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In futuro, quando penseremo a Gaza

In futuro, quando penseremo a Gaza:
Alessandro Baricco e Doris Lessing,
due visioni a confronto.

C’è un tempo in cui le parole si caricano di un peso che va oltre il loro significato. “Gaza” è una di quelle parole. Da oggi “Gaza” non è soltanto il nome di una striscia di terra, ma un simbolo, un nodo, un confine. Nell’articolo pubblicato su Substack Alessandro Baricco (Qui anche su periscopio:“Gaza e l’agonia del Novecento”) ha scritto che Gaza è diventata “la definizione di un limite”: il punto oltre il quale la nostra umanità si spezza, il luogo in cui la guerra smette di essere una notizia e diventa una domanda etica. “Gaza”, per Baricco, è il nome di un trauma collettivo che ci costringe a ridefinire cosa significhi essere umani.

Ma cosa penseranno di noi, le generazioni future, quando penseranno a Gaza?


È la stessa domanda che si poneva Doris Lessing nella prima delle sue cinque lezioni sulla libertà (Le Prigioni in cui scegliamo di vivere, Minimum fax, 1998) intitolata significativamente In futuro, quando penseranno a noi. Lessing non parlava di Gaza, ma della nostra epoca nel suo insieme: un’epoca che, pur avendo accesso a una conoscenza senza precedenti, continua a ripetere gli stessi errori, a cadere nelle stesse trappole, a cedere alle stesse pulsioni tribali. Per lei, la guerra non è un incidente della storia, ma una componente inestirpabile della natura umana.

Questo articolo nasce proprio dall’incontro – o forse dallo scontro – tra queste due visioni.
Da un lato, Baricco, che legge la guerra come un residuo del Novecento, destinato a diventare obsoleto come una macchina da scrivere. Dall’altro, Lessing, che ci mette in guardia contro l’illusione del progresso morale, ricordandoci che la violenza è inscritta nel nostro codice sociale e psicologico.
Due antropologie divergenti, due modi di pensare il futuro, due risposte alla stessa domanda: che cosa resterà di noi, quando penseranno a Gaza?

Nel 1985, in un ciclo di conferenze tenute per la BBC, Doris Lessing pronunciava parole che oggi suonano profetiche. La prima lezione, intitolata “In futuro, quando penseranno a noi”, si apriva proprio con una domanda storica e antropologica al tempo stesso: come verrà giudicata la nostra epoca da chi verrà dopo di noi?

La risposta che Lessing suggeriva era tutt’altro che consolatoria: le future generazioni non ci ricorderanno per i nostri progressi tecnologici o per le nostre dichiarazioni di pace, ma per la nostra incapacità di imparare dalla storia, per la nostra ostinazione a ripetere gli stessi errori, per la nostra cieca obbedienza ai meccanismi del potere e del gruppo.

Per Lessing, la guerra non è un accidente della storia, né un errore politico rimediabile. È una costante antropologica, una pulsione che affonda le radici nella struttura stessa della psiche umana. La sua analisi si muove tra psicologia sociale, storia e letteratura, e approda a una visione disillusa ma lucida: “Siamo creature sociali, e questo ci rende vulnerabili alla pressione del gruppo.” È proprio questa vulnerabilità che ci rende inclini alla violenza, alla polarizzazione, alla costruzione del nemico.

La guerra, in questa prospettiva, non è solo un evento esterno, ma un fenomeno interiore, una forma di regressione collettiva. Lessing osserva come, anche in società democratiche e istruite, si possa facilmente scivolare in dinamiche tribali, in cui il pensiero critico viene sospeso e l’individuo si dissolve nel gruppo. La propaganda, la retorica dell’identità, la paura dell’altro: sono tutti strumenti che attivano meccanismi profondi, ancestrali, che ci riportano a uno stato pre-razionale.

Non c’è, in Lessing, alcuna fiducia ingenua nel progresso. La conoscenza storica, per quanto accessibile, non basta. La cultura non immunizza. “La libertà, se non è accompagnata da una pratica quotidiana di consapevolezza, resta un’illusione”. Ecco perché la sua lezione è anche un appello: imparare a riconoscere le dinamiche del gruppo, a pensare con la propria testa, a coltivare una forma di resistenza interiore.

