Le storie di Costanza. Giugno 2062 – L’anima e il gelato
Sto camminando con Cosmo-111 lungo le sponde del Lungone e arrivo a Portici, un vecchio cascinale molto diroccato e fatiscente appena fuori da Pontalba. La vecchia costruzione di cemento e mattoni sta per implodere definitivamente in un mucchio di detriti laterizi e i resti delle imposte penzolano come vecchi panni appesi a fili arrugginiti.
Il tetto è sfondato e da sopra la casa si può vedere l’interno con i pavimenti di mattonelle blu e le pareti verdi. Le mura esterne sono un po’ bianche e un po’ rosse, a seconda dello strato di pittura che è rimasto. Lo strato più esterno è rosso, una volta eroso quello, quello sottostante è bianco.
In alcuni punti del muro non c’è più né pittura rossa né bianca e si vedono i mattoni nudi, color biscotto. Anche la consistenza dei mattoni sembra quella dei biscotti, un po’ alla volta verranno sbriciolati dal sole e di Portici non resterà più nulla.
Dalle finestre del pianterreno occhieggiano i rovi e, con la bella stagione, in mezzo ai rovi maturano le more. Se si allunga la mano all’interno di quella costruzione diroccata, cercando di non forarsi rovinosamente con le spine, si possono raccogliere more e lamponi dolci, freschi e maturi.
Di fronte alla costruzione, c’è un piccolo porto che consente di passare da una sponda all’altra del Lungone. È stato costruito dai nostri trisavoli quando ancora non c’erano le automobili e la viabilità via fiume era molto più utile di adesso. Sulla sponda dove sono io ora, siamo in provincia di Trescia e sull’altra sponda in quella di Vergania.
Il porto si chiama Porto Filippo perché vicino alla banchina c’è una statua in gesso di San Filippo Neri. La statua è alta circa un metro, di gesso smaltato e posta su un piedistallo che permette agli occhi di San Filippo di guardare in faccia i passanti. Spesso chi passa dal porto si ferma a dire una preghiera o, più semplicemente, ad ammirare la statua. San Filippo sorride a tutti in maniera magnanima e non fa differenze.
Questo Santo, vissuto a metà del 1500 a Roma, radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando con loro, in quello che sarebbe divenuto anni dopo l’oratorio, istituzione cattolica tutt’ora presente e funzionante.
L’importanza dell’oratorio fu sostenuta da papa Gregorio XIII che, nel 1575, lo riconobbe come istituzione della sua chiesa. Bella scelta quella di chiamare la zona Porto Filippo, i nostri trisavoli erano intelligenti. San Filippo Neri sorride anche ai robot-111 come sorride a me, è una magnanimità senza confini.
Mentre mi giro a Portici e sto per imboccare la strada in senso inverso per tornare indietro, vedo il “signore dei polli” che si avvicina. Il “signore dei polli” è un signore che incontro sempre quando vado in giro da quelle parti. Lo chiamo il “signore dei polli” perché una volta l’ho visto raccogliere del radicchio selvatico, gli ho chiesto per chi lo raccogliesse e lui mi ha risposto “per i miei polli”.
Così ho cominciato a chiamarlo il signore dei polli perché era l’unica informazione che avevo a disposizione per identificarlo e tale è restato. Vedendolo spesso ho poi sapute che non alleva solo polli ma anche conigli e che, quando era piccolo, amava fare il bagno nel fiume. Inoltre, ora so che a scuola era bravo e che è amico di Myrumo, il pescatore che parla del Lungone come se fosse un suo parente.
Anche il mio mezzano lo chiama il signore dei polli, anzi lo chiama quasi sempre “al sagnara dal palla”. Una volta Cosmo-111 è ruzzolato giù da un argine ed è quasi finito in acqua, il signore dei polli, svelto come un gatto l’ha agguantato e tirato su. Così facendo, mi ha risparmiato una bella preoccupazione.
I circuiti meccatronici non devono bagnarsi se non si vuole che i robot si ammalino, anche gravemente. Non a caso gli arti inferiori di Maya-111 sono lunghi e i circuiti sono posizionati nella parte alta del suo corpo. Maya-111 è il robot-111 guardiano di villa Cenaroli e i suoi proprietari, Bianca e Lugo, sono amici dei miei figli, Axilla e Gianblu.
Tutti gli abitanti di villa Cenaroli sono nostri conoscenti. Bianca è la nipote di Guido, uno degli amici della zia Costanza che è vissuto a Pontalba fino a quando ci ha lasciato e Ludo è il figlio della contessa Malù, anch’essa amica della zia.
Villa Cenaroli è poco lontana da Porto Filippo e quando uno va a piedi fino al porto, passa davanti ai cancelli del parco della villa. I cancelli sono di ferro battuto e tra un tondino di ferro e l’altro si vedono tratti del parco, sezioni di statue e pezzi di stagno e di anatre.
Si vede anche Maya-111 che indefessa raccoglie rami ed erba, pota piante e cespugli, irriga fiori. Cosmo-111 e Maya-111 si conoscono e quando passiamo da là, quasi sempre si salutano. Di solito prima che noi avvistiamo Maya è lei che avvista noi, anche perché davanti ai cancelli ci sono potenti telecamere che registrano tutti i movimenti nelle vicinanze.
