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Una commedia brillante, umorismo, eleganza e romanticismo: perché Parigi è sempre Parigi

Londra 1957 e una governante che sbarca il lunario, rimasta sola dopo la scomparsa del marito in guerra, fra clienti più o meno esigenti ed altre signore eleganti che si dimenticano di pagarla. Tanta fatica, impegno e voglia di riscatto (e di bellezza).

È una storia di pregiudizi sociali, quella dell’invisibile Ada Harris (Leslie Manville), tratto dall’omonimo romanzo di Paul Gallico (Frassinelli), ma anche una divertente avventura fra magnifici vestiti (ideati dalla costumista Jenny Beaven, tre volte premio Oscar, oltre ad alcuni originali) e una sempre meravigliosa e romantica Parigi. E poi ci sono tanta complicità, empatia, semplicità e amicizia in La signora Harris va a Parigi, di Anthony Fabian.

 

Quando la simpatica signora Harris scopre nell’armadio di una delle sue ‘datrici di lavoro’ (Lady Dant, interpretata da Anna Chancellor), uno sfavillante e luccicante abito di alta moda dai colori tenui (il modello Dior Ravissante), se ne innamora e insieme a quella meraviglia s’innamora anche dell’idea di essere vista, ammirata, riconosciuta, guardata. Insomma, notata e considerata. Quell’abito diventa metafora di un riscatto tanto desiderato, di una pausa dalle preoccupazioni quotidiane, noiose, sempre uguali, spesso senza senso. Un sogno che deve diventare realtà. Costi quel che costi.

Il prezzo di quel sogno è di cinquecento sterline, non poco per quell’epoca storica. E poi bisogna aggiungervi i soldi del volo per Parigi e per restarci qualche giorno. Sterlina dopo sterlina, fra un bicchierino di sherry e qualche pasticcino, ogni incasso viene annotato attentamente su un taccuino, la pensione del marito Eddie arriva, subito dopo una vincita improvvisa; tutto servirà ad alimentare quell’incontro con la bellezza che sta per avverarsi.

Così Ada vola a Parigi, entra nel tempio della moda, la Maison Dior ad Avenue Montaigne (spazio intimo ed elegante, perfettamente ricostruito, insieme alle esclusive sfilate e alle iconiche Dior ‘Medaillon Chair’), sfidando gli sguardi snob che la scrutano dall’alto al basso e i commenti classisti della direttrice dell’atelier, Claudine Colbert (Isabelle Huppert), che di lei non ne vuole sapere.

Ma qui, testa alta e spalle dritte, fiera di poter accedere a quel posto esclusivo, anche grazie all’invito cortese del Marchese di Chassagne (Lambert Wilson), la signora Harris avrà la sua rivincita.

Trasformandosi pure, in un intreccio di eventi avvincenti, in paladina dei diritti dei lavoratori e ‘aggiustatrice’ delle vite altrui, insieme alla modella Natasha (Alba Baptista) che legge Sartre e al timido ma intelligente contabile André (Lucas Bravo), che salverà la Maison dal fallimento.

Un’atmosfera incantevole, alcune vedute parigine ricordano scene di “Midnight in Paris”, di Woody Allen, tanti buoni sentimenti. E poi i vestiti, che vestiti …Basti pensare che cinque capi d’archivio Dior compaiono in La signora Harris va a Parigi, mentre dodici sono stati ricreati dallo staff della produzione appositamente per le riprese. I restanti provengono anch’essi dall’archivio Dior ma sono repliche realizzate negli anni ’90 dalla Maison proprio per dare nuova vita a dei modelli storici considerati ormai immortali.

Oltre all’iniziale abito da cocktail Ravissante, che fa innamorare la signora Harris di Dior e dell’alta moda francese, compaiono il famoso Bar Suit, completo iconico presentato nella prima collezione del 1947, l’abito in organza bianca con finiture in velluto nero Vaudeville (1957), il modello Caracas (1957), realizzato in seta color acquamarina, il Cachottier (1951), composto da una giacca in shantung color avorio e di abito di lana alpaca nei toni del grigio e il modello Porto Rico (1955), in seta nera con decorazione di pois bianchi. Venus è, invece, uno degli abiti più significativi del film in quanto lo vediamo in diversi stati della sua lavorazione, dalla sfilata alla consegna alla sua cliente, fino alla sua triste fine. Frutto dell’immaginazione della costumista, l’abito segue la metamorfosi della signora Harris che dal tulle rinasce e riscopre la sua femminilità, proprio come una moderna Venere. Un abito di seta verde smeraldo, lo stesso colore della speranza. Temptation – ovvero l’abito rosso che conquisterà il cuore di Ada – rappresenta, infine, una delle (ri)creazioni più pregiate elaborate da Beavan. Punta della collezione presentata nel film, è ispirato allo storico modello Diablotine, del 1957. Pura meraviglia, di che rifarsi gli occhi.

Non si può, allora, non tifare per la generosa Ada, per il suo vestito fatto su misura per lei, che stravolge le regole del gioco, per i suoi piccoli ma grandi sogni, per la sua vittoria.

Il grande merito di questo film, che cambia davvero l’umore e trasporta in un’altra dimensione per due ore, è quello di far riflettere sulle persone invisibili ma capaci e preziose, spesso insostituibili, che, standoci accanto, popolano, in silenzio, le nostre vite. Far capire che non siamo il nostro lavoro, quello che lui dice di noi, che sognare non fa male a nessuno. Alla riscoperta di un’umanità che si sta perdendo e smarrendo.

Video intervista al regista Anthony Fabian, a cura di Manuela Santacatterina

La signora Harris va a Parigi, di Anthony Fabian, con Lesley Manville, Isabelle Huppert, Lambert Wilson, Alba Baptista, Lucas Bravo, Gran Bretagna, Ungheria, 2022, 115 minuti.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Da sempre appassionata di scrittura e letteratura, ha pubblicato su riviste italiane e straniere, è autrice del romanzo, “Il Francobollo dell’Avenida Flores”, ambientato fra Città del Messico, Parigi e Scozia e traduttrice dal francese, per Curcio Editore, di La Bella e la Bestia, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Ha collaborato con BioEcoGeo, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, Mosca Oggi, eniday.com e coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma. Scrive su Meer (ex Wall Street International Magazine).

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