LA TORBELLA DI ADAMO
26 agosto 2019
Torbellamonaca a Roma è un po’ una sineddoche (la parte per il tutto) della periferia.
Una volta si diceva “è un borgataro”, oggi se vivi “allo sprofondo” ti chiedono: “ma ‘ndo stai, a Torbellamonaca?” .
Perché a Roma se il tuo quartiere comincia con Tor, vuol dire che stai fuori dal centro. Ma il mito di Torbella, che addirittura è oltre il Sacro G.R.A., riassume da solo tutto il peggio del suburbio metropolitano: i più truci spacciatori, i topi più affamati, il degrado più appariscente.
Diventa anche simbolo della crisi politica che stiamo vivendo: Torbellamonaca passa a destra mentre Parioli va a sinistra. Qui la casta non ci finisce neanche per sbaglio, tutto è popolo.
Ho cominciato a frequentare Torbella (si fa per dire, ci sarò stato una decina di volte) per andare a trovare Adamo, che ci ha lasciati il 26 agosto di due anni fa, e non riesco a separarla da lui.
Adamo l’ho incontrato una trentina di anni fa, alla stazione Termini. Radunava barboni e senzatetto per aiutarli a occupare spazi vuoti dove dormire. Mi ha colpito subito il suo sguardo (l’iride celestissimo incorniciato da sopracciglia scure), che lanciava un messaggio molto chiaro: “ti tengo d’occhio”. All’inizio, confesso di non essermi subito fidato e forse neanche lui di me. Ci scrutavamo dai nostri rispettivi mondi per capire se non ci saremmo dati qualche fregatura.
Un giorno, mentre tornavamo dal cimitero dove era sepolta Valentina, una ‘barbona’ di trent’anni morta di freddo alla stazione, Adamo mi chiese brutalmente se ero anch’io ‘della parrocchietta‘. Lui aveva fatto la galera, aveva cominciato in un carcere minorile, parlava di rapine e grandi giocate d’azzardo: “Ero un malandrino, Daniè, non mi avresti riconosciuto”. Lo rassicurai sul fatto che io le parrocchie le avevo sempre fuggite, comprese quelle dell’estrema sinistra da cui più o meno provenivo. Da lì cominciò la nostra amicizia.
A lui piacque molto un mio piccolo film che feci su di loro (“Gli amici di Valentina”), e credo che attraverso quelle immagini capì che, come lui, avevo allergia per le ingiustizie e cercavo la maniera di esprimerlo. Adamo era uomo di grande generosità e poca voglia di star zitto.
Nella sua nuova vita, si mise a organizzare senza tetto, disabili, zingari e alcolizzati. Lottando come un leone per i loro diritti. Poi un tumore gli ha portato via le corde vocali.
Andai all’ospedale dopo l’operazione e gli regalai un quadernetto e una penna che apprezzò molto. Iniziò in quel periodo a scrivere il libro della sua vita e io l’aiutavo a correggere l’italiano, perché avevo fatto più scuole di lui.
Ma Adamo era irrequieto e poco indulgente con se stesso e il libro non lo fini mai. Mi fece però conoscere la sua famiglia tutta di donne, la moglie Anna e quattro figlie in gambissima, e Tor Bella Monaca.
Entrando sotto quei ponti che uniscono i blocchi, girando per la piazzetta o nei ‘terrains vagues’,(come i francesi chiamano gli spazi residuali, con un’espressione secondo me molto efficace, o ‘i non luoghi’ di Marc Augé), ambienti che al cinema vediamo sempre collegati a scene di spaccio o di violenza, ho sempre trovato invece, grazie ad Adamo, una toccante densità di relazioni umane. Certamente c’è anche spaccio e delinquenza, rapporti difficili di vicinato e violenza domestica: sarebbe ridicolo negarlo. Chissà, un domani la cronaca ci parlerà di un africano bastonato o di un efferato delitto, a consolidare il mito oscuro di Torbella.
