Skip to main content

Eppure Elly Schlein

 

Eppure Elly Schlein

Ho ascoltato tante volte Elly Schlein: dal vivo, in tv, nei comizi, in radio, sui social. Dice sempre le cose giuste, le dice bene, con competenza, pacatezza e decisione.
Ma non arriva. Non arriva perché quando parla nessuno la ascolta, nel senso che nessuno la prende sul serio. Non la prendono sul serio i giornalisti che la intervistano e la interrompono in continuazione come se stesse dicendo cose poco interessanti; non la prende sul serio, soprattutto, il cittadino che si trova a sentire le sue parole e senza seguirne il senso le chiama “solite supercazzole”.

Il pensiero immediato della maggior parte della gente quando compare o viene anche solo nominata Elly Schlein è reso bene da chi, subito spazientito, dice: “ancora il PD?” O, peggio, Elly chi, la comunista che paga 300€ all’ora per l’armocromista? Cosa vuoi che ne sappia di chi non arriva alla fine del mese? O, peggio ancora, “che brutta, ‘sta dentona, sembra Sandro Tonali”. Tutti modi gretti e antichi come il mondo per ridurre la donna a oggetto di scherno e eliminare così dall’orizzonte delle possibilità che possa avere e esprimere un pensiero sensato, indipendentemente dall’aspetto (tra l’altro, per me – e non solo per me – Schlein è bellissima, ma cosa conta?!) e dal censo (anche Matteotti era ricchissimo, e questo non gli ha impedito di difendere i braccianti con passione e coraggio senza pari, di morire ammazzato, per loro e per gli ideali socialisti in cui credeva).

Eppure Elly Schlein, appena eletta segretaria, con grande coraggio, ha fatto quello per cui era stata votata in massa, dagli iscritti e dai simpatizzanti, che vedevano in lei una speranza (oggi in parte tradita, in parte delusa) che il PD diventasse, finalmente, un partito di sinistra (cosa che non può diventare, non completamente): ha preso le distanze da ciò che il PD era stato prima di lei e che lei aveva fieramente combattuto, fino a restituire la tessera in polemica contro provvedimenti ingiusti (e che ancora il PD paga per la perdita di consenso che naturalmente generarono: quando la sinistra fa la destra perde sempre voti, perché tra l’originale e la fotocopia si preferisce sempre l’originale), provvedimenti che hanno ristretto i diritti dei lavoratori, come il Jobs Act di Renzi, o hanno reso l’Italia complice, criminale e assassina, delle torture e del massacro di decine di migliaia di esseri umani in fuga dalle loro terre, ovvero il Memorandum Italia-Libia di Minniti.

Eppure Elly Schlein non ha completato quel processo di cambiamento interno al partito che pure aveva annunciato, che pure aveva cominciato.

Si era parlato addirittura di cambiare nome, forse anche simbolo. Sarebbe stato giustissimo, dico di più, fondamentale. Lo è ancora. Il PD, nel nome e nel simbolo, si porta dietro lo stigma di tutto quello che è stato, da Veltroni in poi (il partito del “ma anche”, che contiene al suo interno ogni posizione e il suo contrario, quindi un partito inaffidabile, inevitabilmente poco credibile, con una proposta politica poco chiara e scarsamente identificabile, data dall’impossibilità di operare continuamente una sintesi tra posizioni politiche agli antipodi), lo stigma per tutto quello che ha fatto e, soprattutto, per tutto quello che non ha fatto quando avrebbe potuto, cioè ogni volta che è andato al governo (non ha abolito la Bossi-Fini, non ha fatto una legge sul conflitto si interessi, non ha liberato la RAI dai condizionamenti di partito, non ha fatto gli investimenti che sarebbero necessari in salari, sanità, istruzione, trasporti pubblici, transizione ecologica ecc.). Il PD, insomma, è universalmente riconosciuto come un partito inaffidabile, perché privo di una linea chiara, il cui unico obiettivo sembra essere il raggiungimento del potere fine a sé stesso, non per cambiare veramente le cose, come a un partito progressista sarebbe invece richiesto di fare.

