli accordi con la Cina, anche se sin dall’inizio della crisi il governo cinese ha dimostrato di saper difendere i propri interessi adottando una politica di non ingerenza negli affari interni ucraini e allo stesso tempo strizzando un occhio alla Russia. Il Comitato centrale del Partito Comunista cinese ha dichiarato che “è tempo per le potenze occidentali di abbandonare la loro mentalità da guerra fredda e di smettere di cercare di escludere la Russia da una crisi politica che non sono state in grado di mediare”.

tag:

Francesca Carpanelli

È redattrice editoriale free lance e autrice di alcuni corsi di geografia per la casa editrice Zanichelli. Insegna italiano agli stranieri presso CIEE Italia e presso l’associazione Cittadini del Mondo a Ferrara. Ha lavorato come tecnico del suono in Italia e negli Stati Uniti.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it