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La cosa peggiore che potrebbe fare oggi un pacifista è quella di non occuparsi dell’Ucraina sperando che la crisi si sgonfi da sola.

L’altra cosa sbagliata è quella di non prendere posizione perché è un tema troppo spinoso e per timore di essere etichettati: troppo vicini a Putin o troppo vicini alla Nato.

Manifestazione per la pace

Il nostro ruolo di pacifisti non è quello di fare da spettatori ma di essere proattivi e di anticipare gli altri con proposte veramente indipendenti dalle superpotenze.
Non attendiamoci che questo ruolo lo svolgano i partiti politici, noi siamo più liberi dai condizionamenti.
Siamo noi che dobbiamo decifrare la realtà, sfrondandola dalla sua scorza propagandistica, e capire cosa è meglio fare nell’interesse della pace, avendo come primo obiettivo quello di evitare una guerra dalle conseguenze imprevedibili e comunque devastanti.

I pacifisti dovrebbero essere i primi a dire no a un coinvolgimento militare europeo anche nel malaugurato caso di invasione dei carri armati russi in Ucraina. Non vi fu coinvolgimento militare della Nato per le invasioni di Ungheria o Cecoslovacchia e non è comprensibile perché oggi si possa pensare di poter condividere posizioni bellicose del tipo: se la Russia invade l’Ucraina noi dobbiamo entrare in guerra contro la Russia sostenendo un’azione militare della Nato.
Chiariamo subito che l’Ucraina non fa parte della Nato e pertanto non vale il principio – previsto dall’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico – secondo cui “un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti” da cui può conseguire “l’uso della forza armata”.

Le regole della Nato

L’Ucraina ha fatto richiesta di entrare della Nato e di avvalersi quindi di questo formidabile strumento di “legittima difesa”. E una delle ragioni per cui Putin potrebbe accarezzare l’idea (folle e sciagurata) di un’invasione dell’Ucraina potrebbe risiedere proprio nel tentativo di bloccare l’adesione dell’Ucraina alla Nato.

Ma attenzione: l’adesione dell’Ucraina alla Nato è subordinata all’accettazione delle nazioni che aderiscono alla Nato stessa.
Basta il “no” di una sola delle nazioni per fermare l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Infatti l’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico subordina a un “accordo unanime” l’adesione di una nuova nazione alla Nato. Anzi, leggendo con attenzione quell’articolo 10, si può evincere chiaramente che si entra nella Nato solo se invitati: non basta farne richiesta. E si entra solo se invitati con “accordo unanime”. L’articolo 10 è particolarmente stringente.

Da questo punto di vista ha ragione Putin quando dice che l’adesione dell’Ucraina alla Nato può essere fermata e ha torto Biden quando dice che non si può limitare la libertà dell’Ucraina se decide di voler aderire alla Nato. Infatti il gioco è nelle mani della Nato (e di Biden) e non nelle mani dell’Ucraina. Basterebbe, ad esempio, che la Germania dicesse di no e l’Ucraina rimarrebbe fuori della Nato.
E’ imbarazzante fare un ripasso delle regole della Nato a chi ha è nella Nato, dimenticando o facendo finta di dimenticare cosa che è scritto nel Trattato del 1949.

Dopo questa premessa, è bene arrivare alla logica conclusione: se l’Ucraina alla Nato è fonte di grande tensione internazionale, allora la nostra posizione di pacifisti dovrebbe essere quella di premere sui governi della Nato perché non invitino l’Ucraina nella Nato.

L’obiezione a questa nostra posizione è prevedibile: senza inclusione nella Nato l’Ucraina rimarrebbe scoperta militarmente e senza capacità di difesa da un’invasione russa. E’ ragionevole questa posizione? No. E vediamo perché.

