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Nonostante le linee guida la rotta non è segnata; al Ministero dell’Istruzione, al di là dei proclami, si naviga ancora a vista.
Non prende corpo una nuova architettura dell’apprendimento. Metri statici e metri dinamici, software al metro quadro, annunciati e subito soppiantati dalle tradizionali planimetrie.

Ma poi cosa ci andranno a fare insegnanti e studenti in queste aule a prova di distanziamento sociale? La sicurezza è certo la priorità, ma senza un vaccino, o un trattamento efficace contro il Covid-19, nessuno può essere completamente protetto dal rischio.
Le scuole e i loro dirigenti ora si trovano di fronte alla responsabilità di bilanciare salute e sicurezza delle persone con qualità ed efficacia dell’insegnamento/apprendimento. Ma già molte delle opzioni per riaprire le scuole fanno presagire un venir meno degli aspetti più significativi ed efficaci della didattica in presenza, il coinvolgimento degli studenti sui progetti di classe, l’apprendimento collaborativo, l’uso di laboratori. Inoltre discipline come arte, musica, educazione motoria e sportiva rischiano di essere seriamente sacrificate. Mentre si tace sull’insegnamento della religione cattolica, che potrebbe generosamente restituire la sua ora settimanale, due nella scuola primaria, al curricolo di base, mettendo a disposizione i suoi insegnanti per far fronte alle necessità di personale e di recupero prodotte dagli orari contratti.

Ora la ministra avanza l’ipotesi di nominare supplenti studenti non laureati, con quale idea di scuola e di didattica non si sa, riconfermando una preoccupante concezione dell’ istruzione come trasmissione di saperi da una testa all’altra. Forse al ministero si pensa che, non essendo ancora laureati, non potranno domani rivendicare il diritto ad una cattedra, gonfiando ulteriormente le file del precariato.

In definitiva, tempo scuola e qualità della didattica per forza di cose subiranno delle limitazioni. C’è il rischio che sull’apprendimento significativo prevalga l’apprendimento meccanico, che invece di un approccio costruttivista torni in auge quello istruzionalista. Questo perché task force e vari comitati tecnico-scientifici nominati dalla ministra Azzolina di tutto si sono occupati fuorché di quello che si fa a scuola: studio e apprendimento, come si studia e come si apprende.

Soprattutto è stato sottovalutato, più o meno consapevolmente, che il modo in cui  si inquadra una situazione, come minaccia o come opportunità, influisce nel determinare quale poi sarà la risposta.
Ed è proprio la risposta che preoccupa, perché, focalizzando tutta l’attenzione sulla minaccia, si è ottenuto il risultato di favorire irrigidimenti anziché flessibilità, il ritorno alle routine consolidate e l’affidamento al processo decisionale delle gerarchie. La costante inquadratura delle minacce ha finito per soffocare la creatività che sarebbe stata necessaria per rispondere efficacemente alle incognite.

Quanto accaduto questa primavera, quando le scuole hanno dovuto affrontare l’improvvisa chiusura per la pandemia di Covid-19, si può descrivere con l’espressione inglese building the plane as we fly it, ‘costruire l’aereo mentre lo pilotiamo’. Praticamente, nel giro di poche ore, le scuole hanno dovuto piegarsi ad una modalità di insegnamento completamente diversa.
Ma dopo non è mancato il tempo per ripensare la scuola, per preparare i piani per l’autunno, per progettare nuovi scenari e paesaggi di un possibile apprendimento ibrido, in presenza e a distanza, considerato il rischio di chiusure per possibili focolai.

Invece l’impressione che si ricava è che la preoccupazione prevalente, a partire dalle scelte del ministro dell’istruzione, sia stata quella di tornare a fare scuola come prima, con gli schemi e le procedure funzionali ai tempi normali.
Lo sviluppo di piani di apprendimento contingenti al coronavirus avrebbe richiesto un livello più elevato di creatività e collaborazione tra scuola, famiglie e territorio, e soprattutto un modo diverso di strutturare il lavoro. Ma questo non è mai stato all’ordine del giorno della ripresa scolastica autunnale.

Le organizzazioni, che devono sviluppare processi e approcci completamente diversi per affrontare nuove sfide o opportunità, si dotano di team completamente innovativi.
Quando la Toyota produsse la sua prima auto ibrida, non poté utilizzare l’organizzazione del lavoro e i team funzionali alle produzioni precedenti, perché l’ibrido richiedeva un’architettura di prodotto completamente diversa.

Così la nostra scuola, già prima del coronavirus, richiedeva un’architettura differente. Ora che l’ibrido è nuovamente alle porte, sarebbe più che necessario, non solo per far fronte alle incognite legate alla salute, ma per essere attrezzati verso le incognite del futuro.
Invece hanno chiamato il Commissario all’emergenza Arcuri, per collocare tutte le pedine al loro posto e garantire le regole del gioco di sempre. Oltre tre miliardi per una scuola senza lo straccio di un progetto, per mettere in moto una vecchia macchina ingolfata dal precariato e ormai senza destinazione.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it

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