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IL WELFARE DI COMUNITÀ SI FA CON UN’AMMINISTRAZIONE CONDIVISA

In questa società, sempre più complessa e con un welfare pubblico in costante difficoltà, è urgente ripensare le politiche sociali in un’ottica di collaborazione e integrazione con tutte le realtà del territorio.

Se si pronuncia la parola ‘welfare’, infatti, è impossibile non collegarla alle associazioni di volontariato, di promozione sociale e al mondo del Terzo Settore. Sul territorio ferrarese sono fortunatamente presenti moltissimi volontari, dotati non soltanto di spirito altruistico ma anche di saperi e competenze necessarie per leggere e lavorare in questa realtà, sempre più multidimensionale e in continuo mutamento.

Spetta all’Amministrazione indirizzare e decidere quali debbano essere il loro ruolo e la loro funzione, a seconda dei bisogni della comunità e a partire dalle cittadine e dai cittadini più fragili: partner alla pari e alleati fondamentali nella costruzione delle politiche sociali o semplici delegati che suppliscono alle carenze del sistema pubblico?

Oggi sentiamo parlare sempre più spesso di co-programmazione, co-progettazione e amministrazione condivisa. Ma cosa significano davvero?

Al di là dei tecnicismi, alla base c’è un concetto molto semplice: la comunità, unita, si prende cura di sé stessa.

Il punto di osservazione di operatori/operatrici, volontari/volontarie delle associazioni, infatti, è privilegiato soprattutto per quanto riguarda le persone più vulnerabili, che rischiano di essere emarginate ed escluse dalla vita della comunità. Privilegiato perché essi  si trovano quotidianamente a contatto con l’altro, non soltanto con i suoi reali bisogni ma con le sue risorse (concetto fondante del welfare generativo è vedere ogni individuo in primis come portatore di risorse), con le sue aspirazioni di vita e con la sua storia. È come se, accanto alle istituzioni, operatori e operatrici, volontari e volontarie fossero chiamati a tutelare e ad attuare il principio di uguaglianza e autodeterminazione di tutti.

Ci piace immaginare che a Ferrara venga promosso un dialogo che riunisca volontari/e, operatori/operatrici sociali e Amministrazione per co-programmare e co-progettare, attraverso un confronto che individui e condivida, nel loro evolversi, le principali necessità di cittadine e cittadini, le strategie più adatte per dare risposta a tali necessità e le risorse che ciascun soggetto può mettere in campo, ognuno dal proprio punto di osservazione in un rapporto alla pari, basato sulla collaborazione e sul riconoscimento reciproco.

È di fondamentale importanza creare spazi in cui operatori, operatrici, volontari e volontarie possano portare il loro contributo, derivato dall’osservazione quotidiana, perché per promuovere progetti efficaci bisogna sapere come vivono i propri concittadini e quale sia il loro reale stato di salute e benessere.

Gli spazi di confronto e dialogo dovranno essere estesi a tutti gli attori sociali, così come alle altre Istituzioni pubbliche e al cosiddetto “mondo profit”, in quanto le politiche si costruiscono a partire dalle risorse già presenti sul territorio, connettendo e integrando i diversi mondi e abbandonando il modello ormai obsoleto e inadeguato dei “compartimenti stagni”, che non ci possiamo più permettere.

Al di là delle leggi e degli istituti giuridici, infatti, oggi siamo chiamati ad affrontare una grande sfida, perché ci viene chiesto di essere pionieri di una vera e propria rivoluzione culturale: una rivoluzione che ci chiede di allenare lo sguardo alla sostanza delle cose e non alla forma, nella consapevolezza che Ferrara è una comunità matura per poter prendersi cura di sé stessa. Ed è proprio questa consapevolezza che contraddistingue un territorio virtuoso, in grado cioè di individuare le risorse e di valorizzarle, creando rapporti e legami basati sulla fiducia affinché ciascuno e ciascuna di noi, pur nel rispetto dei ruoli diversi e delle diverse specificità, sia messo in grado di lavorare per il raggiungimento di un obiettivo comune, più grande della semplice somma dei singoli.

La Ferrara che desideriamo è una Ferrara in cui ogni singola persona si sente accolta, importante, vista nella propria specificità. Per poter essere davvero inclusiva, sarà la cultura sociale a dover mutare, adattandosi alle peculiarità delle persone, e non il contrario. Se l’Amministrazione Comunale non prende in considerazione questi fattori sostanziali, il numero delle persone in condizioni di fragilità e a rischio di esclusione da un modello di società performante, che pone paletti sempre più restrittivi e discriminanti tra “chi è dentro e chi è fuori”, certamente aumenterà.

Giulia Fiore
sociologa, operatrice sociale
Candidata nella lista de La Comune di Ferrara

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Giulia Fiore

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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