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Il venire della parola come il travaglio di una grazia

«Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: la forza appartiene a Dio, tua Signore è la grazia» (Sal 62,12). Forza creatrice della parola, da un lato, e il suo manifestarsi e attuarsi come dono di grazia, dall’altro, sono una sola cosa in Dio. In lui corrispondono infatti il dire e il fare, l’inizio e il suo compimento. Grazia e fedeltà nell’amore sono un’unica parola giunta a noi per mezzo del Figlio direbbe Giovanni.

Per noi l’unica parola è udita come fossero due: grazia e travaglio, chiamata e sequela, così è per noi il venire di questa Parola come pure delle nostre stesse parole: gratuità di un dono e travaglio del loro venire alla luce.

 

In quell’unica parola, due

Ne udiamo una prima, che dice: «Effonde il mio cuore liete parole. La mia lingua è stilo di scriba veloce. Sulle tue labbra è diffusa la grazia» (Sal 44, 2).

La seconda incalza: «Sappiamo che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando».

L’attesa del venire delle cose, l’attesa laboriosa di poter dare inizio, di principiare qualcosa, l’attesa stessa della parola che principia ogni scrittura, è attesa materna di gestazione, attesa fiduciosa davanti alla pagina bianca: attesa dell’aurora. Si sta in un travaglio che è dono e in una grazia che è imprevedibile seppur sperata; insperata giungerà preso o tardi: se tarda attendila fiducioso.

È come il sentire due note: una grave l’altra dolce. Due trombe, direbbe Agostino, che suonano in modo diverso, ma è un unico spirito che vi soffia dentro l’aria. Due parole: la grazia, della parola che verrà alla luce e il travaglio della lettura prima e della scrittura a seguire. L’attesa del venire delle cose come della parola è attesa del mutamento, di quell’ora che non si conosce ma che porta la gioia del nuovo.

È l’ora della grazia, del suo sorprenderti, direbbe Mazzolari: «Ci sono le ore di Dio: saperle attendere, vuol dire disporre i nostri cuori alla sua grazia. Il silenzio e la preghiera preparano le sue strade. Il soffrire non conta: conta il credere, lo sperare l’amare» (Pensieri dalle lettere, 173).

Le parole e le cose del mattino, quando accadono, sono intuite ma inesprimibili. Si potrebbero chiamare stato di grazia, qualcosa che giunge a te da altrove, come l’estro del poeta; qualcosa dentro te di incontenibile che preme.

L’etimologia della parola “estro” suggerisce qualcosa che ti punge, ti gonfia, ma persino che t’incinta e che spinge e trapassa come l’impeto al rompersi delle acque, quando viene alla luce una nuova vita, come l’oscuro e travagliato grembo della notte che non può più trattenere l’irresistibile venire dell’aurora.

La parola, come la vita, perché nasca e viva nella scrittura, necessita tempo, occorre inseguirne le tracce come un bracconiere; se sei ancora cieco di fronte al miracolo della parola nascente, devi continuare a cercarne le orme, come a tentoni nel divenire delle cose quotidiane, nelle relazioni non disattese né schivate, e all’improvviso, quando meno te l’aspetti, la scorgerai venirti incontro e ti metterai al suo sevizio come una levatrice prima e una nutrice poi, con la scrittura farai conoscere pure a lei un mondo nuovo.

 

“O homem cordial”

Può sembrare una banalità questo detto, ma quando un brasiliano dice “o homem cordial” (Sérgio Buarque de Holanda [Qui]) dice una cosa profondissima. La semplicità del comportamento, la capacità di accogliere, l’ospitalità, la generosità che dà tutto, e queste sono tutte virtù dei poveri in tutti i continenti.

Così desidero introdurre i testi poetici di Enzo Demarchi più di un amico fraterno, un vero fratello. Anche lui homem cordial, perché divenuto uomo della Parola di Dio nelle parole e nelle cose degli uomini, incarnata nei loro vissuti e storie.

Parola che sola «conosce tutta la gioia e tutto il dolore del Mondo, in attesa di una “Gloria” senza misura… Tutto è Voce Tua, Tuo Gesto, Tua Avventura. Il Mondo intiero è la continua Novità di Te nell’umiltà del tempo presente, in attesa della Gloria che sta per scoppiare. Tu mi dai una gioia sconfinata che vuole superare ogni argine del mio povero cuore; ma mi dai un dolore sconfinato, perché tutti e tutto essendo del Cristo, e vivendo Lui in me, ogni sofferenza dell’Uomo, ogni sofferenza della Terra è mia!».