Eppure per me, grazie alla mia amicizia con Adamo, ha fatto tutto un altro effetto. Sin dalla prima volta, mi ha colpito un aspetto che difficilmente si trova nei quartieri della Roma bene: un tessuto di vicinato solidale, che qui in qualche maniera comunica. Un tratto accentuato da una presenza piuttosto visibile dei disabili (che hanno avuto in passato delle facilitazioni dell’assegnazione degli alloggi). E che come spesso accade alle persone con la vita più difficile, dimostrano una grinta speciale a muoversi in un quartiere per altri versi inospitale.
A casa di Adamo ho conosciuto tutto questo.
Tendiamo a conoscere le periferia attraverso figure fragili, o sbandate. Che empatizzano con i nostri lati stropicciati dalla vita. Il canaro di Dogman, Vittorio e Cesare di Non essere cattivo, i tossici di Trainspotting, la Rosetta adrenalinica dei fratelli Dardenne…
Adamo apparteneva a un’altra categoria, quella dei tosti.
Anche se so che la sua determinazione umanitaria, la sua grinta, resa ancor più evidente dopo che aveva perso le corde vocali, non sarebbe stata tale senza la presenza di un’altra tosta, sua moglie Anna: anni di lavoro durissimo da infermiera, notti di pazienza passate ad accudire gli anziani e giornate a tirar su le quattro figlie, da sola, mentre Adamo faceva l’eroe da qualche parte, incatenandosi insieme a cinquanta carrozzine in Campidoglio o innalzando crocifissi con appesi sopra i suoi amici barboni.
Ho sempre mangiato tantissimo e con gusto a casa di Anna, ho incontrato persone generose e fatto grandi risate.
Per me Tor bella monaca è questa vitale esperienza.
Eppure solo a due anni di distanza, rimane un ricordo lontano, uno ‘sprofondo’, che assieme a Adamo, ho dimenticato troppo.
È forse il destino delle periferie, essere dimenticate: perché, nella loro bruttezza, sono fin troppo umane.
“Le periferie sono il posto in cui i problemi che si dibattono sul piano nazionale sono reali: la disoccupazione, le tensioni tra le diverse comunità religiose, la lontananza dalle istituzioni (anche europee). Ma proprio perché sono posti difficili, sono posti vivi. La lotta per risolvere queste difficoltà genera anche molta energia creativa. Tanto più che moltissimi creativi decidono poi di trasferirsi in quelle zone per seguirne il battito.”.
(Marc Augé, Tra i confini, Milano, 2007)
(Fine)
Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:
Diario di un agosto popolare
Oppure leggili uno alla volta:
ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA
FREQUENZE DISTORTE
Daniele Cini
Comments (4)
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Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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Francesco Monini
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La premessa è piena di empatia, prepara il lettore ad avere la giusta disposizione d’animo verso il racconto …molto bella ,sincera
Adamo certamente un “eroe dei nostri tempi ” diventa l’esempio di solidarietà umana e di riscatto dopo una vita contro
E Torbella adesso non fa più paura
Vivi complimenti e grazie per aver pubblicato queste “tranches de vie” di Daniele Cini, scritte col cuore e traboccanti di umanità.
Si impara- almeno per me- più da questi contributi che leggendo certi libri di sociologia urbana.
Franco Stefani
Tutto molto interessante e bello. Se poi voleste citare almeno il nome dell’autore foto, sarebbe anche corretto. Pas Liguori
C’è solo realtà nel senso più pieno del termine in queste tredici cronache. Realtà intorno a noi che spesso dimentichiamo, ignoriamo, che ci fa paura, ci angoscia, ci mette in crisi. Come é scritto in un commento precedente, molto difficilmente un trattato di sociologia urbana riesce a raccontare con altrettanta incisività e forza emotiva tanti lati e contraddizioni dell’umanità. Il tutto scritto con grande sincerità e senza inutili giudizi e pregiudizi. Chissà, a tre anni di distanza da queste ‘immersioni’ nella periferia romana, cosa rimane di tutto questo e quali novità stiano emergendo. Grazie davvero