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Si vota. Ma per sapere chi sarà il nuovo sindaco di Ferrara bisognerà quasi certamente attendere ancora un paio di settimane. E’ assai improbabile, infatti, che uno degli otto candidati la spunti al primo turno. Neppure il leghista Alan Fabbri, accreditato come favorito, appare in condizione di superare la soglia del 50% delle preferenze al primo colpo di start. Forte del vento propizio, l’ex sindaco di Bondeno ha scelto di condurre una campagna elettorale soft, forse per non compromettere le proprie chance, alimentate più dal trend nazionale e dalla retorica ‘salviniana’ che dalla proposta politica elaborata per il governo della città, espressa in forma di vaghi auspici (più sicurezza, più lavoro, più opportunità… in termini sostanzialmente astratti) e priva circostanziate proposte: sono stati enunciati principalmente degli obiettivi, senza spiegare come e con quali risorse realizzarli. E la vicenda relativa al capolista Naomo Lodi è quella che maggiormente ha attratto l’attenzione degli elettori, resi edotti del suo pedigree penale grazie all’ottimo lavoro di ricerca svolto dal quotidiano Estense.com. Su questo nostro giornale già è stato scritto che chi si candida a un ruolo di pubblica rappresentanza istituzionale ha il dovere di rendere trasparente il proprio agire e non può accampare pretese di privacy per quei fatti che hanno rilevanza reputazionale agli occhi dei cittadini-elettori.

L’iniziale favore dei pronostici, peraltro, cozza con il sentore di un’aria che da qualche tempo pare stia cambiando: la sensazione diffusa è che il traino della locomotiva nazionale abbia perso vigore. Così, la prudente strategia del designato, che ha fatto leva sul moto inerziale, potrebbe ora rappresentare un inciampo.

Per parte sua, però, il centrosinistra si presenta ancora una volta diviso, dopo un autunno di fermenti civici che pareva preludere alla possibilità di creare finalmente un ampio e solido cartello arcobaleno capace di tenere unite tutte le differenti anime e componenti dell’arcipelago progressista. Il buon lavoro condotto da alcuni gruppi, primi fra tutti ‘La città che vogliamo’, ‘Il battito della città’ e ‘Addizione civica’, ha comunque propiziato un dibattito di ottimo livello, culminato con l’elaborazione di proposte concrete di notevole spessore. Dal gruppo della Città che vogliamo è scaturita un’eccellente lista (“Coalizione civica”), i cui candidati si fanno testimoni di quegli impegni e di un metodo partecipativo che riporta al centro dell’agire politico un sistema di confronto e di elaborazione che si sviluppa in maniera orizzontale, senza i verticismi di una certa malata politica.
Comunque vadano le cose, resta il patrimonio prezioso di questa esperienza. In particolare, ‘La città che vogliamo – Coalizione civica’ ha marcato un punto importante di ripresa del confronto politico, generando un laboratorio di idee animato in larga parte da giovani che con passione, slancio, intelligenza hanno elaborato e discusso progetti da porre a fondamento di un ritrovato solidale spirito comunitario.
Il metodo e la sostanza hanno viaggiato appaiati, senza le smanie di protagonismo che spesso inquinano lo spazio pubblico, e il percorso avviato, in ogni caso, andrà custodito con cura, sviluppato e valorizzato. E’ la base di ripresa di una sana e proficua interlocuzione civile, fondamento della buona politica.

Stando all’oggi, però, ci si misura con ciò che è plausibile prevedere. Chi ha deciso di votare Lega lo farà in modo compatto, quindi al ballottaggio Fabbri avrà esili margini di recupero. L’unico portatore d’acqua potrebbe essere l’avvocato Alberto Bova, candidato sindaco di Ferrara concreta, che nella legislatura che si va a chiudere ha appoggiato la giunta Tagliani ma ora, tatticamente, si tiene le mani libere per poter magari mercanteggiare e offrire al secondo turno il proprio appoggio al miglior offerente, secondo le disinvolte prassi della politica…
Ma, sostanzialmente, Fabbri al secondo turno dovrà confidare su un sensibile calo dei votanti, condizione che gli consentirebbe di superare il 50% anche senza incrementare il proprio consenso in termini numerici. All’opposto, lo sfidante, chiunque esso sia, dovrebbe riuscire a catalizzare su di sé le preferenze di coloro che al primo turno si orienteranno su altri candidati. Aldo Modonesi, stando ai sondaggi dei primi di maggio, risulta il più accreditato, ma non è detto che sia il più attrattivo per catturare gli elettori in libertà nell’eventuale testa a testa. In questo senso Roberta Fusari, meno politicamente connotata rispetto a Modonesi, pare più di lui in grado di intercettare un voto trasversale ed incrementare ‘allo spareggio’ il proprio bagaglio di partenza.

