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“E adesso?”
“Adesso dovrebbe cominciare una storia nuova”. 
“E questa?”
“Questa è finita”.
“Finita, finita?” 
“Finita, finita”.
“La scriverà qualcuno?”
“Non so, penso di no. L’importante non era scriverla, l’importante era provare un sentimento”.

Sono le ultime righe di Atlante occidentale (Einaudi, 1985), il primo romanzo di Daniele Del Giudice.
Ora la storia dovrà scriverla qualcun altro; Daniele è morto povero, povero com’era nato, lontano dalla gloria letteraria e lontano da tutto il resto. E’ morto nella sua amata Venezia il 2 settembre scorso, dopo un silenzio durato più di dieci anni.

Appena qualche mese fa, un suo amico mi diceva che continuava a visitarlo regolarmente nella clinica dove era ricoverato, anche se Daniele “non c’era più”, colpito dal 2010 da demenza precoce non poteva più riconoscerlo. Da tanto tempo Daniele Del Giudice aveva finito le parole, e chissà quante cose meravigliose avrebbe potuto ancora scrivere.

Peccato che la morte di uno scrittore – forse l’unico grande scrittore italiano dopo Italo Calvino – sia passata quasi sotto silenzio, una pratica doverosa ma da sbrigare in fretta. I necrologi di rito, qualche articolo-ricordo sulle pagine culturali, una vecchia intervista riesumata per l’occasione, uno stupido Premio Campiello alla carriera (che non ha fatto in tempo, ma che non avrebbe comunque potuto ritirare).

Davvero troppo poco per un autore che ci ha consegnato una scrittura “perfetta”: limpida, lucida, levigata.
Daniele racconta caparbiamente, spiega a noi e a se stesso, cosa sono e a cosa servono gli oggetti che popolano il mondo, un mondo però (una storia, una vita, un destino) che non risponde, che rimane indecifrabile. Così mi pare di vedere la sua scrittura appollaiata lassù, nel piccolo aeroplano di Daniele, gli occhi a scrutare la Terra dall’alto: i pensieri e le azioni degli uomini e il sentimento che li fa vivere.

Il volo, con la scrittura, era la sua grande passione, i suoi romanzi e racconti sono pieni di decolli, manometri, virate, atterraggi. Staccando l’ombra da terra è l’incontro tra un giovane uomo e un signore avviato verso la vecchiaia, il loro fitto dialogo: sul volo, la scienza, la scrittura, la vita. Così si chiude, come un commiato, Popiove, un suo breve racconto: “Dopo che mia madre sarà morta, un giorno prenderò l’aereo e decollerò dal Lido, metterò la prua verso il mare, chiuderò la radio e piano piano me ne andrò col mio gatto, e per sempre nelle notti e nei giorni noi due voleremo, facendo scherzi a tutti «on the wing of the night»…”.

NOTA
Tutte le opere di Daniele Del Giudice sono pubblicate da Einaudi. Alcune di queste sono disponibili gratis in formato Pdf.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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