PARIGI, AGNES E I MIEI PENSIERI
Quando penso a Parigi, Agnes Vardà si intromette sempre nei miei pensieri e lo fa di solito con il documentario Daguerréotypes e con il film capolavoro Clèo de 5 a 7 (Clèo dalle 5 alle 7).
Nel 1976, la città che vive in Rue Daguerre, a Montparnasse, non riproduce gli stereotipi che oggi la rendono famosa. Viene rappresentata la città della quotidianità, animata da persone sconosciute, che associa la città reale alle persone che la abitano e tra di loro vi è anche Agnes.
È la strada con le sue animazioni e i suoi abitanti che scrive la sceneggiatura, commenta la nonna della Nouvelle Vague. Una piccola strada commerciale, come ancora se ne trovano a Parigi, anche se meno popolari e più gentrificate, piena di botteghe, artigiani, ambulanti e laboratori.
Tutti si conoscono, molti sono arrivati dalle campagne francesi e non solo. Siamo ancora negli anni dei Trentes Glorieuses, e fin dal 1958 la deambulazione per le strade parigine, alla ricerca di sensazioni che consentano di sfuggire ai propri tormenti esistenziali, è una delle cifre stilistiche del cinema della Nouvelle Vague. Forse non casualmente siamo nella Rue Daguerre, uno degli inventori della fotografia e, con la trasposizione filmica di quella strada, Agnes dà movimento alla fotografia.
Anche Cleo cammina angosciata per le strade parigine. Non sa che ne sarà della sua vita. Alle sette della sera saprà se un cancro l’ha già posseduta e ha due ore di attesa, ricorre anche a una cartomante che aumenta la sua inquietudine.
Siamo nel 1961 e la strada offre il solito repertorio di personaggi urbani, consueti e grotteschi. Un caffè, con il suo gioco di specchi, trasmette immagini reali e illusorie allo stesso tempo e concorre allo sviluppo dei dialoghi, che si sovrappongono, e alle interazioni con persone che si inquietano per la sorte della protagonista.
Dopo una serie di momenti personali dove incontra alcune persone della sua quotidianità, mettendo in evidenza il rapporto problematico con gli uomini della sua vita, scende in strada, percorre la città a piedi e in auto. In un taxi, condotto da una donna, le notizie, drammatiche, diffuse dalla radio sono reali, parlano della guerra di Algeria e di cronaca, e quindi la finzione si trasforma in cinéma-vérité.
Una verità che si interroga anche sulla condizione di lavoro di una donna taxista: di notte, nel rapporto con i colleghi maschi, e in varie altre sfumature che si colgono nei loro dialoghi. Il giro con l’amica sulla decappottabile mostra il dinamismo della strada, del traffico, dell’umanità varia che staziona o si muove nei boulevards e il film diventa documentario di lei e della città, anzi di Montparnasse, del Dôme e del parco di Montsouris.
Muovendosi nella città la paura del referto trasforma il suo sguardo: da passivo diventa curioso, quindi attivo, attraversa le cose e le persone viste. Conversa con un soldato sconosciuto in partenza per l’Algeria in guerra, un dialogo franco e disilluso, lo scenario della morte li accomuna, li rende solidali.
La città, con i suoi innumerevoli riflessi sulle vetrine, le stranezze delle persone che abitano la strada, il flusso della folla che spettacolarizza la scena urbana, assume il ruolo di coprotagonista di un racconto che non è solo un dramma esistenziale ma anche una presa di coscienza che sostituisce alla paura la felicità, come recita l’ultima indimenticabile battuta.
Cover: Agnes Vardà (Ixelles, 30 maggio 1928 – Parigi, 29 marzo 2019), “la prima regista femminista”
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Romeo Farinella
Commenti (1)
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Molto interessante