Eppure Elly Schlein, quella linea, al partito, ha cercato di darla. Netta, chiarissima, imperniata su pochi punti ben definiti, con proposte concrete e esposte con precisione, senza essere vaghi, generici, senza fermarsi agli slogan, pur necessari, talvolta, per brevità:

1) difesa della sanità e dell’istruzione pubbliche
2) salario minimo garantito per combattere il lavoro povero (“perché al di sotto di un certo stipendio non è lavoro ma sfruttamento”)
3) diminuzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio per liberare il tempo della vita mangiato dal lavoro. Il tempo, il bene più prezioso che abbiamo. Il tempo impagabile e che pure, per sopravvivere, dobbiamo vendere in cambio di un salario.
4) congedo parentale paritario di 5 mesi per madre e padre, in modo da togliere alle donne le incombenze su tutto il lavoro famigliare e permettere anche ai papà (misura di civiltà minima proprio) di passare più tempo con i figli. Tempo che oggi viene sottratto dal lavoro.
5) legge sulla cittadinanza per smettere di trattare gli italiani discendenti da immigrati come italiani di serie B, con meno diritti degli altri, dei compagni di scuola, di calcio, di band musicale.

Proposte di sinistra ma che qualunque cittadino non privilegiato e non in malafede vedrebbe di buon occhio. Proposte, direi, di semplice realizzazione di ciò che è detto nella Costituzione, tra i principi fondamentali che ispirano la nostra Repubblica. Proposte a cui Elly Schlein e chi la segue ha cercato di dare seguito con la presentazione di provvedimenti in parlamento, puntualmente affossati dalla Destra al potere.

Eppure Elly Schlein ha abbandonato ogni illusione del PD a lei precedente di bastare a sé stesso, di avere vocazione maggioritaria. Si è detta testardamente unitaria e alle parole ha fatto seguire i fatti: ricerca di alleanze in tutto il campo progressista senza preclusioni per nessuno, mai una polemica con gli alleati o i potenziali tali (che non sono stati altrettanto rispettosi e intelligenti, vero Conte? Vero Renzi? Vero Calenda?) per evitare accuratamente quello che si era stati sempre prima di Elly Schlein: litigiosi, divisi su tutto, già in crisi prima ancora di governare, insieme solo per andare contro qualcuno.

Eppure Elly Schlein è oggi prigioniera, come ogni segretario prima di lei, delle maledette correnti del PD, che ne hanno minato la figura fin dal principio e lavorano dal giorno uno per sfiancarla e sostituirla appena possibile (Silvia Salis, che sembra bravissima anche lei, già allertata da un pezzo).

Eppure Elly Schlein per tenere unito il partito, deve mordersi la lingua e attenuare ogni giorno, nelle sue dichiarazioni, le posizioni che sente nel cuore e che sarebbero ben più radicali, ancora più nette. E così sembra che anche il suo PD balbetti e sia contraddittorio, quindi ancora una volta poco credibile, almeno su certi temi: sull’Ucraina (siamo pacifisti o siamo per l’invio di armi?), sulla Palestina (troppo tardiva la condanna di Israele, tardiva e dunque apparsa dettata da ragioni di opportunismo e capitalizzazione del consenso, perché arrivata solo in corrispondenza con le manifestazioni oceaniche che hanno colorato per settimane tutte le piazze italiane di rosso, nero, bianco e verde gridando STOP AL GENOCIDIO!)

Eppure Elly Schlein non è il problema, il problema (nostro e di Elly Schlein) è il PD. Perché si porta appresso dalla nascita il peccato originale che consiste nell’aver voluto realizzare in un partito il compromesso storico di Moro e Berlinguer, venendo meno al principio che il partito, lo dice il nome, deve tutelare gli interessi di una parte della società, non di tutte le parti contemporaneamente, come vorrebbe fare il PD con lavoratori e industriali, sfruttati e sfruttatori, ambientalisti e predoni dell’ambiente per proprio guadagno.
Il PD, unendo quel che restava dei due partiti di massa, la DC e il PCI, ha solo assommato in sé i peggiori difetti dell’una (il correntismo) e dell’altro (la nomenklatura), senza però aver ereditato né i pregi dell’una né i pregi dell’altro.