Se le cose stanno così allora più delle mie le sue parole sapranno dire come da una parola se ne odano due, al pari della parola rivolta a noi da Dio sentita come travaglio e grazia.

 

L’inseguimento

Inseguimento, d’una parola che non c’è –
Attesa spasimante, assoluta – d’un eco, nel deserto –
E poi … un grido informe – mi fa soffrire:
la carne si scopre ai flagelli.
Che dolore per dire una parola! – Ricerca, affanno,
turbine – Vano protendersi, implorare, rincorrere –
Come un amante disperato – cerco parole nel buio dell’anima –
come nel crepuscolo mattinale, – dita misteriose
traggono miracolosamente – dal caos della notte – cose nuove.

Un volto d’uomo

Volto dell’uomo! – Fermati, apriti – Linee viventi,
segni dell’abisso! – Schiudete torrenti di comunione; – non
trattenete l’ondeggiare – che già vi preme, vi tende – come dighe
elastiche – Volto dell’uomo! – I tuoi occhi errano a volte, –
come naufraghi nell’oceano – A volte corrono per mano – come
fidanzati allegri. – O s’arrestano come bambini –
stupefatti da nuovi misteri.-

Momento di grazia: l’accorgersi dell’altro

Nei momenti di grazia, m’accorgo di come sono
cieco di fronte al miracolo della vita.
Ecco un uomo che lavora e si ricorda del
Lavoro di Dio nella sua creazione.
Ecco un uomo che progetta nella mente e
fatica col corpo e ringrazia il Verbo
che s’è fatto carne.
Ecco un uomo che ha sbagliato, ed ha
conservato il cuore buono, pieno di fiducia.
Ecco un uomo che sa chi è Dio, un uomo che crede
e si confessa umile e semplice come un bambino

Cose del mattino

O cose del mattino, io voglio stare con voi
e partecipare al vostro canto di lode.
Instancabili voi siete a risorgere
e il vostro aspetto è sempre antico e sempre nuovo.
Io passo come un pellegrino pieno di desiderio
che ha smarrito la via.
E voi continuate ad essere della terra
mentre già vi bagnate d’eterno.
Grande è il vostro mistero, cose del mattino!
Una mano invisibile, una grazia silenziosa
vi ha modellate nella notte
ed ora state commosse a ringraziare
quel lungo amore notturno
quell’abbraccio possente e tenero
che vi lascia per tutto il giorno
con incantato sguardo di sogno.
O cose del mattino,
dite al mio cuore la dolce avventura
la celeste origine, sussuratemi il vostro nome.
Una casa che luccica al sole – sotto la tenda azzurra
del cielo – è un miracolo grande – per la mia anima –
C’è un dono in quella casa immobile – nel cielo tranquillo –
c’è un dono che mani invisibili – offrono con infinito –
delicato pudore.- Perché quella casa – sgorga dai puri
abissi – della creazione – senza motivo. Così, per me!

La sua aspirazione: la Parola nella profondità del reale

«Ho questa ambizione: – diventare un uomo di poche parole, anche di più nessuna parola, se è necessario, perché tutta la mia vita appartenga alla Parola, ed io sia sempre, limpidamente, tranquillamente, profondamente l’espressione di chi vive in me (vorrei persino dare un consiglio a tutti i… predicatori: di non preparare più parole, ma di verificare la “profondità reale” della parola).– riconquistare lo sguardo dei fanciulli sulla creazione.
O Signore! Che io viva sempre di quegli istanti. Strani, pieni di dolore, ma segnati del Tuo Sigillo, della Tua Presenza! (Che è grazia)».

L’ora della grazia

Perché chiamar sentieri
Le scie del destino?
Chiunque cammini, avanza
Come Gesù, sul mare.
Amo Gesù, che ha detto:
Passeran cielo e terra, resterà la mia parola”.
Qual fu tale parola?
Amor? Perdono? Carità?
No: quella parola fu,
Quella parola: “Vegliate!
Poiché non conoscete l’ora
In cui vi si dovrà destare;
Ben vigili dormir dovete:
Vegliate dunque!”.

(Antonio Machado [Qui])
(I testi dal Quaderno XI, 1960, presso il Cedoc SFR)

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

 

 

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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