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Biografia minima
Come scrittore e poeta sono attivo dai primi anni ottanta con tre opere “Tra due fuochi”, “Scorie Padane” e “Iperbolia”. Opere che erano certamente sulla scia della tradizione di rottura e di ripensamento dei canoni di Adriano Spatola. Un’azione dirompente nell’ambito della scrittura. Poesia totale è alla base di quelle opere. Dopo molto tempo ho rivoluto gridare non so io nemmeno che cosa, ma certamente produrre qualcosa di nuovo, di stimolante. Nel 2007 è uscito “Del diavolo e della santità” che è il libro di passaggio e di consapevolezza che la rottura dei canoni può avvenire anche attraverso la rilettura degli antichi. Così è nata la trilogia classica “A Cinzia”, “Raccontami o Dea” e “Il filo di Afrodite”. Ma la poesia deve essere totale come aveva insegnato Spatola e allora sono seguite due opere “Stagioni quotidiane” una pseudo bucolica e “Incitamento alla politica” nel 2016. Nel frattempo la mia attività di giornalista, intervistatore e scrittore mi ha portato a ripensare perché così pochi leggono in Italia. E allora nella mia ricerca ho scritto e sto scrivendo libri per ragazzi che hanno avuto un’ottima diffusione nelle scuole “La mamma racconta gli eroi” la cui traduzione in francese ha partecipato al salone del libro dell’Ile de France, e “Le storie di Antonio”. L’espressione attraverso le parole però ti riporta alla contaminazione tra le arti e così insieme con il musicista Beppe Giampà sono nate “Era Febbraio” nel 2015 e “Era ingenuo il tuo sorriso” nel 2016, due reading musicali per il teatro.

Gnudi, il tuo ultimo lavoro dedicato a Calvino e al suo Marcovaldo, presentato anche a Autori a Corte 2017, un approfondimento?
“Era ingenuo il tuo sorriso” nasce inizialmente da una collaborazione con un musicista astigiano, Beppe Giampà, con cui avevo prodotto già nel 2015 “Era febbraio”, un viaggio musicale recitato sulla Resistenza di ieri e di oggi, presentato oltre che a Padova, Asti e Milano anche alla Sala della Musica di Ferrara. Questa seconda collaborazione era comunque inizialmente un lavoro creato per il palco: otto ballate da me scritte e musicate da Giampà e introdotte nello spettacolo da brevi brani del “Marcovaldo”. Un lavoro che nella sua presentazione al palazzetto di Montegrotto Terme ha visto il tutto esaurito. Mancava qualcosa a questo incrocio di espressioni, così è uscito il libro con tredici ballate, illustrato da una brava disegnatrice Arianna Castellazzi. In questo modo ho cercato di chiudere il cerchio delle contaminazioni su un argomento, l’incoscienza di vivere, che Calvino ha voluto lasciarci come eredità. E ho cercato di essere conseguente, magari in forme diverse, alla poesia totale.

Gnudi, infatti un lavoro già multimediale… e sulla scia dell’arte totale preconizzata da un certo Adriano Spatola in fine secondo novecento… stagione di artisti e scrittori intenzionalmente perturbanti sul piano sociale e tua matrice personale storica…
Anche questa è una strada, forse la mia personale, per usare tutte le forme e lavorare sull’archetipo, come dovrebbe fare il narratore di poesia. Questa strada è certamente cambiata da quella intrapresa negli anni ottanta sulla scia di un genio dell’arte totale come Adriano Spatola, che ho avuto la fortuna di conoscere, anche se per poco e sulla scia di persone che, prima di me, alcune con me si sono poste il problema della perpetuazione dello stereotipo che la poesia stava perseguendo. E allora quando si andava ad allestire Casa dell’Ariosto con plastica e terra e luci e parole gettate contro i muri si dichiarava la circolarità dell’arte e non la sua elitaria ripetizione. A me che sono nato a Pontelagoscuro, un quartiere profondamente operaio in quegli anni e in quelli precedenti, pareva normale che l’arte si estrinsecasse in tutte le espressioni umane. “Scorie Padane” nacque in quegli anni, in cui tra una manifestazione politica e un’attività di volontariato, prima ottenni la maturità al Liceo Classico Ariosto e posso assicurarti che non era la normalità allora, poi mi laureai a Bologna in Lettere con una tesi di ricerca in antropologia culturale il cui postulato iniziale era: la cultura classica della scuola e la cultura popolare hanno lo stesso grado di dignità. Ti lascio immaginare lo scalpore in sede di discussione di tesi con Ezio Raimondi. Non potevo non abbracciare in pieno e perseguire fino in fondo la poesia totale del gruppo di Spatola: un’arte che provava la rottura per offrire criteri di approccio nuovi e universali. C’è riuscita? Inizialmente mi pareva che qualcosa si fosse mosso, poi in questi anni mi è parso che tutto sia rientrato, producendo fasulli o scrittori sul tovagliolo della pizzeria.

Perchè secondo te oggi, tempi liquidi, almeno nella superficie prevalente, prevale ovunque certo manierismo senza coraggio propulsivo ed intellettuale?
Un po’ ti ho risposto alla fine della domanda precedente, ma vedrò d’essere più breve e preciso. Vorrei darti intanto la mia idea di tempi liquidi. Sono tempi che non prevedono nessun approfondimento, che non prevedono nessuno o poco studio, sono i tempi dei tuttologi sono i tempi, come hai detto tu, della superficie. Non vorrei essere poi tacciato di vecchio, ma il manierismo, l’utilizzo di standard codificati e sicuri avviene nei momenti di decadenza. Ecco io penso che i posteri penseranno a questi nostri primi decenni del duemila come i tempi della decadenza: questo vale per la politica, per la società e per l’arte. Dopo anni che sembravano preludere all’arte totale per tutti, siamo invece arrivati alla bassa cultura per tutti. Il manierismo rassicura, il coraggio intellettuale in questi tempi e discriminante e discriminato. Quanto c’entra in tutto ciò la globalizzazione uniformante, quanto c’entra in tutto ciò la diversa interpretazione dei valori e delle priorità o quanto c’entra in tutto ciò questo irrazionale desiderio di beni e rifiuto del concetto della morte, sinceramente non so dirtelo.

Progetti prossimo venturi?
Mi sono fatto una promessa quando nel 2007 ho ricominciato a produrre parole: di continuare a farlo fino a quando sentivo di avere ancora qualche cosa di diverso, di nuovo rispetto agli altri da dire, che sia serio o ironico o sarcastico poco conta. Qualcosa di diverso dagli altri.
Fatta questa premessa ti dico che in questo momento oltre a “Era ingenuo il tuo sorriso” sto cercando di far girare anche un libretto contaminato dalla fotografia e già rappresentato un paio di volte in teatro dal titolo “Sensazioni”: cosa è, non lo so e non me ne importa. Sono parole e sensazioni. Alla fiera di Padova di ottobre, oltre che con questi due lavori andrò con una nuovissima produzione fatta con l’astigiano Giampà “La storia delle storie”. Qui si mescolano parole e canzoni sulla storia del Torino calcio, ma anche dei vari periodo storici in questa particolare squadra ha vissuta la propria vita: dalla fondazione nel 1906 al 1994. Passando attraverso il grande Torino. A noi piace molto questo particolare e nuovo approccio. Infine sono in attesa di pubblicazione due libri per ragazzi, che cercheranno di seguire le orme degli altri. Proprio per ultimo sta prendendo forma la modalità delle ballate poetiche che affrontano argomenti di streghe e di storie di vita, ma rispetto a questo avremo tempo di parlare.

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Roby Guerra


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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