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Assemblea Permanente ad Architettura Unife per Gaza: un presidio di democrazia

ASSEMBLEA PERMANENTE AD ARCHITETTURA PER GAZA E PER UNO SPAZIO DI CONFRONTO POLITICO NELL’UNIVERSITÀ DI FERRARA

Giovedì 9 ottobre al Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara un gruppo di studentesse e studenti hanno avviato una assemblea permanente che, nel suo primo incontro, ha affrontato il tema di Gaza con lo scopo, come è stato più volte ribadito, di avere dentro l’università uno spazio stabile di confronto politico, necessario capire meglio le “bizzarrie” di questo mondo.

Uno spazio di riflessione critica che trasformi studenti, professori, cittadini in una comunità nella quale ci si confronta in maniera non occasionale, una sorta di laboratorio permanente del pensiero critico.

Parto da questo punto ponendomi una domanda: è lecito parlare di quanto sta capitando a Gaza in un’aula universitaria, in una assemblea permanente promossa dagli studenti?
È certamente lecito e doveroso perché in un momento storico così drammaticamente segnato da conflitti e mutazioni climatiche il parlarne, al di fuori delle lezioni, non è solo un diritto ma un dovere culturale, come ci ha rammentato Massimo Cacciari.
Da tempo diciamo e ci lamentiamo, che le università tendono sempre più a diventare dei luoghi di apprendimento a-critico, di trasmissione di conoscenze finalizzate al rafforzamento di competenze che non inducono lo studente alla costruzione di domande ragionate sul nostro futuro ma ad immagazzinare le risposte che i docenti trasmettono. L’università è qualcosa di più, è un luogo di libero confronto delle idee; quindi è necessario andare oltre i programmi di insegnamento.

L’assemblea studentesca permanente, Dipartimento di Architettura di Unife


L’università deve favorire questo processo di riflessione critica “dal basso”, mettendo a disposizione i propri spazi.

In questo sta il senso della iniziativa promossa su Gaza: capire il perché di questa situazione e come questa si colloca nella costruzione di un futuro che, nell’immaginario di una giovane o un giovane, dovrebbe tendere verso la riaffermazione della pace, della autodeterminazione di un popolo nel costruire il proprio futuro, verso l’affermazione di principi di solidarietà e comunità, al di là delle appartenenze politiche, religiose, etniche.

Quello che non sta capitando con i conflitti in corso. Nei dibattiti della giornata si è parlato: di colonizzazione occidentale; di differenze e contatti tra le culture semitiche; di come l’antisemitismo stia sempre più diventando un arma per impedire il confronto critico sulla situazione della Palestina e di come si usi questa categoria per incolpare chi in realtà è critico verso le politiche dello Stato di Israele, quindi identificando provocatoriamente l’antisemitismo con l’attacco all’ebraismo; del rifiuto di molti politici o giornalisti di usare la parola “genocidio”, a proposito di Gaza.

Essendo in una scuola di architettura si è parlato anche dei piani per la ricostruzione di Gaza, di un territorio che secondo il piano Trump/Blair non sarà più un luogo ricco di storia e tradizioni ma uno spazio logistico tra Mediterraneo, Israele, Arabia Saudita, Egitto e Emirati Arabi Uniti nel quale non ci saranno più cittadini ma ricchi stakeholder, che vivono in architetture visionarie come quelle costruite a Dubai, Riyadh, Abu Dhabi, dove le società finanziare e immobiliari occidentali e saudite la faranno da padrone, attirando frotte di archistar interessate più a loro egocentrismo creativo che non al problema dei diritti di una popolazione che verrà privata del proprio territorio.

Ora che è stato svelato il piano per la striscia di Gaza (in realtà già mostrato tempo fa dal governo israeliano) vediamo che la sua trasformazione in una riviera turistica del Medio Oriente trasformerà Gaza City in una eco smart city che potrebbe portarci a pensare che ciò che noi ci ostiniamo a chiamare genocidio in realtà è una “bonifica ambientale” necessaria togliere ed eliminare tutto ciò che è sporco, inquinato, contaminato; per rigenerare un territorio ed inserirlo in uno dei “distretti” geografici dell’innovazione finanziaria e immobiliare, quale sta diventando il territorio compreso tra il Mediterraneo orientale e il Golfo Persico, dove il modello economico neoliberista si intreccia con l’autoritarismo e la negazione dei diritti umani.

L’accordo siglato a Sharm el-Sheikh non è un accordo di pace ma una tregua, un cessate il fuoco, la pace è qualcosa di più complesso mentre la guerra la si può continuare anche senza armi, deprivando un popolo della propria terra, alimentando un filantropismo ipocrita che risponde ai bisogni impedendo che questi divengano diritti.
Di questo studenti, professori, cittadini hanno parlato in questa assemblea permanente che nel suolo piccolo costituisce un presidio di democrazia, una di quelle “zone di ordine” di cui parla Italo Calvino, necessarie per contrastare l’entropia dilagante, insomma uno spazio di resilienza in un mondo sempre più autoritario.

In copertina: un momento dell’assemblea permanente che ha coinvolto studenti e docenti del dipartimento di Architettura di Unife

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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