L’unica cosa che è rimasta (dal PCI, soprattutto, ma anche dalla DC) e che permette al PD di non essere ancora scomparso e anzi di essere, nonostante gli errori a ripetizione della sua classe dirigente, ancora solidamente il secondo partito più votato in Italia (in molti luoghi ancora il primo), è la sua organizzazione capillare, con migliaia di volontari (commoventi per costanza e fede) in tutta Italia, dalla grande città al più minuscolo paesino. In questo senso, con la Lega ridotta ai minimi termini dal disastroso duo Salvini-Vannacci che le ha fatto perdere quasi del tutto le specificità che ne costituivano la forza (ovvero il radicamento sul territorio – al Nord – e la buona pratica di amministratori), il PD è oggi l’unico partito strutturato in Italia. E questo si vede. Questa è la sua unica, vera forza.

Era già evidente, ma me ne sono reso conto come mai prima quando mi sono candidato con una piccola lista civica (malamente) autogestita: il PD ha una capacità di spostare e gestire pacchetti consistenti di voti che nessun partito in Italia ha. Se decidono che uno dei loro va eletto, cioè che deve andare, per esempio, in consiglio comunale, telecomandano i voti di preferenza su quella figura, in una sorta di distorsione (legale direi, nella maggior parte dei casi) della libera competizione democratica. Ci sanno fare, insomma, eleggono i loro, quelli scelti prima nelle riunioni, non quelli che i cittadini decidono liberamente.

Questa eredità schiaccia Elly Schlein, che risulta frenata dalle correnti, alcune che la sostengono (quelle al potere in questo momento), altre che le remano contro e lavorano per fiaccarla e sostituirla, per farla fuori appena perderà qualche elezione in maniera clamorosa (Silvia Salis, bravissima, come dicevamo, almeno per efficacia comunicativa, è già pronta da tempo).

Eppure Elly Schein è diventata segretaria del PD da outsider totale (“ancora una volta, non ci hanno viste arrivare”, disse appena eletta, citando il titolo del libro della studiosa Lisa Levenstein “They didn’t see us coming – La storia nascosta del femminismo negli anni 90″) con tutto l’establishment (Franceschini escluso, vecchia volpe democristiana!) schierato con Bonaccini,  non per reale convinzione, ma semplicemente perché era lui in quel momento il cavallo vincente, su cui puntare per mantenere posizioni di potere dentro e fuori il partito o per scalare nelle gerarchie. (Naturalmente, come sempre, una volta eletta Schlein tutti i bonacciniani si sono finti schleiniani convinti…)

Eppure anche lì Elly Schlein aveva dimostrato la sua intelligenza, le sue capacità, la sua indole unificatrice: ha offerto subito la presidenza del partito a Bonaccini, che pure l’aveva osteggiata in tutti i modi, nonostante fosse stata la sua vice in Regione, e pensava di vincere in carrozza, borioso e tracotante com’è sempre stato.

Eppure Elly Schlein non ha mai governato.
Sarebbe ora di darle una chance, nonostante il PD.
E di lasciarla libera, libera di essere radicale e di sinistra come vorrebbe, sul modello di quegli esponenti del socialismo del Terzo millennio che ci sono in giro per il mondo e che a Elly Schlein fanno brillare gli occhi, ogni volta che ne parla, rendendo ancora più evidente quella bellezza che solo gli stolti non riescono a vedere: Pedro Sanchez in Spagna, Alexandria Ocasio-Cortez e Zohran Mamdani negli Stati Uniti. Tutte speranze, come Elly Schlein, di un’Europa senza sovranisti, di un’America senza Trump.

 

Photo cover: riproduzione del murales di TvBoy dopo la vittoria di Schlein alle primarie

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

Tutti i tag di questo articolo:

Michele Ronchi Stefanati


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *