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Storie di fratelli, di vite che fanno i conti con paure e segreti, di rapporti familiari delicati e conflittuali, in cerca di equilibri affettivi difficili da ritrovare. Il fil rouge di Mio fratello, mia sorella, di Roberto Capucci, è la famiglia e le sue incomprensioni e malintesi, quegli ostacoli alla felicità che non dovrebbero mai esserci.

Alla morte del padre, un singolare patto successorio obbliga Tesla (Claudia Pandolfi) e suo fratello Nikola/Nik (Alessandro Preziosi) a una convivenza forzata: vivere sotto lo stesso tetto dopo non essersi visti per oltre vent’anni non sarà semplice. Tanto più se, fra quelle mura domestiche, vi sono anche due figli-nipoti, ciascuno con le proprie difficoltà: Sebastiano/Seba (Francesco Cavallo, vera rivelazione), un violoncellista di talento affetto da schizofrenia, al quale Tesla ha dedicato la vita e un’ossessiva e soffocante protezione, e Carolina (Ludovica Martino), con la quale ha un rapporto difficile e conflittuale.

Il film inizia con il funerale di Giulio Costa, stimato professore e luminare della fisica, pianto dai colleghi e dalla sua famiglia. La figlia Tesla è triste e attonita, quando all’improvviso in chiesa entra un uomo, con un paio di zaini e vestito come se arrivasse dalla spiaggia: è il fratello Nikola (i due fratelli hanno, in due, il nome dello scienziato Nikola Tesla), che da vent’anni ha mollato tutto per andare a fare kitesurf in Costa Rica.

Alessandro Preziosi, ©LUCIAIUORIO

Tesla, che è divorziata e manda avanti la famiglia da sola, non è entusiasta di vedere il fratello, ma il notaio spiega loro che l’ultima volontà del padre, che non ha lasciato soldi come invece si aspettavano tutti, è che i figli convivano per un anno nella casa in cui Tesla vive con Sebastiano e Carolina, che ne approfitta subito per trasferirsi da Emma (Caterina Murino), amica di famiglia, nonché pianista della scuola frequentata da Seba, con cui hanno in programma un concerto a due.

Caterina Murino, Francesco Cavallo ©LUCIAIUORIO

Inizia quindi la difficile convivenza tra fratello, sorella e il sensibile e delicato Seba, con i suoi disturbi e la sua ferma convinzione di trasferirsi su Marte per portarvi la musica.

Ludovica-Martino, Caterina Murino ©LUCIAIUORIO

La storia è commovente, coinvolgente ed empatica, con tanti ingredienti: dolore, storie di rapporti e relazioni familiari, diversità, disabilità mentale, disagio, sofferenza, incomprensione, conflitti, malintesi, senso di libertà, protezione, ossessione, accettazione, dipendenza reale e affettiva, senso di responsabilità, conflitti, amore. Molto bella anche la musica, quasi esclusivamente classica, dal potere quasi taumaturgico, in particolare Al chiaro di luna di Beethoven suonata da Nik e Seba, insieme.

Sarà un difficile, ma intenso e bellissimo, viaggio verso il perdono, l’accettazione di sé stessi e dei forti e indissolubili legami affettivi e familiari. Prende il cuore.

Mio fratello, mia sorella, di Roberto Capucci, con Alessandro Preziosi, Claudia Pandolfi, Ludovica Martino, Caterina Murino, Francesco Cavallo, Italia, 2021, 110 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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