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Stefano Benni, la fantasia al potere

Perchè Stefano Benni ci mancherà

Quando muore uno scrittore, un intellettuale, un imprenditore, un uomo di scienza, la frase è sempre la stessa, lo stesso ritornello: “Ci mancherà”. Naturalmente non è così, sono davvero pochi quelli che hanno tracciato un solco, battuto nuove vie, inventato un nuovo mondo. Stefano Benni è uno di quei pochi.

Il panorama  dell’ultimo mezzo secolo della letteratura italiana, e del romanzo in particolare, assomiglia a una tranquilla pianura padana, una strada senza scarti, deviazioni, invenzioni. Dopo il grande Italo Calvino abbiamo letto tanti bravi autori ed autrici (i migliori  Daniele Del Giudice ed Elena Ferrante), ma senza avere mai l’impressione di trovarci di fronte a qualcosa di nuovo. Qualcosa di nuovo arrivò con Stefano Benni.

Già nel suo libro d’esordio nel 1976, Bar Sport, Benni appare subito come uno scrittore anomalo. Nei suoi racconti (alcuni diventati iconici) resuscita il genere comico, scomparso da decenni dal panorama letterario nazionale. La sua scrittura comica, e ancora meglio si vedrà nelle sue prove successive, è assolutamente originale, si serve del registro fantastico, del grottesco, della parodia, della satira. Un vis comica incalzante, che va diretta all’obbiettivo, senza pietà. Ecco ad esempio la poesiola La vispa Teresa scritta dopo il disastro di Cernobyl

La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
al volo sorpresa
gentil farfalletta

e tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa
“l’ho presa, l’ho presa”

“l’hai presa, cretina
e bene ti sta
– gridò farfallina
– la radioattività!”

“non sai che nei prati
i più ionizzati
siam noi, poveretti,
i piccoli insetti?”

Confusa e pentita
Teresa arrossì
dischiuse le dita
in sei mesi morì

Se La parodia della Vispa Teresa e le altre Ballate (Feltrinelli, 1991) prendono di mira i rapporti intimi e personali (l’amore, il sesso, l’amicizia, la parentela),  la maggior parte dell’opera di Benni allarga lo sguardo al sociale e anche al politico in senso stretto, pescando direttamente dalla attualità. Sono gli anni in cui Benni inizia la sua collaborazione a il manifesto, con raccontini, poesiole e commenti satirici.

L’avevo incontrato nella sua Bologna per una intervista a Linus. Io ero molto giovane, giornalista alle prime armi, lui uno scrittore già affermato, i suoi libri vendevano centinaia di migliaia di copie. Ricordo che mi ha dedicato tutto un pomeriggio, ricordo la sua passione e anche la sua curiosità verso di me, la mia vita, le mie idee. L’intervistato che si interessa all’intervistatore (vi assicuro, capita di rado). Ci siamo rivisti a Montecchio durante una Festa di Cuore, il settimanale di “resistenza umana”.  Anche allora abbiamo parlato di scrittura e di  impegno sociale.  Il lavoro sulla scrittura: i nomi dei protagonisti e dei toponimi (importantissimi per lui) e l’invenzione di parole: i giochi, le parole composte, i ribaltamenti di senso. E l’impegno sociale: l’invenzione di mondi e di storie con un preciso messaggio politico.

Ecco come si apre La compagnia dei Celestini, uno dei suoi romanzi più riusciti insieme a Comici spaventati guerrieri e Baol:
“Nell’anno 1990 e rotti, nel fiorente stato di Gladonia, nella ricca città di Banessa, nell’elegante quartiere dei Palazzi Vecchi nel misero refettorio dei Padri Zopiloti, erano le sedici e trenta, ora di cena.
La grande statua del Cristo col Colbacco sormontava la fila di orfanelli affamati davanti al cisternone di zuppa fumante.
Il volto livido del Signore sembrava annusare con una certa ripulsa il particolare odore che fraudolenza gastronomica di Don Biffero e alcuni Vegetali Ignoti riuscivano a comporre oggi più nauseabonda che ieri. Era un aroma che gli orfanelli, dopo mesi di tentativi e approssimazioni, avevano così felicemente definito: cimitero di cavoli, peti di zoo, fiato di cagnone.”.

