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LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER
16 agosto 2019

Oggi ad esempio ho sperimentato il trasporto pubblico di mezz’agosto e realizzato con un po’ di vergogna che, avendo una macchina (attualmente rotta) e uno scooter, non avevo mai preso la metro C, che passa a cento metri da casa mia.

La prima impressione, appena entrato in uno spazio sotterraneo gigantesco, animato com’ero da un brivido di ottimismo dettato dalla curiosità, è stata quella di trovarmi finalmente in una metropoli europea.

Impressione che è durata pochissimo, forse per il vuoto spettrale delle ferie estive, forse per l’assenza di colori, d’indicazioni, di spazi espositivi, cartelloni pubblicitari o mappe stradali, che caratterizzano le metropolitane di altre città.

Nel grigio vuoto di questa stazione nuova di zecca, l’unico elemento che me l’ha fatta sentire parigina è – per dirla come si usa adesso – la nettissima prevalenza di stranieri, oppure – come si diceva prima – il carattere multietnico dei suoi utenti.

Superata la prima panchina di bengalesi e la seconda, occupata da una famigliola musulmana con regolare signora col foulard, mi seggo vicino a due bellissime africane che parlano animatamente fra loro in una lingua che non capisco.

La nuova metro C ha un unico vagone e si vedono tutti i passeggeri. Da una mia rapida statistica direi che i romani sono il 10%. Anche se è difficile essere scientifici, i miei strumenti sono un insieme di stereotipi gestaltici che vanno dall’abbigliamento ai caratteri somatici. Oggi Roma è in mano ai turisti e ai migranti: proporrei un referendum per fissare le elezioni a ferragosto, in metropolitana. Forse ci potremmo liberare di Salvini.

Appena sceso a San Giovanni aspetto un tram alla fermata.

Sento un dialogo tra una brasiliana e una croata: “Di qui passa il tram?”

“No, niente tram fino al 3 settembre, solo bus!”. E’ un po’ come quando si chiama Alitalia per un volo Roma –Torino e ti rispondono da Tirana.

Ormai dell’Italia ne sanno di più all’estero.

L’autobus arriva, inspiegabilmente, subito. E dopo due fermate sale una pattuglia di controllori, che setaccia i viaggiatori facendoci esibire i biglietti.

Un brivido mi attraversa, ma questa volta, stranamente, sono in regola.

Mi ricordo una volta, più di vent’anni fa, quando, su un autobus che veniva dalla periferia, scoprirono che eravamo una ventina a non aver pagato. Decisero, dopo aver fatto scendere i pochi in regola, di chiudere le porte e sequestrarci portandoci direttamente alla Questura centrale.

La maggioranza di chi non aveva il biglietto, vent’anni fa, era di italiani: studenti, pensionati, barboni. Oggi, che ne hanno beccati tre, due di loro sono stranieri.

In questi casi la gente tergiversa, fa finta di cercare nella borsa, uno (l’italiano) addirittura minaccia: “Guardate che prima che lo trovo, perdete un sacco di tempo!”. Poi, appena l’autobus apre le porte a una fermata, la signora velata di bianco, forse un’eritrea, che aveva esibito un biglietto scaduto, si butta giù dalla porta posteriore e inizia a correre. Uno dei tre controllori, con scatto da poliziotto, scende giù all’inseguimento.

L’autobus riparte e con la coda dell’occhio vedo che il controllore ha bloccato la signora e le sta facendo una ramanzina. Immagino la sensazione terribile di resa, di fronte a una multa pesantissima, di questa donna anziana dall’aria mite eppure un po’ sfacciata nel suo goffo tentativo di farla franca.

Anche su di lei avrei un pregiudizio, benevolo però: penso che sia talmente povera e sfortunata che dovrebbero lasciarla andare.

Ma mentre intanto, nell’autobus, i controllori stanno finendo di prendere gli estremi di quello che non ha il biglietto, s’alza all’improvviso un signore sulla settantina, magro, benvestito, un elegante barba bianca. Parla forbito il signore, anche se sta esprimendo la sua indignazione e non si capisce il perché.