Di contorno si segnala la rincorsa di Tommaso Mantovani (Movimento 5 stelle) entrato in scena all’ultimo e con un po’ di affanno dovuto alle fibrillazioni interne che da tempo caratterizzano, indeboliscono e rendono marginale in città il ruolo dei pentastellati; meriterebbe fortuna e consenso il generoso impegno di Andrea Firrincieli (InnovaFe), civico autentico, orientato da un terso orizzonte ideale, animato da buoni propositi e capace di elaborare originali progetti, penalizzato però dal tardivo approdo e dalla sua sostanziale estraneità all’agone politico che lo ha reso poco visibile; e infine vanno registrati i ruoli comprimari di Francesco Rendine (Giustizia, onore e libertà) e dell’ortopedico Giorgio Massini (Ferrara libera), in lotta per arrivare alla soglia minima del 3%.

In aggiunta, pur trattandosi di un voto amministrativo, non si può prescindere dalla considerazione di quello che è l’orientamento ideologico dei partiti che sostengono i diversi candidati. Un’incidenza sulla scelta l’avranno certamente anche le dinamiche nazionali. Lo scenario mostra un Pd che, con il nuovo segretario Zingaretti, tenta con buona volontà ma faticosamente di superare lo stallo degli ultimi tempi e il precedente cesarismo della gestione renziana. Per parte sua, la Lega di Salvini sta mostrando il proprio vero volto: quello di “estrema destra di governo”, come ben documentano nel loro saggio pubblicato dal Mulino, Gianluca Passarelli, docente di scienze politiche alla Sapienza e Davide Tuorto professore di sociologia all’Università di Bologna. E’ una Lega che sdogana movimenti contigui al fascismo come Casa Pound e Forza Nuova e che infanga, per voce del suo leader, la Liberazione, definendola biecamente “il derby fra comunisti e fascisti”, fingendosi immemore e inconsapevole del fatto che il 25 aprile fu il giorno del trionfo della libertà contro l’oppressione, della democrazia contro il giogo della dittatura; e che a propiziare quell’esito furono l’impegno, la lotta e il sacrificio – per molti a costo della vita – di partigiani e cittadini che facevano idealmente riferimento alle più diverse forze politiche: comunisti – certo – ma con loro socialisti, repubblicani, azionisti, cattolici e liberali, riuniti in un patto di civiltà che teneva insieme tutti coloro che rifiutavano di vivere sotto il comando oppressivo di un regime totalitario.

E poi non dimentichiamo che domenica si vota anche per l’Europa. E per una prospettiva meno asfittica di quella definita dai nazionalismi. Al riguardo giova ricordare ciò che accoratamente disse già nel 1995 il presidente francese Mitterrand nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo: “il nazionalismo è la guerra”, accompagnando l’allarme con l’esortazione a “vincere i propri pregiudizi, superando la nostra storia. Se non riusciremo a superarla bisogna sapere che la regola si imporrà. La guerra non è solamente il nostro passato, può anche essere il nostro futuro. E siamo noi i guardiani della nostra pace, della nostra sicurezza, del nostro avvenire”.
In sintonia con le sue parole riecheggiano quelle di Altiero Spinelli: “La sovranità assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri”. La soluzione virtuosa sta alla base del Manifesto di Ventotene: una pacifica unione europea dei popoli che dia “alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale, lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo secondo le peculiari caratteristiche di ciascuno”. E’ questa l’idea di comunità che merita di essere sostenuta. In Europa e a Ferrara.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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