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Vite di carta. Ariosto e Fenoglio: quando l’Amore è tutto

Continua a essere molto gettonato, un libro di rara qualità che personalmente ho inflitto come lettura scolastica a orde di studenti e che anche ora ritrovo nella lista dei consigli di lettura di altre scuole: Una questione privata di Beppe Fenoglio, scritto nel 1947 ma uscito postumo nel 1963.

Mi sono chiesta come mai vada per la maggiore una vicenda ambientata nel freddo e umido novembre delle Langhe, per di più nel 1944, nel pieno della guerra partigiana. Saranno forse le note ragioni didattiche, per le quali questo libro fa conoscere una breve ma importante stagione della narrativa del nostro Novecento, quella del Neorealismo, che dal 1945 al 1955 ha fatto conoscere anche all’estero la qualità del nostro cinema, oltre che della produzione letteraria. Sarà che è un libro intenso, scritto con uno stile essenziale e preciso e sorretto da una forte volontà di racconto e di condivisione delle tragiche esperienze della guerra. Sarà.

Tuttavia, proprio io che l’ho condiviso con tante classi del mio liceo, sia biennali che del triennio, vedendolo assegnato da altri colleghi che non conosco ho bisogno di ripensare alle ragioni della sua validità.
Seguo il suggerimento di Calvino e collego tra loro Fenoglio e Ariosto, come centinaia di studenti guidati da me hanno fatto durante il quarto anno, e trovo la principale ragione di tanta persistenza. E’ l’amore totale che Milton prova per Fulvia a tenere vivo questo romanzo, come nel romanzo di Orlando l’amore per Angelica diventa esiziale; non basta la terra a contenerne la forza deflagrante e allora il senno perduto dal paladino finisce sulla superficie della Luna.

L’amore totale l’abbiamo provato tutti, credo. Quello che scardina i nostri equilibri, che non lascia vedere altro, che ci assorbe in noi stessi, facendoci esplodere e implodere senza fine.
Milton non fa eccezione. E’ innamorato di Fulvia da quando si incontrano nella villa di lei sulle colline intorno ad Alba; la guerra infuria e Fulvia è sfollata lontano da Torino, solo una governante le fa compagnia e la controlla. Il triangolo amoroso si completa con la figura di Giorgio, uno studente amico di Milton, che come lui frequenta la villa e corteggia Fulvia.

La vicenda è delle più classiche, giocata com’è nelle relazioni reciproche tra Lui, Lei e l’Altro. Solo che le variabili narrative di questo romanzo hanno qualcosa di imprevisto e di implicito che attira il lettore nella rete del testo: fino alla fine non sappiamo chi è Lui e chi l’Altro, non riusciamo a leggere nell’animo di Fulvia, in quanto è solo evocata dal punto di vista di Milton e non compare mai direttamente nel testo.

All’inizio del racconto Milton si attarda alla villa di Fulvia durante una perlustrazione da partigiano, ha un breve dialogo con la custode rimasta a vivere lì anche dopo che la ragazza è rientrata a Torino. Da lei viene a sapere che Giorgio e Fulvia si sono spesso appartati, nei giorni in cui Milton era già partito per la guerra. Hanno avuto una storia? La custode lo suppone, Milton ne è annientato.

La sua questione privata diviene prioritaria, anche se la guerra  infuria intorno a lui e lui è rispettato e stimato dai compagni perché è uno studente colto, ma soprattutto per la sua razionalità, per il sangue freddo con cui pianifica e agisce da partigiano “tutto d’un pezzo”. “Fulvia, a momenti mi ammazzi!”, pensa verso la fine del libro, quando la verità che come un paladino errante va cercando da quattro giorni sembra non venire alla luce.

