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Non inganni la seriosità con cui ho svolto il ‘tema’ della Storia nell’ultima puntata di ‘Diario in pubblico’. Il tempo che viviamo e non certo il ‘disio d’onore’ mi hanno indotto a qualche nota accademica necessaria di fronte alla minaccia dell’abolizione all’esame di maturità della traccia di Storia. Pericolo rientrato? Non so. In questi tempi agitati dai Dioscuri gialloverdi escono continui proclami e immediate ritrattazioni, mentre caterve di bene informati tendono a spiegarci ciò che forse loro stessi non hanno ben chiaro o non hanno capito; come del resto gli stessi Dioscuri.

Cominciamo tuttavia con una immagine consolatoria apparsa su un quotidiano cittadino. Una coppia scende dallo Scalone di Palazzo Comunale, dopo essersi sposata, accompagnata non solo da parenti e amici, ma dai loro fidi pelosi. Lo trovo confortante e amicale.
L’amicizia tra umani e pelosi è un segno di civiltà.
Altrettanto se non più confortante la splendida iniziativa di Monumenti Aperti, la presentazione di diciotto monumenti, novecenteschi in gran parte, spiegati da ragazzi e bambini che, ottimamente preparati dai loro insegnanti, hanno fatto da guide a un flusso ininterrotto di visitatori che hanno affollato quei luoghi. Ho assistito alle presentazioni fatte a Casa Minerbi. Solo qui, in due giorni, 1150 visitatori, e 100 rimandati per eccessivo affollamento, sono stati intrattenuti da piccoli Giorgio Bassani e Giuseppe Dessì che si sono alternati mostrando ottima preparazione e capacità di spiegazione, ma soprattutto assimilazione di ciò che gli insegnanti hanno loro comunicato.
Poteva mancare la polemica? No certo! In questo caso innescata dal portavoce di Fdl Mauro Malaguti che così scrive su un quotidiano cittadino:
“Sabato e domenica scorsi, c’è stata l’iniziativa ‘Monumenti aperti’ in cui si potevano visitare palazzi del ‘900 solitamente chiusi al pubblico. Una iniziativa che mirava a riscoprire un patrimonio architettonico poco conosciuto, con l’opera divulgativa assicurata dagli studenti delle scuole elementari e secondarie di primo grado, che dovevano guidare il pubblico in un percorso di valorizzazione dal punto di vista turistico del nostro patrimonio architettonico e culturale del Novecento, in un programma che prevedeva di approfondire l’evoluzione e la nascita delle correnti artistiche […] Eppure, in tale ‘programma’ i ragazzini di 8-10 anni si sono prodigati, evidentemente ben istruiti, nel recitare anche le aberrazioni della dittatura fascista che, credo, poco abbiano a che vedere con arte e tecniche architettoniche. Per altro, proprio il 16 ottobre ricorre il giorno del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma, ed è sacrosanto ricordarlo, magari nelle opportune sedi e non per bocca di bambini di 8 anni. […] Ennesimo episodio, evidentemente, in cui la sinistra non perde l’occasione per infarcire una iniziativa di stampo culturale con i richiami storici che più gli sono congeniali, evitando accuratamente ogni riferimento contestuale gli sia sgradito […]”.

Non mi sarei permesso di riportare questa sgradevole protesta se l’evidente faziosità con cui è stata scritta non m’inducesse a controbattere come del resto ha fatto un lettore sulla ‘Nuova Ferrara’. Ma davvero si può pensare che i giovani protagonisti di questa ottima iniziativa siano stati indottrinati dai cattivi comunisti che mangiano i bambini? O che gli insegnanti diretti dal Minculpop ferrarese avessero così ben indottrinato i poverini, inducendoli a pericolose dichiarazioni politiche e ad altrettante dimenticanze ‘dell’altra parte’. Ormai la disconnessione tra parole e pensiero induce a sostenere affermazioni che se non avessero un risvolto etico potrebbero apparire ridicole. Proprio sicuro il signor Malaguti che ai bambini di 8 anni (in realtà le guide quasi tutte erano di 12-13 anni) non si possa spiegare la Storia? E che non abbiano diritto di sapere che nelle carceri di Ferrara, ora sede del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah venisse rinchiuso Giorgio Bassani perché ebreo? E che a Ferrara, se ci fossero stati reperti sulle foibe e sulle atrocità commesse dai titini, gli insegnanti non avessero compiuto con eguale competenza e serietà il compito che si erano ripromessi di fare? Fossi in loro, a qualsiasi credo politico appartenessi, mi risentirei della nota del solerte politico.

