MANI CHE SBUCCIANO LE CIPOLLE
Mani che sbucciano le cipolle
“Con le mani sbucci/Le cipolle/Me le sento addosso/Sulla pelle
E accarezzi il gatto/Con le mani/Con le mani tu puoi/Dire di sì
Far provare nuove sensazioni/Farti trasportare dalle emozioni
È un incontro di mani/Questo amore/Con le mani se vuoi/Puoi dirmi di sì […]”
Così inizia la canzone Con le mani di Zucchero e Gino Paoli pubblicata nel 1987 nell’album Blue’s. La canzone racconta di come le mani possono esprimere amore, sensazioni ed emozioni. Tutto avviene attraverso le mani. Forse perché non si può (o non si vuole) parlare, ma solo sentire. Sbucciare cipolle è uno dei gesti più comuni che provoca lacrime involontarie. Anche se il movimento è consueto, la reazione è forte “Me le sento addosso/sulla pelle” e suggerisce un’emozione profonda.
Ciò che colpisce di questa canzone è la fisicità che riesce a esprimere. La persona che sbuccia le cipolle è presente in modo tangibile. Non solo la si vede, la si sente addosso anche quando non c’è. È una presenza che lascia impronte tattili e sensoriali.
Si evocano mani forti, che sanno fare, che lavorano, che toccano davvero. Mani che non accarezzano soltanto, ma che agiscono, fanno qualcosa che resta sul corpo dell’altro. Dopo aver sbucciato le cipolle, l’odore resta sulle mani, sulla pelle. È una metafora potente di qualcosa che rimane addosso, come un ricordo, un legame, una ferita che non se ne va.
Le mani che sbucciano sono lente, precise, testimoniano movimenti pieni di abitudine e cura. Le dita afferrano la cipolla con fermezza, il pollice spinge contro la buccia secca e rumorosa, sollevandola a strappi piccoli, ma decisi. Ogni gesto è accompagnato da un leggero scricchiolio, mentre la buccia esterna si sfoglia come carta secca.
Può esserci molta grazia anche nella fatica. Le mani si muovono con un ritmo che sembra antico, quasi rituale. C’è una lacrima che spunta per malinconia e per la pungente verità che le cipolle sanno tirar fuori. C’è sempre poesia in un gesto lento e cadenzato, ma bisogna saperla cogliere e vivificare.
Il tramite delle mani è sicuramente efficace. Sono un medium simbolico importante e uno strumento di una potenza sorprendente. Le loro articolazioni permettono gesti complessi e precisi e il loro spostarsi armonioso evoca la bellezza del movimento e la complessità della situazione. La fisicità delle mani è uno dei simboli più potenti e poetici dell’esperienza umana. Le mani sono strumenti ma anche ponti tra l’interno e l’esterno, tra il pensiero e l’azione, tra noi e gli altri. Quando si parla della poesia espressa dalle mani, si tocca un linguaggio silenzioso ma eloquente, capace di narrare senza parole.
Diversi sociologi e studiosi si sono occupati del tema delle mani, specialmente in riferimento alla comunicazione non verbale, all’espressione delle emozioni, al carattere e al loro significato culturale. Figure come l’antropologo e sociologo statunitense Edward T. Hall, noto per i suoi studi sulla prossemica e le culture dello spazio, hanno analizzato come la gestualità e l’uso delle mani siano diverse nelle varie culture, rivelando importanti aspetti sociali.
La gestualità è considerata un elemento fondamentale del linguaggio non verbale, capace di arricchire o persino contraddire il messaggio verbale. Gesti inconsci possono rivelare pensieri e sentimenti nascosti. Le mani sono anche uno strumento per esprimere il nostro temperamento, la nostra grazia, aggressività, o tensione interiore. In molte culture, le mani sono considerate un “biglietto da visita” per il mondo, rappresentano aspetti della persona che possono influenzare le percezioni e le interazioni sociali. L’uso e il significato dei gesti delle mani possono variare significativamente da una cultura all’altra, riflettendo norme e modi di pensare anche molto diversi.
In psicanalisi e nell’arte le mani sono spesso viste come prolungamento dell’inconscio, toccano ciò che le parole non sanno dire. Ad esempio, Donald Winnicott ha affrontato il tema del “tocco” nelle relazioni precoci. Nei primi legami madre-bambino il movimento delle mani è fondamentale. Le mani della madre (o della figura di accudimento) sono spesso il primo veicolo di cura, contenimento e protezione.
Le mani che tengono, lavano, nutrono e accarezzano, sono manifestazioni del cosiddetto “holding”, ovvero del contenimento fisico ed emotivo che permetto al bambino di sviluppare un senso di sicurezza. Marion Anderson, psicologa Junghiana, parla esplicitamente di “hands” in psicoterapia, cioè delle mani come strumenti per manifestare l’inconscio, tramite attività non verbali (argilla, sabbia, pittura).
Questi organi flessuosi diventano mezzi attraverso cui emerge l’immagine interna, quell’ “immagine interiore” che la parola da sola non coglie. Il concetto junghiano che “spesso le mani possono risolvere un enigma con cui l’intelletto ha lottato invano” (come cita Anderson rifacendosi a Jung) sottolinea proprio la capacità delle mani di portare alla luce aspetti psichici che la mente cosciente non riesce a formulare.
Le mani sono profondamente legate all’identità. Le impronte digitali sono uniche, nessun’altra parte del corpo dice tanto della nostra singolarità biologica. Le mani fanno il mondo: costruiscono, plasmano, scrivono, distruggono. Sono anche segnate dal tempo, invecchiano, si deformano, portano i segni del lavoro o della malattia, raccontano una storia personale e sociale legata al momento in cui si sono mosse come eleganti ragni, disegnando ghirigori aerei nel bel mezzo di relazioni forse occasionali e spesso importanti.
