Vite di carta /
“L’imperatore della gioia” e Ocean Vuong
Tempo di lettura: 5 minuti
Vite di carta / L’imperatore della gioia e Ocean Vuong
Ho unito con la e titolo e autore del libro: L’imperatore della gioia, uscito in settembre, è infatti una entità separata da Ocean Vuong. Non è di Vuong, ma alla pari; vive in simbiosi con lui, ora. Ed è un libro potente, un ritratto dell’America di oggi scritto con la sensibilità di chi non ha vissuto il sogno americano e nemmeno lo vede oggi intorno a sé. Semmai ci legge e ci descrive gli universi difficili dei fragili, degli svantaggiati, quelli a cui può riuscire di rimanere in equilibrio e resistere alle logiche della sopraffazione.
L’ho portato a casa da Mantova (come ho scritto su questo giornale in Il Festivaletteratura di Mantova e la balena, 10 settembre 2025) e l’ho letto finalmente.
La storia di Hai, che ha solo vent’anni e una buona collezione di sconfitte sulle spalle, si incrocia con quella di Grazina, un’anziana vedova immigrata dalla Lituania che lo salva dal tentativo di buttarsi nel grande fiume e lo porta a casa con sé. Vivendo insieme per alcuni mesi, dal settembre 2009 alla primavera dell’anno dopo, i due sviluppano un legame così profondo che cambia le loro vite.
Si prendono cura l’uno dell’altro. Hai segue Grazina nel decorso della demenza senile da cui è affetta, le dà le medicine, la abbraccia e improvvisa con lei giochi di guerra per esorcizzare il trauma del secondo conflitto mondiale che l’ha segnata.
Grazina, dopo avere distolto Hai dal cercare la morte, lo sostiene e lo rende legittimo a se stesso: lavorando al fast food HomeMarket come cameriere Hai si ricostruisce una seconda possibilità di essere “una brava persona”, “la cosa più difficile di tutte”, dice lei. Soprattutto per chi, come loro, è venuto a vivere in America da posti così lontani, lei dal nord Europa e Hai dal Vietnam, con la madre e la nonna, più la sorella della madre e il piccolo Sony.
A proposito di Grazina, lo scorso settembre Vuong ha risposto a una domanda di Silvia Righi sul palco del Festival a Mantova: nei miei appunti trovo ciò che ha detto di lei. Per il personaggio di Grazina si è ispirato alla nonna di un amico che lo ha ospitato per un po’ mentre studiava all’università, si è ispirato ma senza eccedere nella emulazione, perché “la letteratura deve rispettare i confini etici quando si pone davanti alla vita delle persone, che è sacra”.
Dunque è così che affronta la scrittura un autore di questa levatura, è la sua zappa per fare domande profonde sul mondo, senza giudicare. È uno scavo dentro le cose al quale può assistere il lettore standogli alle spalle, in modo da vedere insieme a lui ciò che viene trovato. A questa ricerca del profondo risulta funzionale l’attitudine del testo a descrivere le persone e gli ambienti.
Vuong ha lavorato per tre anni in un fast food, è un ambiente di sfollati, dice, di sudore e sofferenza, di sogni ritardati. Ed è così che ci appare il locale dove Hai lavora, trovando nei colleghi un campionario umano che finisce per assomigliare a una famiglia. La descrizione è cinematografica: dal campo largo delle stanze la parola si abbassa a inquadrare dettagli affilati come schegge, perfino gli odori che emanano le cose, cibi e umori corporei.
È stato chiesto a Vuong se si senta più se stesso quando scrive poesia o prosa. Ha pubblicato, infatti, due raccolte poetiche e ha la docenza di poesia presso la New York University.
Non c’è una distinzione netta tra prosa e poesia, è stata la risposta, e in questo romanzo si avverte quanto lo scavo linguistico riesca a dare espressione al fondo, quanto le parole, come avviene nella poesia, siano spinte verso il margine dell’abisso.
Le strutture e il lessico sono in controtendenza rispetto allo stile asciutto di tanta narrativa contemporanea: Vuong avverte di avere riutilizzato gli strumenti linguistici del XIX secolo, di averli “lucidati”.
La sua è una scrittura con i merletti, come suggerisce il booktuber Matteo Fumagalli, nonché una una rete di fili che tende a superare la conflittualità dei rapporti tra le persone.
Una forma di resistenza al gap linguistico che tende a separarle, un mezzo per abbattere la incomunicabilità.
Ci sono passi pieni di lirismo, struggenti. E altre parti che spiazzano per la espressività con cui vengono descritte le situazioni: “Nel tardo pomeriggio del primo giorno d’inverno il fischio del treno diretto a Marlborough risuonò nella vita di qualcuno.
Lo si udì dal parcheggio dell’HomeMarket, l’asfalto cosparso di brina mentre le ultime auto ripartivano, le persone all’interno sazie di oli idrogenati e sale iodato dopo essere rimaste tutta la mattina sedute sulla panca di una chiesa, addormentandosi a tratti durante sermoni già sentiti centinaia di volte”.
Dopo la separazione forzata da Grazina, Hai vaga inebetito per la città, è tardo pomeriggio quando arriva in centro: “Tirò fuori il flacone delle pillole color arancio, ne ingollò l’ultima mezza manciata, poi le buttò in un vaso da fiori e proseguì. Gli parve di vedere delle lucciole che già lampeggiavano in un vicolo fra due case, e invidiò le loro risorse interiori”.
Siamo alla fine del romanzo, e Hai ha in testa un caleidoscopio di pensieri e di sentimenti. Nel fondo, sente di capire ogni cosa e di provare un senso del bene che assomiglia al perdono.
Lo invade un senso di leggerezza quando dona i suoi soldi al cugino Sony e va poi a rifugiarsi in un cassonetto dei rifiuti: “L’immondizia non era più solo immondizia – ma una dimostrazione. Dentro il cassonetto, era premuto da ogni lato dal progresso dell’umanità…Trovarsi sdraiato sulla spazzatura era la sensazione più vicina a essere senza peso che avesse mai provato…Era riuscito a buttarsi nell’immondizia, e quell’atto era così completo, così assoluto, da trasmettere una sensazione di pulizia. Lui era un contenitore pieno di contenitori contenuti dallo spazio – e in qualche modo questo lo saziava”.
È lui l’imperatore della gioia?
Nota bibliografica:
- Ocean Vuong, L’imperatore della gioia, Guanda, 2005, traduzione di Norman Gobetti
Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/
Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice
Lascia un commento