La crisi ucraina è molto simile alla crisi di Cuba del 1961

Cuba era minacciata (gli Usa avevano tentato un’invasione) e chiese all’Urss i missili per proteggersi. Cuba si sentì minacciata e reagì. Anche gli Stati Uniti si sentirono a loro volta minacciati e reagirono, mettendo in atto un embargo navale che violava il diritto internazionale. La similitudine con l’Ucraina, anche se a parti politicamente inverse, è impressionante (anche se va detto che nessuno a oggi ha documentato un piano di invasione russa, mentre quello americano ai tempi di Fidel Castro e di Che Guevara, era confermato).

Una Cuba integrata militarmente nell’alleanza sovietica era percepita come destabilizzante e Kennedy fu fermo nel bloccare questo, molto di più di quanto non abbia fatto Putin fin qui. Oggi Putin fa come Kennedy al tempo della crisi di Cuba.
A rileggere oggi la crisi di Cuba del 1961, mondata da ogni sovraccarico ideologico e da ogni passione dei tempi che furono, ci si rende conto che non c’erano buoni o cattivi, ma c’erano due opposte esigenze di sicurezza che andavano entrambe tutelate.

Non c’erano buoni e cattivi allora così come non ci sono buoni e cattivi oggi.
Ci sono ragioni geopolitiche che vanno comprese. Vorremmo avere ai nostri confini una nazione ostile e per di più alleata con altre nazioni a noi ostili? È così difficile capire? Così come Kennedy non voleva a Cuba una minaccia militare, così Putin oggi non vuole avere una minaccia Nato ai confini, con l’Ucraina che scalpita per riconquistarsi i territori che hanno dichiarato l’indipendenza sotto la spinta dei filorussi.

Evitare la guerra

C’è una sola cosa da fare oggi: evitare la guerra, così come venne fatto nel 1961. E per evitare la guerra occorre che l’Ucraina non entri nella Nato.
Ovviamente questa non inclusione dell’Ucraina nella Nato deve essere contrattata con una parallela inclusione dell’Ucraina in un sistema di sicurezza che preveda il distanziamento di tutte le minacce militari. Creando una zona di pace in cui gli osservatori internazionali garantiscano il costante monitoraggio della situazione, sviluppando al massimo il dialogo e la risoluzione nonviolenta dei conflitti insieme alla società civile. Quest’approccio è l’esatto opposto alle ambizioni pro-Nato dell’Ucraina , ma è anche particolarmente forte nel mettere alla prova la buona fede di Putin quando dice che non è sua intenzione avviare un’invasione dell’Ucraina.

L’approccio dei pacifisti alla crisi deve partire sempre dal fatto che è nostro compito saper comprendere le esigenze sicurezza del nostro avversario, perché – a ben vedere – sono anche le nostre, e non possiamo rivendicare la nostra sicurezza senza farci carico della sicurezza dell’avversario.

Occorre dire no alla guerra, anche se fosse una guerra per i “buoni”. E occorre dire no anche a forniture di armi all’Ucraina, così come ventilata da autorevoli esponenti ei verdi tedeschi. Perché in una guerra di questo tipo i “buoni” non esistono

In guerra i buoni non esistono

Uso questo termine – “buoni” – sempre per semplificare e in modo provocatorio.
Nella storia si è sempre fatto la guerra per aiutare i ‘buoni’. Non nascondiamocelo: questa è la trappola in cui rischiamo di cadere tutti. E il silenzio dei pacifisti, di noi pacifisti, sarebbe grave in questo momento. Se ci perdiamo alla ricerca dei buoni e dei cattivi (fermo restando il fatto che i neonazisti in Ucraina non sono affatto ‘buoni’ e sono una minaccia anche per l’Italia) perdiamo tempo alla scelta della parte giusta per cui tifare.

Come nella crisi di Cuba, con l’intervento anche di papa Giovanni XXIII, oggi occorre affermare l’imperativo prioritario della pace, scollegando questo imperativo da altri imperativi molto importanti (come la difesa dei diritti umani e della democrazia) che vanno giocati sui terreni della nonviolenza e non della deterrenza militare.
Le condizioni odierne e il panorama internazionale oggi consentono di tenere assieme pace, sicurezza e diritti umani senza ricorrere alla guerra e senza inasprire il confronto con un pericoloso poker in cui ognuno tiene coperte le sue carte. Occorre invece giocare a carte scoperte.

