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Mi manca Michail Gorbaciov. Adesso ha 91 anni e non sta bene. Il suo malessere è certamente legato all’età avanzata, ma non sarebbe comunque redimibile, perché legato ad un peccato mortale: quello di avere concesso credito al mondo.
Non so se qualcuno possa conservare la minima idea dell’immane processo di rinnovamento cui ha dato vita, e che è stato tradito da tutti. Gorbaciov è come quell’amico che ti tende la mano anche se sei stato un infido assassino e potresti esserlo ancora. Ti dà la sua fiducia e lo fa per primo, in maniera unilaterale.
Questo fece. Lo fece perché aveva una capacità di visione globale, che comprendeva il bene e anche il male assoluto. Scrisse:  “Le armi nucleari sono come un fucile appeso sullo sfondo di uno spettacolo teatrale: non abbiamo scritto noi l’opera, non la stiamo mettendo in scena, e non siamo quindi a conoscenza delle intenzioni dell’autore, dunque chiunque, e in qualsiasi momento, potrebbe prendere e portare via il fucile dalla scenografia per utilizzarlo”.

Gorbaciov aveva una capacità di visione planetaria, simboleggiata dalla voglia di mondo che ha dipinta in fronte. E’ stato quell’amico che ci ha teso la mano, facendo il primo passo.
E’ stato lui per primo a liberarsi delle armi e dell’attitudine imperiale, assumendosi una responsabilità enorme. Non ha detto “ti devi fidare di me”: è stato lui a fidarsi di noi.
E noi abbiamo abusato della sua fiducia. Ci ha dato le chiavi di casa sua, e noi ci abbiamo organizzato una festa a base di pistole, coca e puttane. Infine abbiamo fatto affari col poliziotto arrivato al suo posto, pensando di comprarlo. Pensando che fosse come noi. Infatti in un certo senso è come noi. Purtroppo.

“Trent’anni fa nessuno mise in dubbio che si dovesse considerare la fine della guerra fredda come una vittoria comune. Tutto nacque tramite il dialogo e i negoziati sui problemi più complicati in materia di sicurezza e disarmo, e attraverso il perfezionamento delle relazioni bilaterali. In assenza di tutto questo la guerra fredda e la corsa agli armamenti avrebbero potuto trascinarsi per diversi decenni ancora. E chi può dire a cosa avrebbero portato?
Anziché riconoscere tutto questo, l’occidente si dichiarò vincitore. Fu il crollo dell’Unione Sovietica, che i leader americani attribuirono a una politica dal pugno di ferro, a segnare la fine della guerra fredda.
Questi ultimi conclusero che fosse ora necessario rafforzare ulteriormente il loro potere militare, imporre la propria volontà e creare un mondo unipolare, un impero americano. Le conseguenze sono evidenti in Medio Oriente e in Nord Africa, così come in Jugoslavia e Ucraina. In Europa, insomma, proprio nel continente che ha vissuto due guerre mondiali! È imperdonabile.” 

Michail Gorbaciov

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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