Eccoci catapultati in un’avventura metropolitana. dove una banda di intrepidi orfani, LuciferoAlì e Memorino, fanno parte della Compagnia dei Celestini che raccoglie gli spiriti più belli e gli orfani più meritevoli dell’istituto. Gli unici svaghi per i bambini sono il gioco della pallastrada (il nome spiega tutto) e la speranza di trovare due genitori pronti ad adottarli.  Fuggiranno dall’orfanotrofio e metteranno insieme una squadra di orfani e trovatelli per partecipare al campionato di pallastrada. Durante le loro avventure i ragazzi incontreranno i nove pittori pazzi Pelicorti, i magici gemelli campioni di pallastrada, il re dei famburger Barbablù, il meccanico Finezza, il professor Eraclitus e Mussolardi, l’uomo più ricco e avido del paese di Gladonia. E alla fine c’è la grande e sanguinosa partita contro la quadra dei cattivi al soldo del potere, di cui tralascio l’esito.

Se nella Compagnia dei Celestini i protagonisti sono gli orfani, in Comici spaventati guerrieri  l’avvio della storia è l’omicidio di Leone, ragazzo di “estrema periferia”, reo di aver tentato di rubare dei fiori da regalare ad una ragazza. Partendo dalla periferia un gruppo di ragazzi di strada decidono di scoprire la verità su quel delitto, avventurandosi in una recherche urbana piena di pericoli e di sorprese, mettendo in luce il cinismo e la corruzione degli uomini di potere.

Il paesaggio urbano che ci racconta Benni mette in scena un mondo fantastico ma che rimanda, anzi, ricalca il mondo e l’Italia reale, dove continuano a regnare la diseguaglianza e l’ingiustizia sociale. Ecco l’incipit fulminante di Baol: “È una tranquilla notte di regime. Le guerre sono tutte lontane. Oggi ci sono stati soltanto sette omicidi, tre per sbaglio di persona. L’inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C’è biossido per tutti. Invece non c’è felicità per tutti.”  Anche il protagonista di Baol è un periferico, un emarginato, uno strano mago che passa le notti tra nostalgie e sbronze colossali al bar Apocalypso, ma che si getta a capofitto nella battaglia contro i grandi gerarchi.. 

C ‘è una vibrante passione e molta compassione nelle storie picaresche di Benni che sceglie sempre come eroi gli ultimi, i perdenti, gli esclusi, i vecchi, gli orfani, i ragazzi di periferia. Una “periferia” che non si rassegna e scende in campo contro il “centro”, i privilegi, il potere costituito.
C’è anche molta poesia nella sua sua scrittura funambolica e, come accade spesso nei grandi autori comici, spunta dalle righe una inestinguibile malinconia, una malinconia che nulla toglie al comico e al satirico e che riflette la consapevolezza che nella realtà di questi anni, fuori dal cerchio della favola, gli ultimi rimangono ultimi. E’ il disincanto, il senso di sconfitta che Benni confessa delle sue ultime interviste, ma che è già anticipato da una riga terribile di Comici spaventati guerrieri: “I cittadini sono il più grande ostacolo per una democrazia moderna”

La produzione di Stefano Benni è quasi sterminata,  più di 30 libri, tutti pubblicati da Feltrinelli: romanzi, ballate, raccolte di racconti, testi teatrali… C’è l’imbarazzo della scelta per leggere o rileggere le favole comiche di uno “scrittore fantastico e impegnato”.  E se fosse vero il famoso slogan, se la sua fantasia andasse davvero al potere, vivremmo in un mondo migliore di questo.

Immagine di copertina: illustra la Biografia scritta dallo stesso Stefano Benni,  stefanobenni.it/biografia/

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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