“Faccia reclamo all’Atac” gli dice il controllore, che vuol tagliare corto.

Ma il tizio non si arrende: “C’è gente a Viterbo che rischia la vita, ma solo io ho denunciato al Prefetto che quel ponte era pericolante!” spara a voce alta, e nell’autobus spunta una foresta di punti interrogativi. Ma di cosa starà parlando? Tutti naturalmente pensiamo al viadotto di Genova, ma non capiamo cosa c’entri adesso Viterbo. Allora il signore, che ormai è circondato da gente che guarda altrove e fa finta di non sentire, si rivolge a me per dirmi “Pensi che a me che sono italiano da tutte le generazioni, mi hanno tolto la cittadinanza perché vivevo all’estero! Ah ne dovrei fare di denunce io! Non mi basterebbe il tempo!”

Siccome non mi piace trattare gli altri da dementi, gli chiedo: “E perché le hanno tolto la cittadinanza?” “Perché, perché…” facendo un’ironica pausa teatrale “perché se loro non usano il potere che hanno, non si sentono potenti” risponde, cercando complicità. Insisto: “Si, d’accordo, ma con quale argomentazione?” “Quale? Nessuna! E’ che io…sono diverso! No, non mi fraintenda, non sto facendo outing, non sono gay. Sono solo diverso da loro.” Mi è simpatico il signore, ma effettivamente gli manca qualche rotella, perché attacca una lunga concione sulle sue persecuzioni senza mai spiegare bene cosa gli sia successo, parlando sempre di “Loro”, gli imprecisati nemici che gli hanno rovinato la vita.

E cominciando a scaldarsi, perde definitivamente il filo della logica.

Mi colpisce che in questa Roma in maggioranza straniera, l’unico italiano che prenda la parola protesti, apparentemente, per aver perso la cittadinanza. Sembra una metafora perfetta per chi agita oggi il tema dell’invasione.

Anche se, con la convivenza, non c’entra niente.

Intanto mi rendo conto che col signore non c’è spazio per un dialogo, e comincia a salirmi un po’ di angoscia. Per fortuna è arrivata la mia fermata: gli chiedo scusa di doverlo interrompere, ma lui comunque va avanti da solo, cercando un altro pubblico.

Quando scendo, mi sento sollevato.

Prendo il mio scooter, salto in sella e comincio a correre godendomi il vento in faccia, sentendomi perfino giovane, un po’ egoista, ma libero di stare, almeno per un po’, in compagnia soltanto dei miei piccoli guai.

(continua dopodomani, 18 agosto)

Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:

Diario di un agosto popolare


Oppure leggili uno alla volta:

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA

STRANI STRANIERI

CORPI DIMENTICATI

NELLA CITTA’ DESERTA

COCCIA DI MORTO

FINCHÉ C’É LA SALUTE

LA BOLLA SVEDESE

STELLE CADENTI

LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER

FREQUENZE DISTORTE

CANNE AL VENTO

L’OTTIMISMO DURA POCO

LA TORBELLA DI ADAMO

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Daniele Cini

è regista e autore. Dagli anni Ottanta Collabora continuativamente come regista con i programmi più importanti della Rai e realizza reportage in vari paesi del mondo. Nella fiction cura la regia di serie televisive, come “La Squadra”. Per il cinema firma il film “Last Food”, il mediometraggio “Zittitutti”, e due episodi nei film collettivi “Intolerance” e “All human rights for all”. Tra i documentari: “Sogni.com” per Rai Fiction, “Seconda Patria” per History Channel, “Noi che siamo ancora vive” per Rai 3, Globo d’oro nel 2009, “Bambini guerrieri” per Rai 1 e “Hungry and Foolish” per Rai Expo. Nel 2021, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, realizza il film documentario “La febbre di Gennaro”, Nel 2022 il documentario “Il ragazzo con la Leika”, 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, trasmesso su Rai 2. Nel 2004 ha pubblicato per Voland “Io, la rivoluzione e il babbo” e nel 2020 per Giunti “Se son rose sfioriranno” .

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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