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Il 2017 si chiude con due grandi colpe collettive: il definitivo siluramento dello Ius soli da parte del Senato e la ‘complicità’ italiana sui centri di detenzione libici, nascosta dal celebrato calo degli sbarchi.

Una volta nelle famiglie dei bravi cattolici – quelli che a Ferrara vengono chiamati bonariamente ‘cisàri’ – quando un bambino lasciava qualcosa nel piatto, si beccava puntualmente il rimbrotto dei genitori: “Mangia tutto! Pensa a quei bambini che muoiono di fame!” Poveri bambini, ho sempre pensato: quelli che muoiono di fame, ma anche i nostri bambini, cui viene precocemente inculcato il senso di colpa per una colpa non commessa.
“La colpa non esiste” arriva a dire Fabrizio De Andrè. Sono molto d’accordo con lui. Almeno a livello individuale. Almeno se vogliamo intendere una colpa definitiva e inappellabile. Pensateci, probabilmente anche Jack lo Squartatore, un soggetto assolutamente poco raccomandabile, aveva avuto un’infanzia difficile: un padre assente, una madre anaffettiva, un amore negato, un rovescio economico…

Sarà pure l’effetto del vento natalizio, ma mi sento indulgente verso le colpe individuali, comprese le mie naturalmente. Quelle che, invece, mi risultano indigeribili sono le colpe collettive. Gli appuntamenti mancati. I rinvii infiniti. I voltafaccia spudorati. I tradimenti politici. E questo 2017 se ne sta andando con due grande colpe sul nostro groppone. Cioè sul groppone dell’Italia e di ognuno di noi.
Non è un peso da poco. Sono ottocentomila i bambini e i ragazzi, molti di loro nati in Italia, che frequentano le nostre scuole, cui era stata ripetutamente promessa una sacrosanta cittadinanza – diritti e doveri inclusi – e a cui è stata ancora una volta sbattuta la porta in faccia. Appena prima di Natale, il Senato della Repubblica ha buttato via l’ultima possibilità di votare la legge sulla Ius soli. Stop. Rompete le righe. La legislatura è finita.
“Presidente, non lasciateci soli ancora una volta”, scrivono il giorno di Natale a Mattarella gli #Italiani senza cittadinanza. E’ però difficile credere che il Presidente della Repubblica sia disposto a rinviare di un paio di settimane lo scioglimento delle Camere. E servirebbe poi a qualcosa? Negli ultimi cinque anni, Renzi, Gentiloni, e prima di loro Enrico Letta, avevano assicurato il loro impegno per approvare un provvedimento di civiltà – intendiamoci, niente di rivoluzionario, solo il minimo sindacale per la comune coscienza e decenza – ma cinque anni non sono bastati. Non era mai il momento giusto. Non c’erano mai le condizioni favorevoli. Nonostante una maggioranza in grado di approvare centinaia di leggi, comprese cinque finanziarie. Nonostante il ricorso record al voto di fiducia: ho perso il conto, ma credo abbiano superato quota cento.
In termini tecnici, l’ultima figuraccia del Senato si chiama “mancanza del numero legale”, ma l’assenza in aula di una trentina di assenti del Pd e della totalità dei pentastellati non è dovuta al clima festaiolo. Non sono scappati a casa a incartare regali o a prepararsi per il pranzo di Natale o il cenone di Capodanno. Non è stata una questione di pancia, ma di testa. Perché la testa dei partiti è già proiettata verso le elezioni di marzo, tutti presi dal timore che il “piccolo coraggio” di votare la Ius Soli possa essere pagato con una sconfitta elettorale. E’ il calcolo politico – e a me pare un calcolo sbagliato oltre che meschino – che ha affossato definitivamente la Ius soli.

In un Natale dominato dallo storytelling dell’Avvento… della ripresa economica sembra che solo papa Francesco riesca a ricordarsi della interminabile schiera dei sempre-più-poveri e a ricordarci l’impegno dell’accoglienza e del dialogo interculturale.
Il secondo fardello, la seconda colpa collettiva – dell’Italia, della sua deprimente classe politica, ma anche di ognuno di noi – con cui si ci incamminiamo verso un nebuloso Nuovo Anno è la grande narrazione governativa della vittoria conseguita contro i trafficanti di uomini e il conseguente calo degli sbarchi dei migranti. La narrazione – parola oggi imprescindibile, che possiamo tradurre con Agit-prop, bugia, balla spaziale – sull’impegno e il ruolo dell’Italia rispetto all’emergenza immigrazione. Se Minniti e tutto il governo vantano il “crollo” degli sbarchi dei disperati sul nostro bagnasciuga, sappiamo – e fingiamo di non sapere – che questo risultato è stato pagato a duro prezzo: lo sgombero delle Ong dal Mediterraneo e la complicità italiana con la Libia sui centri di detenzione della “Quarta Sponda”. Laggiù, ma neppure tanto lontano, come denuncia l’Onu, centinaia di migliaia di uomini, di donne e di bambini sono rinchiusi in condizioni subumane.

Le colpe collettive sono però anche le nostre colpe individuali. Colpe a cui non possiamo sottrarci inveendo contro il “governo ladro”. Troppo semplice e troppo comodo. Eppure, e finalmente, anche nella nostra piccola Ferrara qualcosa si era mosso. La grande rete di Ferrara che accoglie e il Comitato del digiuno a staffetta per l’approvazione dello Ius soli si erano mobilitati, avevano chiesto al Consiglio Comunale di pronunciarsi. E il Consiglio Comunale, in un coraggioso soprassalto, aveva approvato una mozione in cui si sollecitava il Senato ad approvare definitivamente la legge sulla Ius soli.
Sappiamo com’è andata. Ma preoccupa che oggi di quel movimento sembra essere rimasto ben poco. Ferrara che Accoglie tace da mesi. Il Comitato sullo Ius soli anche. Il Consiglio Comunale pure. Come se il tradimento della politica avesse chiuso i conti per sempre.
Lo so, il cenone è alle porte, ci sono le lenticchie che porteranno soldi e prosperità, ma non sarebbe il caso di dire, pensare e fare qualcosa? Magari anche riprendere il digiuno? Perché a lungo andare le colpe collettive rovinano la digestione.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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