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il mestiere delle armi e la guerra inutile

Scena Prima: fare patta

Anche se non avete mai giocato, se non conoscete le regole, le mosse, strategie e tattiche per attaccare e difendersi, sapete benissimo come funziona la storia. C’è un re, una regina e un esercito bianco che combatte (fino alla morte) contro un re, una regina e un esercito nero. Nel “gioco di guerra più antico del mondo” (ma sicuramente si ‘giocava alla guerra’ molto prima dell’invenzione degli Scacchi) c’è un’ unica regola d’ingaggio, un solo obbiettivo: VINCERE. E per vincere si  possono ‘sacrificare’ alfieri e cavalli, perfino la regina, ma soprattutto i pedoni, la massa dei soldati semplici.
Negli Scacchi  – nella guerra simulata come in ogni guerra polvere e sangue  – vittoria e sconfitta non sono i soli due esiti possibili. La terza strada, quando i giocatori si rendono conto di essere in ‘stallo’, che si può continuare all’infinito ma vincere sarà impossibile, è quella della ‘patta’.

‘Fare patta’ non significa ‘fare la pace‘. La pace, il tempo della gentilezza e dell’abbraccio, potrà arrivare molto dopo: ci vorranno anni, decenni per scordare il sangue della guerra. Ma intanto ‘si fa patta’, si depongono le armi. L’odio per il nemico c’è ancora, ma si capisce che nessuno può vincere, che continuare la guerra non servirebbe a nulla. Nel gioco degli scacchi sarebbe solo tempo perso. Nel realtà, invece, continuare il gioco della guerra, non serve più a vincere, ma a vendere altre armi, fomentare i nazionalismi e moltiplicare il numero dei morti.

Scena Seconda: quel comunista di Rodari

A poco più di 100 anni dalla nascita (Trieste 1920) la stella di Gianni Rodari continua a brillare. Le sue filastrocche parlano ai bambini e agli adulti di tutto il mondo: in Europa, in Russia, in America. Per tutti, e non da oggi, Rodari non è più, classica diminutio: “un autore per l’infanzia”, ma un grande scrittore e poeta. in assoluto.
Pochi invece ricordano che l’autore della celebre Grammatica della fantasia  era un convinto comunista, scomunicato nel 1951 dalla Chiesa Cattolica. Come mai questa amnesia? Insomma, non serve tanta fantasia.  Qualcuna, per fortuna, ce lo ricorda: rimando al bell’articolo di Vera Roghi sul manifesto di oggi: Gianni Rodari, il comunista delle filastrocche.

La pace era un chiodo fisso di Gianni Rodari. Il no alla guerra, la ragione della pace (pace ovunque: tra i piccoli come tra i grandi) ritorna in decine di sue poesie e filastrocche. Lui la guerra l’aveva vissuta direttamente, e per tutta la vita continuerà a scrivere dell’idiozia della guerra e della bellezza della pace.  Su Periscopio ne abbiamo scritto spesso, anche ieri Simonetta Sandri, La luna di Kiev di Gianni Rodari.

Scena Terza: quando la guerra diventa inutile 

Oggi 24 febbraio 2023 è un anno esatto dal giorno dell’invasione russa in Ucraina. In realtà la Guerra del Donbass era cominciata molto prima, nel 2014, quando l’esercito regolare ucraino si opponeva alle forze separatiste russofone, ma si sa che ai media e ai libri di storia piacciono le date precise, quindi oggi sarebbe l’anniversario. Un anno di guerra,  moltissimi morti dall’una e dall’altra parte, militari e civili, bambini compresi.
Una guerra orrenda e fratricida perché tra russi ed ucraini ci sono mille legami: linguistici, culturali, familiari. Una guerra voluta e guidata da grandi potenze e da grandi interessi economici e militari. Infine, e oggi la cosa è sotto gli occhi di tutti, una guerra in utile. Più inutile di qualsiasi guerra, anche ammettendo ci siano guerre utili e giuste, perché tutti i commentatori e gli esperti militari ammettono che questa guerra è senza sbocco. La Russia non potrà vincere. L’Ucraina non potrà ricacciare i russi oltre le sue frontiere.
L’unico esito certo di questa guerra è che non avrà un esito. Non ci sarà un vincitore e un vinto. Si continuerà a combattere all’infinito, a conquistare e a perdere questo o quel villaggio, avanzare e ritirarsi da quel pezzo di terra, arriveranno altri missili e carrarmati. ma nessuno può ragionevolmente sperare nella vittoria.

Scena Quarta: se non ora quando?

Joe Biden è volato a Kiev da un raggiante Zelensky promettendo 25 miliardi di dollari per armare l’Ucraina. Subito dopo è arrivata una ridicola Giorgia Meloni in cerca di una piccola gloria anti Macron. Sembra che nessuno tenga conto che l’unica fine possibile a questa guerra è accettare una patta. Solo questa consapevolezza, solo un sano realismo può portare alla trattativa, alla tregua, quindi alla pace.

Proprio oggi, venerdì 24 febbraio, c’è molta attesa per la proposta di trattativa avanzata dalla Cina. Si può sperare che si tratti di una ipotesi concreta e realistica e non, come fino ad oggi, di parole vuote e proclami propagandistici. Certo sarebbe stato meglio se, invece di moltiplicare le sanzioni e di inviare armi,  fosse l’Europa (fiancheggiata dall’ONU e svincolata dagli Stati Uniti)) a farsi promotrice di un piano di pace, convincendo le due parti in conflitto a un immediato cessate il fuoco.

Ma come si fa a ‘fare la pace’ dopo anni di una guerra sanguinosa? Come è successo per altri conflitti, l’accordo di pace potrebbe prevedere la temporanea costituzione della regione del Donbass come territorio smilitarizzato, sotto la tutela delle forze ONU. Un territorio pacificato né russo né ucraino, dove però siamo garantiti tutti i diritti civili sia alla popolazione di lingua ucraina sia a quella russofona. Solo al termine di questo governo provvisorio (ad esempio di 5 anni) si potrà pensare ai passi successivi.

Una piccola morale pacifista

Non credo, anche se lo spero. che l’anniversario della guerra porterà un po’ di giudizio e di realismo nella mente di Putin e di Zelensky , almeno per risparmiare altro inutile sangue ai loro popoli. Dovrebbero essere gli altri Capi di Stato europei a fargli capire che la trattativa e la pace è l’unica soluzione percorribile. Anzi, ad imporglielo.
Dall’inizio del conflitto, e fino ad oggi, è stato il movimento pacifista a sostenere questa tesi. Tantissimi gli appelli, le iniziative, le manifestazioni, compresa la marcia dei 150.000 del novembre scorso a Roma.
Sono stati trattati, i pacifisti, come sognatori o disfattisti. Dei terribili piantagrane.
Erano invece gli unici con i piedi per terra.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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