Altrettanto significativo della piega politica a cui ormai rivolgiamo ogni pensiero, compreso quello delicatissimo e assai complesso della nozione di cultura in una città che si fregia del titolo di ‘città della cultura’, il fondo apparso in un quotidiano cittadino. Leggo infatti l’editoriale del ‘Resto del Carlino’, Cronaca di Ferrara del 14 ottobre 2018. Una piccata protesta per l’accoglienza riservata alla mostra in Castello della collezione Cavallini-Sgarbi; protesta che, secondo l’estensore, “smaschera, al di là delle positive intenzioni di Tagliani, la reale ostilità del mondo culturale ferrarese ufficiale non solo per gli Sgarbi – visti come un corpo estraneo – ma anche per quella straordinaria mostra, a mala pena tollerata. Insomma, una figura un po’ da provinciali nei confronti di due personaggi, magari ingombranti e sopra le righe rispetto allo standard ferrarese, ma protagonisti assoluti della scena culturale, artistica, politica e mediatica italiana”. Non esprimo giudizi sulla mostra – non è qui né il caso né l’intenzione, ma resto assai stupito che l’estensore della nota poco ricordi (o conosca) dello “standard ferrarese” culturale. Forse sarebbe ingeneroso ricordargli le strepitose mostre organizzate da Farina ai Diamanti che portavano a Ferrara le più audaci proposte del mondo contemporaneo o le compagnie più all’avanguardia nel rinnovato teatro comunale poi dedicato ad una delle figure più importante del Novecento culturale: il maestro Abbado. Quindi non sarei così sicuro che lo standard ferrarese sia così provinciale come si vorrebbe far intendere. Un pochino di conoscenza da parte dell’editorialista della storia culturale ferrarese avrebbe evitato un imbarazzante – per lui – giudizio.

Attendo la macchina che mi porterà a Mantova per presentare il bellissimo volume scritto da Andrea Emiliani su Canova ambasciatore del Papa che si reca nel 1815 a Parigi a recuperare le opere d’arte trafugate da Napoleone. Accanto a casa arrivano gli studenti per prendere il bus. Ogni parola è condita col termine forse più diffuso oggi in Italia: c…o, disinvoltamente usata da ragazzi maschi, ma soprattutto femmine che, intendo le ragazze, lo intercalano con la frase “non rompermi i c…i”, quasi un’invidia freudiana per l’organo sessuale maschile. Del loro organo non c’è traccia tra un battere il cinque e abbracciarsi come fanno i giocatori. Mi spiace che vivendo al Nord non venga usato il termine più gentile ‘minchia’ forse sconosciuto a questa eroica gioventù.
Giungiamo a Mantova dopo un’avventurosissima traversata perdendo a ogni svolta la strada e andando dalla parte opposta indicata dal severo tom tom.
Poi il premio. La squisita direttrice dell’archivio in nostro onore estrae dalle segrete stanze dell’edificio la bozza della lettera che Baldassar Castiglione scrisse a Leone X. Un tesoro acquisito dallo Stato l’anno scorso e che qui è stato depositato.
Ci troviamo di fronte al documento che sancisce l’istituzione della cura delle opere d’arte.
Consolati, dopo averla accarezzata, ovviamente con i guanti bianchi, cominciamo il nostro lavoro. Culturale, mi si permetta.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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