TABUCCHIANA 5. /
VIAGGIANDO CON LA LETTERATURA
TABUCCHIANA 5. VIAGGIANDO CON LA LETTERATURA
Le goût des îles grecques è il titolo di un piccolo libro pubblicato dal Mercure de France nella collana Le petit mercure. Immaginavo che nella micro-antologia letteraria di passi scelti per illustrare le Cicladi ne avrei trovati soltanto un piccolo numero in grado di intrigarmi davvero, ma il blu intenso del mare, il celeste del cielo, il bianco e l’azzurro delle case cubiche (un omaggio colorato alla propria bandiera) della copertina avevano ormai catturato il mio sguardo.
E così ho cominciato un viaggio a partire da Omero, Hölderlin, Nerval, Yourcenar… Ma in mente mi sono rimasti i versi dei Jeux du ciel et de l’eau di Ritsos (“Case bianche, tutte bianche, / piastrelle albicocca / persiane blu / cavalli color cannella nel cortile, / e i bianchi nel campo verde / i balconi dorati e il mare”) e soprattutto Cavafis, con la sua Itaca.
L’aveva tradotta in prosa, quella lirica, la grande Marguerite; e ora io indebitamente dal suo francese: “Quando partirai per Itaca augurati che il cammino sia lungo, ricco di imprevisti e esperienze. Non temere né Lestrigoni né Ciclopi, né la collera di Nettuno se non li hai dentro di te, se non è il tuo cuore a porteli davanti. Fai tuoi quanti più puoi di questi stordenti profumi […].
Fa in modo che Itaca ti sia continuamente presente. Il tuo obiettivo finale è arrivarci, ma non abbreviare il viaggio: è preferibile che duri anni e che tu arrivi infine alla tua isola nei giorni della vecchiaia, ricco di tutto quello che hai guadagnato lungo il percorso, senza attendere che fosse Itaca ad arricchirti.
Itaca ti ha regalato il bel viaggio. Senza di lei non ti saresti mai messo in cammino. Non ha ormai più niente da donarti. Anche se la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato. Saggio come sei diventato dopo tante esperienze, hai infine compreso cosa Itaca, le tante Itaca, vogliono dire”.
Già, appunto, capire cosa vogliono dire le esperienze della vita mentre si va verso una meta di maturità che non a tutti è dato raggiungere.
Quelle esperienze le aveva raccontate come fonte della sua scrittura uno autore italiano che amava la Grecia e che tra i suoi monti ha ambientato, oltre qualche racconto (compreso anche nell’ultimo libro: Il tempo invecchia in fretta), uno dei suoi romanzi più nuovi e difficili (Tristano muore).
Di Cavafis e delle sue Voci (tradotte in italiano da Margherita Dalmati e Nello Risi) si sarebbe ricordato infatti Antonio Tabucchi nello scegliere l’esergo per uno dei pezzi più belli e perturbanti della sua poetica: Un universo in una sillaba (inserito nella raccolta Autobiografie altrui). Accanto al Montale di Voce giunta con le folaghe, ad accompagnare la storia di un muto dialogo familiare, non a caso ad essere evocato era proprio il poeta greco che non solo in Itaca aveva sciolto nelle lacrime le esperienze, perfino la dolcezza della vita.
E così la Grecia delle îles grecques, per effetto di memoria involontaria (l’unica che salva il passato, se si segue Proust), mi ha ricondotto a un viaggio a Creta e all’attivazione di un “desiderio triangolare” (Proust docet sempre) che non era stato previsto in partenza. La vera Creta “è cominciata così”[1], con il ricordo di un pope in una povera trattoria in un pomeriggio di festa e con la saudade per Chaniá (la veneziana Canea) proprio mentre l’avevo davanti a me, sia pure velata dalla pioggia.

Allora non era più soltanto la città vecchia con le sue strade strette, i piccoli ristoranti e il porto, o l’altura soprelevata con la tomba di Venizélos (ancora venerato per l’unione alla Grecia dell’isola) che dovevo vedere, ma un piccolo albergo sul lungomare di cui parla Antonio Tabucchi nelle sue pagine di viaggi.
L’hotel Doma (al 124 Venizelos St.) è diventato una tappa necessaria, da aggiungere, per effetto di sinestetici translati, alle rocce e grotte disperse per le montagne, ai siti minoici, agli affreschi bizantini, all’arte cicladica, al colore cangiante del mare, agli incredibili aromi delle erbe, ai mulini a vento, agli ulivi giganteschi e vecchissimi, al colore delle margherite e dei papaveri, alla bontà dei cibi, alla gentilezza e cordialità ovunque rivolta dai locali verso chi viene da fuori.
Un edificio che era stato consolato della monarchia austro-ungarica, un luogo da cui nel 1897-1898 era partita una missione di pace (quella pace di cui oggi avremmo tanto bisogno), si è trovato insomma per forza di letteratura e suggestioni connesse sul mio cammino, insieme alla Zorbas beach, ai canti greci, alla casa di El Greco, ai luoghi della resistenza…
In breve, sullo sfondo della Grecia che vedevo, cominciava a scorrere anche quella di un’altra biografia, e quella ritornante nel delirio di Tristano, insieme ai suoi ricordi, ai rimorsi.
Note:
[1] Il sintagma si trova proprio all’inizio del pezzo che Antonio Tabucchi dedica alla sua passione per l’isola e alle amiche dell’Hotel Duma di : Antonio Tabucchi, Dieci anni a Creta, in Id., Viaggi e altri viaggi, a cura di paolo Di Paolo, Milano, Feltrinelli, 2010.
Immagini nel testo e copertina: © Anna Dolfi, 2025
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