Mentre noi percorriamo lo sterrato che da Porto Filippo passa davanti a villa Cenaroli per poi risalire verso il centro di Pontalba, lei ci vede e comincia, da dentro il parco, a camminare verso di noi. Così, quando noi siamo in prossimità dei cancelli, è lì anche lei. In mezzo a noi, ci sono i tondini di ferro che, inesorabilmente, ci dividono.
A meno che sia domenica. Di domenica i cancelli della villa vengono aperti e la gente piò entrare a visitare il parco e a comprare il gelato nel chioschetto che Ludo e Bianca gestiscono. Anche oggi, salutiamo San Filippo e poi ci avviamo verso lo sterrato, superiamo il “signore dei polli” e ci avviciniamo al parco della villa. Quando arriviamo in prossimità del cancello sentiamo la voce metallica di quel meraviglioso robot che è Maya-111.
– Ciao Valeria e ciao Cosmo-111 – dice Maya,
– Ciao -, ripetiamo in coro io e Cosmo-111,
– Come va oggi? – ci chiede, sempre molto gentile,
– Bene – le rispondiamo noi.
Con la mia voce che fa da guida, Cosmo-111 non sbaglia le vocali e i suoni delle nostre voci escono all’unisono e molto sincronizzati.
Tra le sbarre di ferro del cancello, si vede Ludo che sta potando un rampicante di rose. Quando ci vede si avvicina anche lui.
– Ciao ragazzi – dice e poi comincia a chiacchierare, come suo solito. Scopriamo così che qualche giorno prima alcuni magnifici germani reali sono morti e che Ludo è preoccupato.
Il germano reale è il capostipite della maggior parte delle razze d’anatra che vivono nella nostra zona, ad eccezione di quelle derivate dall’anatra muta o muschiata. Maschi e femmine sono molto simili nella forma, ma differiscono nel colore del piumaggio. Il maschio ha un piumaggio molto colorato e compie nel corso di un anno due mute delle piume.
Durante il periodo nuziale la sua livrea è facilmente riconoscibile: il capo e la parte superiore del collo sono di color verde iridescente, uno stretto collare bianco a metà del collo separa la verde testa dal petto e dalla parte superiore del dorso che sono di un colore bruno-porporino, i fianchi e il ventre sono argentati, le ali sono bianco-grigie. Un’anatra magnifica davvero.
Cosa è successo ai germani reali del parco? Hanno preso qualche malattia oppure beccato qualche esca avvelenata? Non si sa, Ludo ci sembra molto dispiaciuto ed è così che Cosmo-111 decide di consolarlo.
– Non devi prendertela Ludo, ciò che è morto non è vivo e ciò che non è vivo non esiste più –
– Esiste nel ricordo – dice Ludo,
– Cancella i ricordi, fai reset e ricomincia –
– Reset? ma io sono una persona, reset lo possono fare solo i robot.
Cosmo sembra perplesso ma poi si illumina.
– Compra dei germani-x, fino a quando sono in garanzia non spendi niente e sono bellissimi –
– Non sono come quelli vivi – dice Ludo.
Cosmo sembra essersi offeso, ha colto una differenza tra macchine ed esseri viventi che sa essere fondamentale.
– Ma io chi sono? io che penso e ricordo, eppure non sono vivo. Chi sono? – ci chiede Cosmo-111.
Io e Ludo ci guardiamo in silenzio. Ogni tanto il mio robot mi chiede tutto questo e, ogni tanto, mi sorprendo a pensare che non so cosa rispondergli. Ma lui chi è? cosa davvero ha imparato? cosa ricorda? cosa prova?
Si potrebbe sostenere che gli uomini hanno un’anima e Cosmo-111 non ce l’ha. Ma cos’è l’anima e come spiegarlo ad un robot? Eppure, esiste una dimensione spirituale negli esseri umani c’è e nei robot non c’è.
È quello strano sentire che ti permette di sapere come sta un tuo caro a centinaia di chilometri di distanza senza bisogno di telefonargli, che ti permette di cogliere l’umore di chi ti sta vicino senza bisogno di aprire bocca, che ti fa sentire vivo e che ti fa pensare che dentro di te c’è qualcosa che continuerà a vivere per sempre. Un circuito di autogenesi eterno.
Cosmo mi ha sentito parlare a volte dell’anima, ma non sa cos’è.
Così una volta mi ha detto: – Credo che l’anima sia un gelato. Una cosa che piace a tutti, un gusto di quelli speciali che si trovano solo a volte nelle gelaterie artigianali, nei giardini di villa Cenaroli”.
– Un gelato? – gli chiedo io.
– Si un gelato, una cosa sublime.
A volte la semplicità dei robot è stupefacente, così come il paradosso che permette loro di associare l’anima ad un gelato.
C’è poco da fare, i robot non sono umani, sono macchine interessanti, performanti e a volte molto efficienti, ma non potranno mai sostituire l’uomo, né tantomeno potranno provare quello che prova lui. Ad un essere umano non verrebbe mai in mente di paragonare l’anima ad un gelato.
Senza aggiungere altro saluto con la mano Ludo e, con Cosmo-111, riprendo il mio cammino verso casa ripensando ai germani reali e alla loro brutta fine.
N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.
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Costanza Del Re
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