Può rimanere ucciso dalla guerra, oppure dalla verità su lei e Giorgio. Da quattro giorni cerca il suo amico, ma Giorgio è stato catturato da un gruppo di fascisti in ricognizione e bisogna liberarlo per potergli parlare e sapere da lui. Bisogna catturare un fascista e chiedere lo scambio prima che Giorgio sia ucciso. I

l tempo si dilata enormemente in questa difficile ricerca; le quattro giornate di cammino sotto la pioggia, nel freddo di novembre, con poco cibo e poco sonno costituiscono un tempo soggettivo dilatato e doloroso. Milton ha il pensiero fisso su Fulvia, rivive in molti flash back gli incontri con lei, la sua tirannia capricciosa di adolescente, la sua bellezza tanto più in sintonia con la bellezza di Giorgio che con la sua figura allampanata e con i suoi abiti poveri di studente squattrinato. Eppure Fulvia voleva la sua compagnia, gli chiedeva traduzioni di canzoni e poesie dall’inglese, accettava i suoi sguardi sognanti su di lei. Lo prediligeva ambiguamente.

Milton deve sapere la verità, deve cercare Giorgio e chiedergli di lui e di Fulvia. Chiede un permesso di poche ore, ma come dicevo il bersaglio si allontana da lui e il tempo della ricerca si dilata fino a occupare quattro lunghi giorni, in un incessante processo di peggioramento.
Alla fine? Nelle ultime pagine del libro, che resta incompiuto al verbo “crollò”, Milton è ritornato al punto di partenza. Una serie di imprevisti gli hanno impedito di ritrovare l’amico: non resta che parlare di nuovo con la custode della villa e cercare di sapere da lei qualcosa di più.

Il triangolo amoroso non assegna le parti: non sappiamo se Fulvia sia stata legata a Giorgio da un rapporto amoroso, ma neppure sappiamo se abbia amato Milton. Né ha portato i suoi frutti il viaggio faticoso nel fango delle Langhe sferzate dalla pioggia, poiché la circolarità del percorso sembra riportare la lancetta del racconto nella posizione iniziale.

Non sappiamo per certo se l’atto finale di crollare significhi che Milton muore mentre è inseguito dal drappello di fascisti, in cui si è imbattuto poco prima. Nella fuga precipitosa a cui si è dato ha risposto all’istinto di conservazione, correndo in bilico tra la vita e la morte, correndo a perdifiato “col cuore che bussava, ma dall’esterno verso l’interno, come se smaniasse di riconquistare la sua sede”.

Dice Calvino che nel furore prima della camminata di Milton verso la villa e ora del suo zigzagare si ritrova uno dei cavallereschi inseguimenti che tanto hanno segnato la nostra tradizione epica rinascimentale. Quella di cui è campione Orlando, così come ce lo hanno modellato le penne di Boiardo e poi di Ariosto.
Un giovane uomo ama totalmente la sua Fulvia e per lei abbandona la guerra; un ardente paladino lascia di notte il campo cristiano, lascia il proprio re per andare in cerca della sua Angelica. Se non è furioso questo tipo di amore…

C’è una donna che ha amato così il proprio uomo, una regina che a lui ha dato ospitalità e poi se ne è ardentemente innamorata. Parlo di Didone, la regina di Cartagine, presso la quale Enea si trattiene a lungo, interrompendo il suo viaggio fatale verso le coste del Lazio.

Il libro quarto dellEneide celebra questa passione totale e tragica di Didone e contempla la morte che ella si dà,  mentre la nave di Enea ancora si vede in lontananza. Anche Virgilio chiama furor il sentimento d’amore della donna; anche in questa vicenda è ravvisabile il triangolo amoroso, anche se il terzo vertice non è occupato da un altro uomo o da un’altra donna, bensì dal fato a cui Enea deve rispondere e ripartire per dare compimento alla propria missione.

Guerra, amore, destino. Se i temi del nostro romanzo sono questi e vengono da così lontano mi torna chiaro nella mente uno dei  motivi fondamentali della scelta, mia e di tanti colleghi. Gli adolescenti sanno ricevere la profondità dei sentimenti che Milton esprime, riescono facilmente a metterli in comune con i propri, forse riescono anche a chiarirseli, o a misurarne la portata.
Milton è un personaggio di carta, ma quanta verità è in grado di apportare ai lettori, ai ragazzi, nel dialogo con se stessi.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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