A differenza di tale visione …psico-sociale quella di Baricco, come anticipato, è più “evolutiva” interpretando la guerra come un’anomalia storica, un residuo di un secolo — il Novecento — che ne ha fatto uno strumento ordinario di governo e di narrazione.
La sua ipotesi è che la guerra, come la conosciamo, non appartenga più al nostro tempo. È un linguaggio che non ci rappresenta più, un codice che non sappiamo più leggere, un gesto che non ci somiglia. In questo senso, Gaza non è solo una tragedia, ma anche una rivelazione: ci mostra che non siamo più disposti ad accettare l’inaccettabile.

Nella visione di Baricco, la guerra non è connaturata all’essere umano, ma culturalmente superabile. È un dispositivo che ha avuto senso in un certo contesto storico, ma che oggi appare sempre più dissonante rispetto alla sensibilità contemporanea. Baricco non parla di un’utopia pacifista, ma di una trasformazione antropologica in atto, silenziosa ma profonda. La guerra, dice in filigrana, non è più “nostra”: non ci rappresenta, non ci riguarda, non ci serve.

Questa fiducia nel cambiamento non nasce da un’ingenuità, ma da un’osservazione attenta dei segni del tempo. Baricco coglie un mutamento nel modo in cui le persone reagiscono alle immagini, alle parole, ai racconti di guerra. C’è un senso di disadattamento etico, una crescente incapacità di accettare la violenza come normalità.
Gaza, in questo senso, è uno specchio: ci mostra chi siamo diventati, o chi stiamo cercando di diventare.

Se Lessing ci ammoniva sul rischio di ripetere la storia, Baricco ci invita a interromperla. Se per Lessing la guerra è un destino da cui difendersi con consapevolezza, per Baricco è un errore che possiamo smettere di commettere. Due visioni opposte, ma entrambe animate da una domanda radicale: che cosa significa, oggi, restare umani?

Come abbiamo visto le risposte che i due autori offrono non potrebbero essere più distanti, eppure entrambe nascono da un’urgenza etica, da un bisogno di interrogare il presente alla luce di un futuro possibile.

Quella della Lessing, è una visione tragica e disillusa, che non concede scorciatoie: la libertà è una conquista fragile, sempre minacciata dalla nostra tendenza a obbedire, a conformarci, a cercare sicurezza nel branco.

La visione di Baricco invece è evolutiva e fiduciosa, che vede nella sensibilità contemporanea i segni di un cambiamento profondo, forse irreversibile. La guerra non è più “nostra”: è un gesto che non ci somiglia, un errore che possiamo smettere di commettere.

Evidentemente attraverso queste analisi ci confrontiamo con due visioni opposte dell’umano: quella di Doris Lessing, che ci ammonisce sulla persistenza della guerra come tratto costitutivo della nostra specie, e quella di Alessandro Baricco, che intravede nella nostra crescente intolleranza verso la violenza il segno di una trasformazione in atto.

E Gaza come anche Kiev oggi sono domande che ci riguardano da vicino: che cosa resterà di noi, quando le generazioni future penseranno a Gaza a Kiev e a quegli altri luoghi dove oggi si stanno combattendo guerre più silenziose e invisibili?

Resterà la nostra capacità di dire “no”, come auspica Baricco, o la nostra incapacità di imparare, come teme Lessing? Resterà la memoria di un’epoca che ha saputo riconoscere il proprio limite, o l’ennesima testimonianza della nostra cecità collettiva?

In fondo, entrambe le visioni ci chiedono la stessa cosa: non smettere di pensare. Pensare contro il gruppo, come Lessing. Pensare oltre il trauma, come Baricco. Pensare Gaza non come una tragedia lontana, ma come una ferita che ci riguarda, che ci interroga, che ci definisce.

In questo senso raccontare, non solo ciò che sta accadendo ma anche a chi sta accadendo ( a noi tutti!) rappresenta una possibilità.
La possibilità che, un giorno, quando le generazioni future penseranno a Gaza, a Kiev e a noi tutti non ci giudicheranno completamente irresponsabili, indifferenti. Disumani.

Cover: From Gaza, by Jaber Badwen  – Wikimedia Commons 

Fonte ( www.cdscultura.com)
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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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