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Vite di carta /
Danza con le “Mie magnifiche maestre” di Fabio Genovesi

Vite di carta. Danza con le “Mie magnifiche maestre” di Fabio Genovesi 

Che senso di leggerezza e di pace mi arriva dalla scrittura di Fabio Genovesi, anche da questo suo ultimo libro dedicato alle “donne di casa mia”. Dalla trisnonna Isolina alle zie Gilda e Violetta, a Irene, Benedetta e Azzurra, che parenti non sono, ma a buon diritto fanno parte di quella “famiglia più grande e profonda che non è tenuta insieme dallo scuro appiccicoso del sangue, ma da una colla più intensa e trasparente, che è l’amore”.

Sono amiche della madre, vicine di casa. Ognuna appare in sogno a Fabio nella settimana che precede il suo cinquantesimo compleanno e dalle sette notti in cui rivede ognuna di loro arriva il dono dello stare ancora insieme, arriva il marchio del loro insegnamento volontario o involontario sulla vita.

L’ultima notte Fabio ritrova la nonna Giuseppina: “sono cresciuto con lei, la sua mano nella mia” dice mentre si prepara per lui nella grande radura dentro il bosco del sogno l’incontro finale, il più straordinario.

Non sveliamolo, il lettore deve provare il nostro stesso incanto nell’assistere alla danza che approfitta del silenzio all’intorno, “la canzone più bella di tutte perché tutte le contiene”, e rende bellissimi i due danzatori. E questa bellezza “palpita e schizza ovunque, così intensa che resterà dopo la danza, dopo la musica, dopo noi”.

Il libro trova la sua struttura e il suo ritmo nei sette giorni che precedono il compleanno, nel conto alla rovescia i capitoli titolano da “Meno sette” a “Meno uno” e intorno hanno una miriade di cicale, nel senso che “Cicale” è l’introduzione e “Questo conta, questo canta” conclude il libro ritrovando il loro frinire come sottofondo.

Che bello sentire con quale tenerezza e riconoscenza Fabio accetta il sogno come dimensione vera dell’esistenza e ribalta così l’ordine costituito dalla visione razionale delle cose che tutti rincorriamo. Lo facevano gli antichi, che affidavano ai sogni premonitori la scelta di aprire la battaglia o di fondare una città.

Se non leggerete il libro almeno ascoltate e guardate il filmatino su Youtube che ritrae Fabio in cammino nella sua terra durante la passeggiata quotidiana dal fiume al mare che bagna Forte dei Marmi. In dodici minuti guardando l’obiettivo, cioè noi, lascia fluire le parole sul romanzo, spiega come le zie gli hanno portato in sogno i loro insegnamenti. Dice come sarebbe giusto vivere per immergerci appieno nella meraviglia che è la vita.

Dovremmo fare come la cicala. Ribaltando la favola che la vede come un animale improvvido, al contrario della prudente formica, la cicala per Fabio rappresenta la capacità di canto e di armonia.

Lei sì sa godere dell’estate, si è tenuta nascosta sotto terra per anni e poi insieme a tutte le altre ha saputo che quello era il giorno per inventarsi il volo e uscire a cantare nel coro gigante che va dalla terra al cielo.

Come le zie, che dopo tanto tempo riemergono ogni notte a svelare la loro storia al nipote che si trova sulla soglia dei cinquant’anni e tutto comprende e collaziona in un mosaico di sé che prescinde dallo scorrere del tempo e diventa il presente acronico delle leggi di natura.

Così sono e sono stato fin da piccolissimo, sembra volerci dire l’autore, che più di così non potrebbe coincidere col narratore. Ho esperito tanto in ormai cinquant’anni di vita, eppure ho dentro di me il bambino che ero e i suoi sguardi sul mondo.

Comprendo che Azzurra, che in classe alle elementari era affiancata da “Sostegno” a causa del suo grave handicap, mi ha insegnato a non seguire il gregge degli altri compagni. Come lei anche ora posso dire Bee bee in risposta alle domande preconfezionate che mi rivolge il mondo.

Continuo a seguire le naturalità come coordinata di fondo del vivere.

L’ho scritto anche nel mio Il calamaro gigante quanto sia grigio e secco il mondo in cui ci siamo limitati quando ci siamo staccati dalla pura bellezza dell’universo.

“Abbiamo smesso di danzare, e siamo saliti su una scala. Che ci siamo inventati noi, e quindi non ci porta da nessuna parte, solo ci allontana”. Dagli animali che erano, prima, le nostre divinità, e dalla Natura, che saremmo noi stessi. Ora “ci muoviamo tristi, storditi e goffi, ormai inadatti all’incanto naturale che era nostro,…tanto inadatti da essere dannosi”.

Non stanotte, però, quando la danza danzata nel sogno è la più straordinaria verità.

Nota bibliografica:

  • Fabio Genovesi, Mie magnifiche maestre, Mondadori, 2025
  • Fabio Genovesi, Il calamaro gigante, Feltrinelli, 2021

Cover: La cicala e la formica, disegno realizzato da Chloe, nipote dell’autrice

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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