Le mani sono il primo contatto con il mondo. Toccano, cercano e afferrano. Sbucciano le cipolle. Si aprono alla vita e sanno trattenerla. Nel loro movimento c’è un sapere muto, antico, che non ha bisogno di parole, le mani capiscono prima della mente. Ricordano il corpo della madre, il calore del primo tocco, la promessa silenziosa di essere accolti.
Sono confini sensibili dell’anima, estensioni del pensiero e del cuore. Con le mani si crea, si scrive, si distrugge. Con le mani si ama, si nutre, ci si difende. Ogni piega del palmo, ogni cicatrice, ogni tremore contiene un racconto. Anche nel gesto più piccolo come una carezza, una stretta, un pugno chiuso, passa la densità di una vita intera. Sono corpo che sente e corpo che fa. Sono presenza, confine, ferita e cura. Quando le parole non bastano, le mani parlano. E spesso dicono la verità.
Quando penso alle mani, vedo sempre mia madre che cucina, taglia, affetta, pela, sbuccia le cipolle. Essendo la presidente di una fondazione che gestisce servizi per l’infanzia, vedo le mani delle maestre della nostra scuola che tagliano e incollano carta, feltro, legnetti, conchiglie. Mani che piegano felpe e cappotti, che mettono grembiuli ed estraggono velocemente dalle tasche fazzoletti di carta, che sanno mettere una bavaglia con due dita, mentre con le rimanenti indicano a qualcuno di mettersi seduto che arriva la pastasciutta.
Le mani piccole dei bambini, senza segni d’età e con le dita corte, ma piene di vita e di attesa. Mani protese verso il tempo che verrà, verso tutto ciò che si potrà vedere e capire, verso la necessità fisica di protezione, nutrimento e calore, verso il bisogno d’amore che solo in parte una scuola piò colmare. Il resto è nel tempo che sarà. Adesso un po’ d’amore, più in là tantissimo di più, auguriamolo a tutti.
Vedo anche le mani delle insegnanti della scuola primaria, che è ubicata al piano superiore del nostro stesso edificio. Mani che scrivono alla lavagna, sui quaderni, sui registri, indicano posizioni da tenere e da evitare, accompagnano un complimento o un rimprovero, si uniscono per essere più convincenti o più incisive. D’inverno si strofinano per il freddo.
Le mani della cuoca della mensa che, come quelle di mia madre mescolano, tagliano, affettano, infornano, impiattano. Mani che forniscono cibo ai bambini e in questo loro fare quotidiano sono azione, concretezza e fisicità. Mani che lavorano e che invecchiano, che si arrossano che sono storia e ricordo, partenza e cammino.
Sono mani che testimoniano vita, che esprimono forza e rigore, che raccontano, che segnano, che parlano di noi. Sono testimoni di quello che facciamo tutti i giorni, cercando di insegnare alle nuove generazioni comportamenti curiosi, rispettosi ed etici. Se dovessimo scegliere delle mani tra tutte, penso che sceglieremmo quelle della maestra E. che è la nostra insegnante più giovane, e quella della “fu” contessa Fenaroli, il cui lascito ha permesso alla fondazione di nascere, moltissimi anni fa.
James Hilmann parla delle mani come “manifestazioni” del destino, come simboli del fato che si esprime attraverso la mano archetipica. Sono “fatti” del destino perché, attraverso il loro lavoro, realizzano la vocazione (il “codice dell’anima”) che è stata data a ogni individuo dal suo daimon. Il daimon è una forza che guida ogni persona verso un percorso unico e irripetibile, tale percorso si manifesta concretamente attraverso l’azione delle mani che portano a compimento questa vocazione. Hillman afferma che corpo e anima sono inseparabili.
Il corpo non è un contenitore dell’anima, ma una sua espressione. In questa visione le mani non sono semplici strumenti fisici, ma veicoli attraverso cui l’anima si manifesta. Nell’atto di creare, toccare, curare, distruggere o pregare, c’è una qualità psichica, simbolica e archetipica. E proprio questa convinzione di Hilmann chiude, a parer mio, il cerchio.
Le mani che sbucciano le cipolle sono nient’altro che un piccolo frammento della nostra anima, un incontro poetico tra un po’ d’azione e molto sentimento.
BIBLIOGRAFIA
- Edward T. Hall (1959), The Silent Language – DOUBLEDAY & COMPANY, INC., GARDEN CITY, NEW YORK
- Donald W. Winnicott (1996) I bambini e le loro madri – Raffaello Cortina Editore
- Mario Trevi (2020) Leggere Jung – Carocci editore
- James Hilmann (2009) Il codice dell’anima – Adelphi
SITOGRAFIA
Testo della canzone di Zucchero Fornaciari “Con le mani”: https://www.zucchero.it/testi/con-le-mani/
Cover: Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/planet_fox-4691618/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=7479211″>Alexander Fox | PlaNet Fox</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=7479211″>Pixabay</a>
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Bellissimo testo che ci parla delle mani di tutti noi, irripetibili per ciascuno e tali da renderci uguali agli altri. Mani che ci fanno esistere e ci mettono in comune, che portento!
Grazie
Credo sia una bella e convincente descrizione del mio lavoro di Psicoterapeuta Espressiva. Proprio per ciò che descrivi fare arte, osservare come si svolge il processo creativo è cura. Si, le mani raccontano. Grazie