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Parte la delegazione ferrarese per raggiungere Firenze, la Sinagoga, e partecipare così, il 5 settembre sera, all’evento ‘Sogno e visione’ che si svolgerà nel giardino dove, dopo una deliziosa cena ebraica, si svolge un ricordo da me tenuto dell’amico scomparso Guido Fink, poi la presentazione del volume Vivere è scrivere. Una biografia visiva di Giorgio Bassani , Edisai 2019 curato da Portia Prebys e da chi scrive e, per concludere, il Concerto della Klezmerata Fiorentina con il grande Igor Polesitsky al violino, Riccardo Crocilla al clarinetto, Francesco Furlanich alla fisarmonica, Riccardo Donati al contrabasso. Il tema del concerto era costituito dalle musiche suonate nelle steppe ucraine ad un matrimonio: “Sognando Kalinindorf che è il luogo dove il violinista e la sua famiglia vissero. La qualità del concerto semplicemente favolosa. I tre musicisti, oltre Polesitsky sono prime parti del Maggio Musicale fiorentino: due cristiani e il terzo, Crocilla, ebreo come il violinista. Una perfetta fusione di intendimenti e cultura. Gli astanti, più di trecento persone, non hanno voluto lasciare il giardino dove si svolgevano questo eventi se non a mezzanotte passata. Allora mentre accarezziamo le meravigliose melagrane che bordano l’ingresso, lanciamo un buonasera grato ai giovani militari che ci proteggono e ci custodiscono da eventuali pazzie- sempre possibili – in quei luoghi. Ci ritiriamo nell’hotel adiacente dove minuscole camere ci ospitano secondo il principio del ‘piccolo è bello’ e siamo cullati dai notturni discorsi che i giovani continuano ad esprimere lì in quel luogo, uno dei centri più importanti nella città del fiore.

Il giorno dopo in piccola ed eletta compagnia ci rechiamo agli Uffizi dove la cara amica e collega fiorentina Dora Liscia (tra le altre connotazioni quella di essere nipote di Giorgio Bassani così come il presidente della Comunità, suo fratello David) ci illustrerà la bellissima mostra da lei curata Tutti i colori dell’Italia ebraica. Tessuti preziosi dal tempo di Gerusalemme al prêt-à-porter. (catalogo a cura di Dora Liscia Bemporad e Olga Melasecchi, Firenze, Giunti, 2019). Si decide di visitare i piani superiori del grande Museo non ancora visti dopo il restyling voluto dal direttore Eike Schmidt ed eseguito dall’architetto preposto alla realizzazione Antonio Godoli. Il compimento del progetto si deve anche al ministro Dario Franceschini allora a capo del Mibact. In che cosa consiste la nuova ‘copertina’ di uno tra i musei più famosi del mondo? Assemblare le opere dei più importanti pittori che attirano i milioni di visitatori: Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Caravaggio in sale a loro dedicate che hanno un percorso diverso da quello tradizionale, scardinando così l’otto-novecentesca struttura storica in due percorsi ben definiti: l’uno riservato a coloro che si recano a vedere le opere che attirano le masse, l’altra invece concessa a quella piccola parte di visitatori che ancora credono al museo come luogo di sapere e di conoscenza.

E’ dunque la nuova funzione del Museo che viene messa in discussione e che spinge alla risistemazione delle opere secondo un principio ‘turistico’. Un articolo di Francesco Bonami, “Come cambieranno i musei. A caccia di una nuova identità, tra collezioni da difendere e realtà virtuale, le istituzioni di ieri inseguono modelli alternativi”. apparso su Repubblica di martedì 11 ben centra il problema. Da una parte l’accusa di Bonisoli, il ministro succeduto a Franceschini (ora di nuovo reintegrato nel suo ruolo dal Conte 2), di avere creato anarchia “Demotivare i musei con la scusa di controllare derive anarchiche non può fare altro che arrestare la necessaria-seppur imperfetta – trasformazione del museo come caposaldo fondamentale della cultura contemporanea. Come ben evidenzia il problema Bonami, in tutto il mondo si assiste alla trasformazione del museo “da depositario del sapere […] in luogo di esperienza e spesso di intrattenimento e divertimento”.

Allora si spiega la de-storicizzazione del museo in luogo di esperienza sensoriale e visiva dove non si guarda ma si capta la bellezza solo virtualmente attraverso l’uso smodato del terzo occhio, il cellulare, usato per cogliere la situazione tra le grida isteriche dei poverini addetti alla guardianìa che a ritmo di preghiera vudù in continuazione gridano “no flash, no flash”. Così come il genio di Mozart è servito a diffondere nel mondo i cioccolatini, ecco allora le disposizioni delle sale programmate compresa quella dove campeggia il tondo Doni entro una magnifica scodella degna della migliore ribollita. Oppure, l’allusione al proibito come per la sistemazione di una delle statue classiche più famose del museo: l’Ermafrodito. Una stanza totalmente al buio, il marmo colpito da una luce accecante che mette in risalto le qualità della sua natura binaria. S’invitano ad osservare quadri imbarazzanti dal buco della serratura oppure sei costretto a percorrere interminabili chilometri in attesa di uscire continuando a rivedere, tra il puzzo umano dell’estate implacabile, i Caravaggio fino ad arrivare dantescamente “a riveder le stelle”.

Che delusione caro amico Dario Franceschini! Non si poteva ripensare prima a cosa si andava incontro? Non dico di conservare la mia esperienza che si perde nella notte dei tempi: studiare l’esame di storia dell’arte dentro il museo a quei tempi vuoto. Una situazione ormai impossibile; ma di riappropriarsi della storia e per gusto della novità non precipitare solo nell’esperienza virtuale.

Conclude Bonami: “I musei non sono nazioni, ma immaginare di farsi carico del loro futuro è una sfida che dovrebbe affascinare e non spaventare”. Ed io agli Uffizi mi sono spaventato.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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