I pacifisti devono fare la prima mossa: la pace 

Sono preoccupato di una posizione attendista del movimento pacifista. Dobbiamo essere proattivi. La pace deve fare la sua prima mossa, prima che la faccia la guerra. Dobbiamo dire forte ciò che NON si deve fare in questa situazione critica. E ciò che non si deve fare oggi è includere l’Ucraina nella Nato o in una vendita di armi “difensive”.

I ‘buoni’ sono quelli dell’Ucraina? Secondo la Nato sì. Ma vendere le armi ai ‘buoni’ manda in soffitta definitivamente il criterio base della legge 185/1990 sul commercio delle armi che vieta la vendita di armi a tutti i paesi in conflitto. Quella legge non dice di “vendere le armi ai buoni e non venderle ai cattivi”. Occorre tirare le orecchie a quei verdi tedeschi che sembrano andare nella direzione opposta.
Se siamo liberi mentalmente dalla Nato e da Putin, siamo in grado di essere più credibili di chi invece deve mediare per ragioni politiche, per ragioni di consenso, per ragioni di sottomissione all’alleato più potente o per semplice conformismo.
Lo spirito di Gorbaciov – fare lui il primo passo del disarmo –  dovrebbe ritornare in campo, mettendo da parte la prova muscolare attuale. Chi abbandona il braccio di ferro – come fece Gorbaciov – è oggi il vero vincitore. E lo sarebbe anche il movimento pacifista se sapesse porre sul piatto la richiesta di smantellamento delle armi nucleari in Europa come contropartita per ottenere da Putin un impegno a lungo termine di pace per l’Ucraina.
Piuttosto che usare il bastone, occorre usare la carota, e la ragguardevole carota dello smantellamento delle armi nucleari dall’Italia, dalla Germania e da altre basi militari europee sarebbe sicuramente un contratto di mutua collaborazione fra USA e Russia che includerebbe come contropartita la garanzia della sicurezza dell’Ucraina. Se solo Biden sapesse seguire lo spirito di Gorbaciov che – facendo il primo passo – portò a un nuovo sistema di sicurezza basato sul disarmo nucleare.
Da questa crisi si può uscire con un atto di fiducia reciproca: smantellando le armi nucleari Usa in Europa in cambio di un impegno a garantire la sicurezza dell’Ucraina. Come avvenne nel 1961. Gli Stati Uniti rinunciarono a un’invasione di Cuba in cambio della rinuncia all’installazione dei missili a Cuba, e per di più Kennedy ritirò i missili Jupiter dalla Puglia e dalla Turchia.
Così si risolvono le crisi, ma a distanza di sessanta anni ci si dimentica di tutti e si continua a pensare che le prove muscolari servano.
Noi pacifisti  abbiamo memoria storica, e siamo la voce della pace. Facciamola sentire prima che i leader declamino le loro smanie di potenza o che – peggio ancora – i cannoni e i cingolati facciano sentire il loro frastuono.
Abbiamo oggi un alleato di grande prestigio: Papa FrancescoOggi abbiamo il privilegio di averlo accanto, a calcare le orme profetiche di Papa Giovanni. Se un seguito dovrò scegliere, non sceglierò la Nato, non sceglierò Putin, ma da laico sceglierò di andare al seguito di papa Francesco. In nome della pace.
Questo articolo di Alessandro Marescotti è uscito con un diverso titolo su Peacelink di ieri, 11 gennaio 2022.
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ALESSANDRO MARESCOTTI

Sono nato nel 1958. Laureato in Filosofia nel 1980, subito dopo mi sono avvicinato al mondo dei personal computer. Nel 1991 sono stato fra i fondatori di PeaceLink. Insegno Lettere a Taranto in una scuola media superiore. Collaboro con la dottoressa Chiara Castellani (www.kimbau.org). Mi interesso dell’inquinamento a Taranto e in particolare di diossina.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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